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«Le immaginazioni poetiche non devono per forza coincidere con la realtà storica. Questo vale anzitutto per il secolo XII e i primi decenni del Duecento, quando in Germania il Meridione era una regione tanto lontana, quasi esotica, favolosa come l’Oriente, connotata comunque quasi esclusivamente in modo positivo. Saranno poi le crociate a determinare conoscenze più chiare della zona».

MAX SILLER

 

Federico II e la Puglia,

confronto senza suggestioni

 

Il docente dell’Università di Innsbruk commenta il rapporto tra l’imperatore e la regione

a cura di Marco Brando

 

Se  Federico II è oggi più o meno caro ai pugliesi, come lo ricordarono durante il Medioevo tedesco i suoi conterranei, di cui pure è stato sovrano e imperatore? La domanda mi è sorta spontanea dopo aver letto un’interessante intervista di Marco Brando al professor Raffaele Licinio, professore ordinario di Storia medievale nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bari e direttore del Centro di studi normanno-svevi. Licinio in quella sede ha affermato che l’imperatore Federico II frequentava la Puglia, «ma non era certo il suo chiodo fisso», e che certamente non vi svolse le sue imprese per «una particolare predilezione».

Per Licinio, la famosa espressione puer Apuliae non può valere, di per sé, da argomento per provare uno speciale «legame con il tacco d’Italia»: anzitutto perché all’epoca Apulia si riferiva anche (almeno parzialmente) alla Basilicata e alla Calabria, in alcuni casi a «tutto il Mezzogiorno non insulare»; in secondo luogo perché essa è stata utilizzata come «una sorta di affronto» negli ambienti favorevoli a Ottone IV, rivale di Federico II per la corona imperiale. In un successivo numero del Corriere del Mezzogiorno (5 marzo), Rina Durante, nell’articolo «Federico II - Radice di una Puglia laica», non si è dichiarata d’accordo con Licinio. Scrive: «A noi sembra che a testimoniare l’attaccamento di Federico II alla Puglia basterebbero   quella stupenda costruzione che è Castel del Monte e le tracce  del  suo  passaggio  in questa  regione».  Nel  Castel del  Monte  Durante  vede  la «rustica eleganza che è un tratto fondamentale dei pugliesi». E conclude: questo fenomeno «potrebbe essere un elemento prezioso  per  definire  l’altra faccia della pugliesità, la radice di una cultura laica nella terra di Padre Pio».

Da parte della mia disciplina, Letteratura e lingua medievale tedesca, non posso, ovviamente, pronunciarmi attorno alla «pugliesità» di Castel del Monte o sulla «cultura laica nella terra di Padre Pio». Vorrei accentuare però qualche aspetto dal punto di vista della poesia tedesca. Ad esempio, il termine «Apulia». Nel 1220 vediamo Walther von der Vogelweide, il maggior poeta lirico del Medioevo tedesco, mendicante davanti a Federico II (che dopo sette anni stava per lasciare la Germania). Gli chiede che, in considerazione della sua «preziosa arte» (rîcher kunst), gli venga data una casa propria. Apre la sua poesia con un appello: Von Rôme vogt, von Pülle künec, cioè «advocatus Romae» (della chiesa romana), «re della Puglia». Se Walther mette in relazione Federico e la sua dignità regia alla «Puglia», ovviamente si riferisce al regno, cioè all’intero  Mezzogiorno.

Se poi prendiamo nota dei fatti storici - nel 1220 l’imperatore non aveva ancora conosciuto a fondo la Puglia (torna nel regno di Sicilia appunto alla fine del 1220) - si può vedere nell’espressione usata dal poeta tedesco un’ulteriore conferma che con la Puglia/Apulia si soleva, almeno in Germania, alludere a tutto il complesso regio meridionale. In questo senso (come un’immensa area territoriale, composta da vari "sub-regni") sembra essere stata immaginata la Pülle anche in un romanzo tedesco del 1160 circa, il König Rother: il protagonista reale risiede a Bari (mit vil grozenerin, «con grande onore pubblico») e dispone di settantadue re feudatari. Ovviamente le immaginazioni poetiche non devono per forza coincidere con la realtà storica. Questo vale anzitutto per il secolo XII e i primi decenni del Duecento, quando in Germania il Meridione era una regione tanto lontana, quasi esotica, favolosa come l’Oriente, connotata comunque quasi esclusivamente in modo positivo. Saranno poi le crociate a determinare conoscenze più chiare della zona. Il poeta tirolese Friedrich von Sonnenburg, per esempio, da giovane era stato senza dubbio nell’esercito di vassalli svevi (1251-1254, insieme a Corrado IV?) a Salerno.

E che dire della relazione tra i castelli e il presunto attaccamento di Federico II alla Puglia? Non penso che ci sia in tutta Europa un solo castello che sia stato costruito a causa dell’«attaccamento» del costruttore o del committente (nobile o re) alla gente della regione! Sarebbe  invece,  in molti casi, facile per lo storico dirci chiaramente che i castelli servivano in particolare per il controllo e il dominio. Basti accennare alla rivoluzione contadina del 1525 in Germania: i castelli erano il primo obiettivo da distruggere per i rivoltosi. Ma abbiamo, per l’età di Federico II, notizie di prima mano: quelle fornite da Freidank, un poeta svevo contemporaneo, forse coevo, «mezzo compaesano» dell’imperatore. I due nel 1228 erano insieme in Terrasanta. Il poeta commenta  la  crociata  e  poi esulta: Got unde der keiser hânt erlôst / ein grap, deist aller kristen trôst!, «Dio e l’imperatore hanno liberato quel sepolcro, che è la consolazione di tutta la cristianità!». Quel Freidank dunque, nella sua opera Bescheidenheit («discretio, sapienza»), nel Medioevo ampiamente diffusa in Germania, in due brevi versi «descrive» la funzione dei castelli dal punto di vista di una persona semplice: Dar umbe hât man bürge, / daz man die armen würge, «Si costruiscono i castelli / per strangolare la povera gente». Non c’è bisogno di ulteriore commento.

Ovviamente si tratta di una sentenza basata sulle esperienze personali di Freidank, una specie di proverbio, e come tale esso può essere generalizzato, sia pur fino ad un certo punto. La decisione se codesto detto sia erroneo proprio nel caso di Castel del Monte, la devo lasciare agli storici. Non suppongo tuttavia che proprio nella Puglia la storia si sia sviluppata in un modo tanto diverso. Leggo per altro nel recente libro Castel del Monte - Un castello medievale, a cura di Raffaele Licinio (Adda editore, 2002): «Nel 1246, vivo ancora l’imperatore, il castello è già utilizzato come carcere»; e poi: «Ogni castello medievale, in fondo, è in sé un carcere potenziale». Ricordo ancora che nel 1246 in castro Sancte Marie de Monte Manfredi fece imprigionare il dominus Marino di Eboli con il figlio Riccardo, «et fecit eos cecari, et morti fuerunt».

Viene in mente, a questo punto, la questione della «simpatia dei pugliesi per il Grande Imperatore». Si possono riscontrare casi analoghi ovunque. Ne cito uno della mia zona, il Tirolo. L’imperatore Massimiliano I (1459-1519), si dice, «amava» il Tirolo: vi trovava soldati per le sue innumerevoli guerre (per esempio contro Venezia), miniere da sfruttare e ricche possibilità di caccia. Ai contadini che, per impedire enormi danni causati alle colture dalla selvaggina, osavano uccidere un cervo o un camoscio, faceva tagliare la mano o li faceva ammazzare. E ammucchiò tanti debiti che alla fine, nel 1518, gli albergatori di Innsbruck non gli diedero neanche più alloggio. Oggi invece? Tutta la città di Innsbruck è piena del "buon" imperatore: Maximilianstraße, Museum Maximilianeum, Museum Zeughaus Kaiser Maximilian I., Hotel Maximilian, Kiwanis-Club Innsbruck- Maximilian ecc. Uno strano fenomeno? No, è semplice: perdita della memoria storica (e ignoranza) da una parte, affarismo dall’altra.

Ci sono però, se paragoniamo questi casi analoghi (Federico II e la Puglia / Massimiliano I e il Tirolo), degli elementi non del tutto assimilabili. Se ad un abitante di Innsbruck, da storico spieghi il lato oscuro del «suo» Massimiliano, ti dirà: «E che cosa m’importa?». A proposito di Federico e la Puglia, invece, ho potuto rendermi conto, anche direttamente, di quanto radicata sia la «passione» di tanti pugliesi per lo Svevo. Questo «innamoramento» da una parte mi ha sempre sinceramente commosso, dall’altra, sottoposto ad un’attenta verifica storica, mi sembra troppe volte nascondere imprecisioni, incongruenze e stereotipi. Ecco, questo mi sentirei di dire all’«innamorato» di Federico II: vogliamo infine confrontarci sullo Svevo serenamente e senza preconcetti?

 

Max Siller

 
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