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                                «Non vedo l'ora di
                                sapere, quante tracce di "verità"
                                (quella appunto dei documenti) abbia lasciato in
                                questo possibile e fascinoso diario....»:
                                con queste parole chiudevo la mia  recensione al romanzo
                                Il diario segreto di Maria
                                Antonietta
                                della Erickson. 
                                Tracce di verità ce n’erano! E tante! Ora posso
                                affermarlo, dopo aver letto la biografia della
                                stessa autrice che risale agli anni ’90.
                                E’stata una lettura davvero piacevole che ha
                                confermato la mia impressione su questa
                                “eroina dell’assolutismo” così grande
                                nella sua tragicità. Anche qui, e questa volta
                                sono i documenti a parlare, risalta la sua
                                inadeguatezza, il suo essersi trovata in un
                                gioco più grande di lei. Nulla viene nascosto e su nulla si indulge: sia la  storica
                                che la scrittrice scavano a fondo nella
                                personalità della regina.
                                
                                 
                                Tra le fonti più citate ci sono gli scritti di Madame
                                Campan e le lettere dei comprimari di questa
                                tragedia “annunciata”.
                                
                                 
                                La dettagliata descrizione del palcoscenico (regale e non)
                                e dei suoi attori fa da cornice e ci consente di
                                addentrarci in un mondo passato, per certi
                                aspetti attuale, con i suoi vizi, le sue
                                miserie; è  un
                                contrappunto continuo con l’ austerità della
                                Corte austriaca da cui Antonietta proveniva.
                                Sono due universi opposti eppur complementari,
                                due orizzonti-simbolo di un’ Europa “ancien
                                regime”, ma anche aperta alle mode,
                                soprattutto francese, inglese e poi americana. 
                                
                                 
                                è questo un caleidoscopio che affascina e coinvolge nella
                                sua variegata eleganza e nella sua ricchezza di
                                particolari di riti protocollari (si pensi alla
                                cerimonia del lever
                                dei reali) e di vita quotidiana: scopriamo così,
                                ad esempio, che nel ‘700 esisteva il gioco
                                d’azzardo, ed  era
                                addirittura uno dei passatempi preferiti dalla
                                regina e dai cortigiani.
                                
                                 
                                Un aspetto che sconcerta è che tutto quanto accadeva nelle
                                “somme stanze” veniva deformato e alterato,
                                divenendo spesso  argomento
                                di chiacchiere e pettegolezzi che sfociavano
                                nella libellistica; si creava così una sorta di
                                opinione pubblica ante
                                litteram, fervida nella fantasia e nelle
                                elucubrazioni intorno alla regina, “l’autrichienne”,
                                la straniera. Proprio lei che si trova costretta
                                dall’augusto consorte a divenire sua  consigliera
                                o addirittura reggente, lei che aveva
                                un’indole leggera e superficiale, inadatta
                                perciò a sostenere il peso di regole e di un’
                                etichetta troppo rigida come quella della corte
                                di Versailles.
                                
                                 
                                Assistiamo qui allo sbocciare di una regina e di un re che
                                re non voleva e forse non poteva, per indole,
                                essere. è
                                una crescita, quella di Maria
                                Antonietta, che conosce diverse fasi: passa
                                dall’intento di migliorare se stessa
                                attraverso l’istruzione ed una certa
                                autodisciplina ad un lasciarsi portare o meglio,
                                travolgere da consiglieri interessati e
                                dall’adulazione dei cortigiani. Ciò che
                                colpisce tuttavia è la sua solitudine di fondo
                                ed una certa tendenza alla malinconia che non
                                l’abbandonerà fino alla fine.
                                
                                 
                                Il fascino degli ambienti, i riti, le cerimonie ufficiali
                                descritte nei dettagli ed in maniera elegante:
                                tutto concorre a formare un’ immagine di una
                                donna che sarebbe potuta anche divenire un mito:
                                quello di una giovane regina al di sopra «dei
                                formalismi e delle cautele che ci si sarebbe
                                aspettati dal suo elevatissimo rango».
                                 
                                è un’ evoluzione–formazione di una nobile fanciulla che
                                da delfina “volenterosa” diventa  regina
                                con la “testa piumata”, secondo la moda del
                                tempo. 
                                L’autrice ci presenta il tessuto di una fitta rete di
                                relazioni, contestualizzando comportamenti ed
                                atteggiamenti, altrimenti incomprensibili. Si
                                rimane incantati di fronte allo sfarzo, alla
                                grandiosità degli scenari, alle luci–ombre
                                della Corte, alla folla dei
                                parassiti–cortigiani, al lusso ostentato e
                                scacciapensieri, ma anche di fronte alla
                                sporcizia, all’incuria ed alla mancanza di
                                controllo da parte dei domestici, più attenti
                                all’etichetta che a sorvegliare chi stazionava
                                e bighellonava per gli immensi corridoi o negli
                                angoli bui di Versailles.
                                
                                 
                                Luigi appare coerente nel suo affetto verso il popolo, ma
                                anche nella sua apatia fiduciosa, in quel suo
                                lasciar fare, in quel farsi portare dagli
                                eventi. Antonietta è pervicace nel suo
                                attaccamento alla “regalità”
                                per diritto divino e  nella
                                sua chiusura verso il “democratico” ed il
                                nuovo, a meno che non si tratti della  moda
                                futile e vacua che riguardava parrucche e
                                cappelli,  vestiti
                                e gioielli.
                                Assistiamo anche alla
                                progressiva  costruzione
                                di un castello di dicerie attorno alla Corte ed
                                alla regina e la
                                Erickson
                                
                                ce ne mostra
                                spesso l’infondatezza a colpi di documenti. 
                                
                                 
                                Ferma appare Antonietta nel suo essere regina per diritto
                                divino, fermo anche Luigi nel suo candore, di
                                “amico e padre del popolo”, assediato in un
                                primo momento dalla Corte e dalla regale
                                consorte e poi da quei suoi “figli” ribelli:
                                i suoi sudditi che lui sperava prima o poi
                                sarebbero rinsaviti.
                                
                                 
                                La positività di Maria Antonietta emerge, durante il
                                “soggiorno” coatto alle Tuileries,
                                nell’affrontare con dolce pazienza la folla e
                                tutti quegli spettatori “muniti di biglietto
                                di ingresso” a cui era stato consentito di
                                osservarla durante le sue passeggiate nel parco.
                                Risaltano il suo altruismo, la sua generosità
                                ed il suo amore materno anche per il
                                “vivaio” dei figli adottivi.
                                
                                 
                                Sullo sfondo e sfumata la presenza del conte Fersen
                                rispetto al ruolo di primo piano nel “Diario
                                segreto”. Nella biografia, inoltre, la
                                “lettura” dei documenti  instilla
                                più di un dubbio sulla veridicità della sua
                                relazione con la regina. Emerge, tra i comprimari, Mirabeau, il mirabile
                                doppiogiochista, ora diavolo tentatore, ora
                                angelo liberatore. 
                                
                                 
                                Biografia e romanzo presentano una diversa angolazione
                                prospettica di una medesima realtà: nella prima
                                si presta maggior attenzione agli ambienti, nel
                                secondo ai sentimenti che vengono enfatizzati e
                                dilatati. Lo stile è sempre lo stesso ed
                                evidenzia una rigogliosità espressiva, una
                                minuzia descrittiva, una messa a fuoco di tutti
                                gli intrighi, le macchinazioni e gli ostacoli in
                                cui la protagonista  si
                                imbatte durante il suo cammino. Non ultimo,
                                l’affare della collana di diamanti, truffa
                                abilmente congegnata dalla criminale fantasia di
                                un’ arrampicatrice sociale.
                                
                                 
                                La
                                Corte
                                
                                di Versailles viene vista ed analizzata
                                prima e dopo il 1789. L’autrice non dà
                                eccessivo peso alle malelingue. Antonietta
                                rimane sempre seducente, affascinante, dolce e
                                ferma pur nei suoi ideali prerivoluzionari.
                                Luigi ci fa sorridere quando vuole evitare ciò
                                che era successo a Carlo I Stuart in
                                Inghilterra, o quando si dichiara “padre della
                                Rivoluzione”; in lui c’è sempre quella
                                inerzia e quella schifiltosità per il sangue
                                che lo porteranno ad affrontare con “coraggio
                                passivo” un
                                popolo
                                ormai senza freni. In un simile contesto appare inevitabile la fuga della
                                famiglia reale che non sarà  finanziata,
                                come mi era parso di intendere dai manuali di
                                Storia, da potenze straniere ed amiche dei
                                sovrani, bensì dal conte Fersen e dall’
                                Ordine dei Cavalieri di Malta.
                                
                                 
                                Stupisce il contegno dei familiari di Luigi, coeredi al
                                trono, di quegli infidi parenti “emigranti”
                                ed usurpanti il titolo di re (mi riferisco ai
                                fratelli del re ed al conte di Orleans) ed ancor
                                più sorprende scoprire che le monarchie
                                straniere fino al 1791 non avevano mostrato
                                molto interesse per 
                                la Francia.
                                
                                
                                 
                                Singolare e amara  appare
                                la parabola al contrario percorsa da Luigi: da
                                re per diritto divino a “primo funzionario
                                pubblico”, da “rappresentante del popolo”  a
                                sovrano destituito.
                                Re e regina diventano così “vittime” degli eccessi e
                                delle intemperanze della  Rivoluzione.
                                Su di loro e sulla servitù fedele si riversa
                                tutta la violenza popolare alimentata
                                dalla illegalità imperante e dalle vicende di
                                una guerra che
                                pur aveva conosciuto fasi alterne.
                                
                                 
                                La dignità di Antonietta e di Luigi di fronte alla morte
                                fanno dell’una un’eroina del
                                conservatorismo, e dell’altro un “eroe” romantico
                                dell’amore per il popolo.
                                Commovente, atroce ed ingiusta mi appare la fine della
                                regina, che affronta il patibolo come una
                                martire della sua “regalità”.
                                Vittima della Ragion di Stato o agnello sacrificale
                                sull’altare delle alleanze militari in
                                un’Europa di fine ‘700?
                                
                                 
                                Posso dire di volerle un po’ di bene?
                                 
                                      
                                   
                                Giulia
                                Notarangelo 
                                
                  
                                     
                  
                                    |