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IL CONVEGNO

A Innsbruck studiosi austriaci e italiani a confronto sull'eredità del grande sovrano e sulla persistenza della sua figura nell'immaginario collettivo.

Dal 13 al 16 aprile
si svolge ad Innsbruck, in Austria, un convegno dedicato
a Federico II, 755
anni dopo la scomparsa del sovrano. Lo scopo? «Unire - si legge
nella presentazione
- le attività scientifiche
intorno allo Svevo
nell’Italia meridionale e quelle sugli Staufen e la loro eredità in Tirolo». Tra i
relatori anche Marco
Brando, del «Corriere
del Mezzogiorno», del cui intervento pubblichiamo una sintesi.

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MARCO BRANDO

 

Federico II «radice» pugliese

 

All'identità della Puglia serve il mito dell'imperatore svevo

 

   

Una della più grandi centrali termoelettriche italiane, quella di Cerano a (Brindisi, si chiama «Federico II». Il nome della compagnia aerea, ora fallita, che aveva base a Foggia era «Federico II Airways»; tra i nomi che si vorrebbero dare al nuovo aeroporto di Bari c’è proprio quello di Federico II. Nel febbraio scorso durante la Borsa italiana del Turismo, a Milano, è stato presentato il marchio Puglia Imperiale: «Filo conduttore di questo patrimonio - si legge nella presentazione - è il puer Apuliae per eccellenza, l’Imperatore Federico II». La nuova provincia che sta per nascere in Puglia forse sarà chiamata Sveva. Ovviamente non c’è quasi città o cittadina pugliese che non abbia dedicato una via o una piazza all'imperatore. Sono un centinaio, sugli elenchi telefonici pugliesi, gli alberghi, i ristoranti, le pizzerie, i bar, le scuole di ogni ordine e grado, le società imprenditoriali, le aziende agricole, le associazioni culturali che hanno scelto per il proprio nome le parole “Federico II”, “svevo”, “sveva”, “svevi”, “federiciano”, “federiciana”.

Sono solo alcuni esempi del legame che, nel 2005, esiste tra i pugliesi e la memoria dell'imperatore. Chi è dunque Federico II di Svevia per gli abitanti del Tacco d’Italia? Seguendo il filo della storia ufficiale, è il prestigioso esponente del casato tedesco degli Hohenstaufen, figlio del sovrano del Sacro Romano Impero Enrico VI (a sua volta figlio di Federico Barbarossa) e di Costanza (figlia di Ruggero II d’Altavilla normanno). Fu imperatore di Germania e d’Italia, re di Sicilia. Aveva un albero genealogico germanico ma natali e traguardi italiani: nacque nel 1194 a Jesi (Ancona), morì a Castelfiorentino (Foggia) nel 1250, è sepolto nel Duomo di Palermo.

Già queste tappe della sua vita nella Penisola testimoniano che lasciò un segno notevole in tutto il Mezzogiorno, in Puglia come in Campania, in Calabria come in Sicilia e Basilicata. Ciò nonostante è per certi versi considerato, forse suo malgrado, il capostipite della “pugliesità”. Non è così. Però è arduo contraddire i suoi fan, che replicano chiedendo per quale ragione, allora, Federico fu soprannominato puer Apuliae. All’oscuro della circostanza che l’epiteto era forse una sorta d'insulto: alla corte di Ottone di Brunswick, suo rivale nei primi anni del regno, era accusato di occuparsi solo del lontano Sud Italia, trascurando la Germania.

È pure il caso di ricordare che la Puglia deriva il suo nome dalla romana Apulia. Ma ai tempi di Federico il termine Apulia non era limitato alla regione oggi chiamata Puglia, riguardava un’area che comprendeva anche parte della Basilicata e della Calabria; in alcuni casi veniva definito con questo nome tutto il Mezzogiorno non insulare.

E allora? Senza dubbio la scarsa identità regionale dei pugliesi ha indotto - anche dal punto di vista psicologico - a cercare un comune denominatore: e l’Imperatore si presta a questo scopo. In secondo luogo ci sono ragioni di tipo storiografico. Il riferimento a Federico II piacque molto durante il fascismo alle locali società di Storia patria. In quell’epoca il regime incoraggiava gli addetti ai lavori affinché rintracciassero radici storiche all’altezza del sogno imperiale di Mussolini. E quale migliore radice ci può essere rispetto a quella rappresentata da un personaggio incoronato re di Sicilia nonché imperatore tedesco? Poi oggi c’è anche chi guarda a Castel del Monte come una coacervo di enigmi insoluti e a Federico II come a uno stregone regale. Inclusi i mass-media, attratti più dalla lettura fantastica che dall'interpretazione scientifica (che c’è ma è spesso sottaciuta), più da un Medioevo onirico
che da quello reale. Ad esempio, la moneta italiana da un centesimo di euro è dedicata proprio a Castel del Monte: ebbene, pure il serissimo periodico «Cronaca numismatica», sponsorizzato dall'Istituto Poligrafico dello Stato, nel dicembre scorso ha pubblicalo un servizio intitolato Astronomia, storia e misteri sull'euro-centesimo italiano. Servizio che insiste proprio sui presunti contenuti esoterici e magici che starebbero dietro l’edificio.

Esoterismi e superstizioni a parte, l’infatuazione per Federico II capita anche tra vip di fama internazionale e certo dotati di strumenti culturali d’altissimo livello. Il maestro Riccardo Muti (di madre molfettese), ad esempio, durante la visita nel luglio del 2001 a Istanbul col suo «Ravenna Festival», disse: «Io da buon pugliese sono seguace di Federico II che proprio in Puglia aveva reso possibile la convivenza di cristiani, ebrei e musulmani. I nostri pellegrinaggi nel mondo hanno proprio questo intento».

Ma la testimonianza più toccante è probabilmente quella di uno scienziato, Giancarlo Logroscino, barese, oggi professore di Neurologia ed Epidemiologia a Boston. Ci ha scritto: «Io e mia moglie Beatrice abbiamo chiamato mio figlio Federico, nato a Boston lo scorso ottobre, proprio ricordando Federico II. Siamo lontani dalla nostra terra in un paese diverso. Quindi abbiamo pensato che questo arrivo in una terra lontana dovesse essere segnato da un ricordo, da una traccia delle nostre origini». «Forse - conclude Logroscino - molte di questo cose appartengono al mito. Ma per chi sta lontano i miti rivestono un’importanza ancora più grande, soprattutto pensando all’imperatore del passato e al futuro di mio figlio, Federico».

La morale? Probabilmente ancora oggi quello di Federico II in Puglia mantiene e rinnova, a torto o a ragione, lo scopo primordiale dei miti: aiutarci ad aver meno paura di fronte a quello che ci attende.

 

 

Marco Brando

 
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dal "Corriere della Sera-Corriere del Mezzogiorno" del 13/04/2005

 

  

 

 

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