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                                A ritroso, e sempre del tutto casuale, il mio imbattermi
                                dapprima nel diario
                                segreto e poi nella biografia di
                                Lucrezia, così come è già avvenuto per Maria
                                Antonietta di Francia, ma con una differenza:
                                l’autore delle due opere, in questo 
                                caso, non è lo stesso, anzi si passa, da
                                una scrittura maschile, quella di Joachim
                                Bouflet, ad una femminile, quella di
                                Sarah Bradford.
                                
                                 
                                Ed eccomi nuovamente immersa, dunque, dapprima in una
                                vicenda “romanzata” (il
                                diario segreto), e poi in una (la
                                biografia) raccontata sulla base dei
                                documenti e delle ipotesi di una studiosa.
                                
                                 
                                Attento, intento e rigoroso il ricorso alle fonti in questa
                                bella opera su Lucrezia Borgia; meno peso quindi
                                alla maldicenza o al pettegolezzo, non
                                confermato da riscontri obiettivi.
                                
                                 
                                è stato come un crogiolarmi, un voler indugiare 
                                in quella sorta di sintonia che si era
                                creata tra me e Lucrezia attraverso il “diario
                                segreto” e tutto ciò che mi aveva
                                rivelato.
                                
                                 Lì a  parlare
                                era il cuore, qui la
                                "voce" della storia. 
                                
                                 
                                Risaltano subito in questa biografia lo sfondo, gli
                                ambienti, il gusto per l’ostentazione, gli
                                scenari insomma dell’Italia del 1500. Ciò che
                                conta per 
                                la
                                Bradford
                                
                                è
                                contestualizzare la figura di Lucrezia, dapprima
                                quasi in ombra. Poche e vaghe sono, infatti, le
                                notizie sulla sua infanzia e sulla sua
                                educazione. è,
                                la sua, dapprincipio un’apparizione un
                                po’ sfumata e sfuggente, un po’ compressa
                                nella Corte papale ed in un meccanismo a cui man
                                mano però si avvezza, riuscendo in un certo
                                qual modo a dominarlo; ciò avverrà allorché
                                Sua Santità, l’augusto genitore, la nominerà
                                “reggente” in Vaticano durante una sua
                                assenza.
                                
                                 
                                Così il suo ritratto viene poco a poco scolpito fino a
                                divenire una figura di notevole spessore,
                                soprattutto nel periodo ferrarese, a cui sono
                                dedicati diversi capitoli, in un crescendo, di
                                trionfi diplomatici, politici ed anche
                                familiari.
                                
                                 
                                Se pure i primi segni della sua sagacia si erano già
                                manifestati nella fase romana, è a Ferrara che la
                                farfalla Lucrezia uscirà dal bozzolo e
                                volerà. Apparirà così come una  donna
                                capace di vivere e comprendere il suo tempo, una
                                donna consapevole non solo della “necessità”
                                di un certo apparato e del potere “occulto”
                                dell’ostentazione, ma  anche
                                “amorevole,
                                honesta” e 
                                devota.
                                
                                 Una sorta di madonna laica, con un forte  senso
                                della maternità e della ragion di Stato,
                                disponibile verso qualsiasi sacrificio, sposa
                                amorevole e saggia, mecenate illuminata, abile
                                politica  in
                                grado di  tener
                                testa ad intrighi e pericoli (palesi e non). 
                                
                                 
                                Notevole la sua adattabilità al nuovo “clima” di
                                Ferrara, relativamente più aperto e cosmopolita
                                rispetto a  quello
                                romano, un po’ soffocante e troppo intriso di
                                nepotismo. Appare subito in grado di
                                destreggiarsi tra le difficoltà, come ad
                                esempio nelle trattative per il suo matrimonio e
                                si pone come intermediaria tra il papa-pater,
                                Alessandro VI, ed il duca Ercole I d’Este, il
                                futuro suocero. Con lui stabilirà
                                successivamente un rapporto di filiale
                                devozione, e ne sarà poi ricambiata con
                                attenzioni e premure paterne. A tal proposito
                                copiose sono le fonti citate dalla Bradford.
                                
                                 
                                Colta, compos sui
                                ed a suo agio di fronte a duchi, cardinali,
                                ambasciatori, saprà ben destreggiarsi nei
                                labirinti della politica.
                                
                                 Sarah Bradford ci presenta, già nell’anticamera della
                                sua parabola terrena, la storia di un’oscura 
                                famiglia spagnola di proprietari
                                terrieri, non nobili, che attraverso l’ascesa
                                al soglio pontificio di Alonso (Callisto III),
                                renderà effettiva e di diritto una nobiltà
                                acquisita solamente attraverso i meriti.
                                
                                 
                                E così i Borgia, dapprima vasi di terracotta in mezzo a vasi
                                di ferro, lotteranno per il riconoscimento
                                dei loro diritti acquisiti e pretenderanno una
                                sorta di certificazione della loro nobiltà da
                                parte del re di Spagna. E’ un intreccio di do
                                ut des,  una
                                politica di scambi, di favori, di concessioni,
                                di occhi
                                chiusi di fronte a comportamenti non proprio
                                ortodossi sia dall’una che dall’altra parte.
                                Una specie di “una
                                mano lava l’altra” (con tutto quel che
                                ne segue…).
                                
                                 
                                Infatti, Rodrigo Borgia, una volta papa, darà il proprio
                                consenso al matrimonio tra Ferdinando di
                                Castiglia ed Isabella d’Aragona, ma in cambio
                                chiederà per il figlio Juan dei benefici che lo
                                renderanno duca di Gandìa. Con questa ulteriore
                                ufficializzazione
                                farà acquisire al papato una posizione di rango
                                tra le potenze del tempo e garantirà a tutti i
                                suoi figli un ruolo di grande prestigio nella
                                società e nella vita. Si 
                                troverà così a tu per tu con le
                                dinastie di più antica nobiltà come gli Este,
                                gli Aragona, gli Sforza, i Valois etc.
                                
                                 
                                Merce di scambio,  più
                                o meno consapevole, Lucrezia.
                                
                                 Una pedina dei maneggi del padre e del fratello Cesare,
                                pronta a sacrificarsi per il bene della  famiglia,
                                ma anche capace di affrontare pericoli e nemici
                                in agguato, soprattutto dopo la morte di
                                Alessandro VI. Ed eccola duchessa a Ferrara a
                                fronteggiare situazioni critiche, a
                                destreggiarsi tra intrighi ed alleanze, a
                                prevenire manovre più o meno ostili, a fungere
                                da paciera, da intermediaria tra il marito,
                                Alfonso d’Este e l’amante- cognato Francesco
                                Gonzaga.  
                                Modesti al suo confronto appaiono i personaggi con cui si
                                trova a trattare, persino il bellicoso ed
                                irascibile successore del padre, Giuliano della
                                Rovere (papa Giulio II).
                                
                                 Inossidabile ed imperituro il suo  legame
                                con il fratello Cesare. 
                                La Bradford non
                                si pronuncia sulla sua natura.
                                
                                 
                                Non piagnucolosa, non lamentosa, ma forte e distaccata ci
                                appare qui Lucrezia. Nel “diario
                                segreto” momenti di confidente abbandono,
                                di lirismo di un’anima inquieta e sensibile,
                                qui invece una figura ufficiale:
                                
                                la
                                Duchessa
                                ,
                                presa (o persa?) nel suo ruolo, nel suo rango
                                acquisito per matrimonio. 
                                
                                Lì una prosa intimistica, che scrutava tra le pieghe
                                dell’io, un io narrante diviso tra l’essere
                                ed il dover essere. Qui una figura più rigida,
                                pur nelle sue morbidezze. 
                                
                                Uno stile giornalistico, un incedere rapido,
                                quello della Bradford, una scrittura
                                accattivante e captante, a comporre l’affresco
                                di un’epoca guardata nei dettagli.
                                
                                 
                                E così le descrizioni dei luoghi, degli abiti, dei cibi,
                                dei banchetti, delle cerimonie dell’alta
                                società del 1500, lungi dal tediare, ci
                                immergono in una sorta di film dove le parole
                                fungono da scenografia ed un invisibile
                                scalpello, la penna dell’autrice, modella gli
                                attori piccoli e grandi, dai sovrani ai paggi,
                                dai duchi ai cardinali, dai capitani di ventura  agli
                                sgherri in una atmosfera a volte limpida, a
                                volte torbida dove, la distinzione tra sacro e
                                profano è più che mai labile e forse senza
                                confini. E così vedo sfilare davanti agli
                                occhi, come in un corteo di ombre, i papi:
                                Alessandro VI, Giulio II, Leone X, il primo
                                amante della lascivia e dei veleni, il
                                secondo della violenza e del turpiloquio,
                                il terzo dell’ipocrisia e del doppio gioco.
                                
                                 
                                E pensare che proprio quell’abile tessitore della potenza
                                dei Borgia, Alessandro VI, morirà in solitudine
                                ed all’improvviso, lontano dagli affetti più
                                cari. Lui che era stato un grande predatore
                                diviene vittima del suo stesso gioco: predatore
                                depredato di tutto, persino dei preziosi
                                ceri per il suo corteo funebre.
                                
                                 Una triste parabola, la sua, che coinvolgerà “nella
                                ruina”, per dirla col Machiavelli,
                                soprattutto Cesare.
                                
                                 
                                Chi riesce a restare in sella è proprio Lucrezia, al
                                sicuro, entro certi limiti, nella Corte di
                                Ferrara e protetta, in un certo qual modo, dalla
                                nuova famiglia acquisita. Le sarà accanto, sino
                                alla fine, il consorte-duca, Alfonso, grande
                                combattente e stratega, guerriero e politico ad
                                intermittenza.
                                
                                 
                                In questa biografia la fase ferrarese di Lucrezia  ci
                                appare , anzi è senz’altro, il fulcro della
                                sua esistenza.
                                
                                 Nel “diario
                                segreto”, invece, era più sommessa, meno
                                in luce. Nella biografia
                                è come se l’autrice volesse far emergere
                                tutta la grandezza di questa tanto bistrattata
                                figura in un diverso e più
                                “neutro”palcoscenico: quello ferrarese. C’è
                                come un dispiegamento da parte di Lucrezia di
                                tutte le sue risorse in vista di una prova,
                                quella finale: la conservazione del titolo di
                                duchessa e dell’autonomia dello stato estense,
                                preda ambita, dopo la morte del padre e del
                                fratello, dei nuovi papi: Giulio II e Leone X.
                                
                                 
                                La brevità della sua vita non le consentì, per sua
                                fortuna, di vederne altri!
                                
                                
                                 
                                   
                                Giulia
                                Notarangelo 
                                
                  
                                     
                  
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