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                                Cerco in libreria e finalmente trovo Il cavaliere del Giglio.
                                So che è uscito da pochi giorni.
                                
                                 
                                Non nascondo le mie perplessità. Si tratta di
                                intraprendere la lettura di un romanzo storico
                                letterario, incentrato per di più su di un
                                personaggio, Farinata degli Uberti, conosciuto
                                sui banchi del Liceo grazie alla Divina
                                Commedia.
                                
                                 
                                Avevo di lui un’idea di superba fierezza, di grandiosa
                                magnanimità.
                                Era un personaggio, quello dantesco, colto nel pieno della
                                sua maturità e consapevole della sua grandezza,
                                di un politico-guerriero, insomma.
                                
                                 
                                Inizio la mia lettura in libreria e mi ritrovo immersa, fin
                                dalle prime pagine, nei vicoli di Firenze
                                antica.
                                Sono catturata dalle atmosfere che l’autrice è riuscita
                                a ricreare.
                                
                                 
                                Schiatta, Neri, Farinata… sono i primi personaggi ad
                                apparirmi. Si tratta del capostipite e degli eredi più
                                giovani della grande famiglia degli Uberti.
                                E così il racconto si dipana tra banchetti, cerimonie,
                                offese, intrighi e cortesie, onori e inganni. Un incontro di famiglie nobili, un mirabile
                                affresco di vita in una città medievale. 
                                Grande è la cura nella ricerca delle parole che rendono più
                                viva la realtà del tempo.
                                C’è anche l’uso di termini, poco frequenti ai giorni
                                nostri, mi vengono in mente “fantesche” o
                                “sestieri”.
                                
                                 
                                Dei primi capitoli mi è rimasta impressa l’immagine di
                                madonna Gualdrada Donati che riceve in casa un
                                cavaliere, Filippo Buoncompagni (che transita
                                sotto le sue finestre) per presentargli la
                                figlia Gemma e tessere un piano di vendetta
                                contro le famiglie avversarie.
                                
                                 
                                è uno dei tanti episodi di questo romanzo che descrivono
                                l’ambiente e gli intrighi della Firenze
                                medievale. Mi riporta alla memoria le pagine su
                                Andreuccio da Perugia nei vicoli
                                napoletani.
                                
                                 
                                Siamo intorno al 1216, periodo in cui, messe da parte le
                                aspre contese legate alle lotte tra Guelfi e
                                Ghibellini, si viveva ancora tranquilli nella
                                cerchia delle mura e si godeva di una tregua già
                                da alcuni “lustri”. Ma è una situazione destinata a non durare a lungo.
                                Basta  un gesto
                                mal interpretato per innescare una catena di
                                ritorsioni e di vendette che riportano a galla
                                come per incanto ciò che sembrava sopito e
                                rigermogliano i semi dell’ inimicizia e
                                dell’ odio di parte. 
                                Firenze assurge  in
                                questo romanzo al ruolo di città-simbolo,
                                dovuta anche alla sua posizione nell’universo
                                dei Comuni toscani: ci troviamo di fronte ad una
                                sorta di imperialismo ”localistico” che si
                                avvale dell’aiuto-appoggio del papato o
                                dell’Impero soprattutto per affermare la
                                propria egemonia su altre città.
                                
                                 
                                Guelfi e Ghibellini, eterno dualismo di una politica di
                                alternanza che ancora oggi viviamo da spettatori
                                più o meno partecipi. Storie piccole e grandi, passioni di parte e passioni
                                d’amore. Ma la vera protagonista è la politica come pratica
                                quotidiana, che connota, come un’etichetta, e
                                “segna”, attraverso il casato, fin dalla
                                nascita.
                                
                                 
                                è un mantello che protegge e scopre, un titolo di vanto, un
                                vessillo, una specie di laica religiosità che
                                chiede continua dedizione e invade i singoli
                                atti, anche quelli più scontati. Una politica che trascende le passioni  e
                                fa prevalere, laddove è  necessario,
                                la ragion di Stato. Basti pensare alla storia d’amore di Farinata con la
                                bella Adaleta, fanciulla nobile  della
                                nemica Siena (che non esita ad impugnare le armi
                                ed a indossare  le
                                vesti di guerriera per difendere la sua patria)
                                o a quella del fratello Neri con Gemma di
                                Zingane dei Buondelmonti, guelfo e, dunque,
                                acerrimo nemico degli Uberti.
                                
                                 
                                Pace e guerra, altro eterno dualismo o meglio, “mito
                                motore“ dell’esistenza umana. Armi da guerra ed apparati di pace. Cortei, processioni,
                                vessilli e, di contro, macchine da guerra, torri
                                di difesa, passaggi segreti, fortezze a metà
                                strada (tra Firenze e le città nemiche). 
                                Un intreccio di storie che vedono anche il passaggio del
                                poverello d’Assisi; storie di amori, di
                                agguati, di eretici eroismi (l’episodio di
                                Filippo Buondelmonti a Bologna) che ruotano
                                intorno a Farinata la cui figura
                                pian piano emerge nella sua onestà e
                                generosità. Soltanto all’inizio del romanzo
                                appare un po’ in ombra
                                per la sua verde età.
                                
                                  
                                è
                                infatti il nonno Schiatta (il capostipite) che nella prima
                                parte tiene in mano, assieme ad altri notabili,
                                le redini della politica fiorentina. Toccherà  poi
                                a lui, Farinata, assumere il  ruolo
                                di protagonista. Sarà l’onesto e responsabile custode dell’eredità
                                familiare di fedeltà al partito ghibellino, ma
                                anche alla Patria, che salverà dalla
                                distruzione voluta da Siena dopo Montaperti.
                                La scrittrice lo ha così preservato da un oblio
                                a cui la controparte lo aveva condannato dopo
                                “l’Arbia colorata in rosso” di dantesca
                                memoria. Gli erige non un piedistallo, come aveva fatto
                                Dante, ma quasi un altare, dando vita e spessore
                                ad episodi che il Sommo Poeta ci aveva fatto
                                solamente intuire.
                                
                                 
                                Conferisce così maggiore umanità alla sua figura, e -
                                grazie al suo intuito femminile e alla sua
                                fantasia colta e raffinata - ricuce le
                                crepe di una memoria storica
                                distrutta dai Guelfi. Ne risulta, quindi, un’immagine a tutto tondo della
                                personalità di Farinata, della sua umanità di
                                padre e di marito, oltre che di “patriota”
                                di politico e di condottiero invincibile.
                                
                                 
                                I versi di Dante scandiscono questa storia avvincente che
                                abbraccia un periodo di cinquanta anni;
                                una storia fatta di politica con le sue
                                crudeltà, ipocrisie, intrighi, ma anche slanci
                                di generosità e soprattutto fedeltà agli
                                ideali. Altri personaggi popolano il racconto:
                                un’alternanza di
                                papi, imperatori, autorità
                                religiose e laiche; persino
                                l’Inquisizione con le sue accuse di eresia
                                come instrumentum
                                regni, e le sue torture; le connivenze, gli
                                eroi buoni e cattivi, le battaglie. 
                                L'Aquila e il Giglio,
                                ovvero l’Impero e 
                                la
                                Patria. La città del giglio e la fede ghibellina, due entità non
                                sempre conciliabili; fonti di continui tormenti
                                e di scelte combattute.
                                
                                 
                                Un grazie a Carla Maria Russo per avermi dato
                                l’opportunità di entrare più da vicino in un
                                periodo così denso di fatti, pur nella
                                consapevolezza che, come in ogni romanzo
                                storico, ci troviamo di fronte al
                                “verosimile”, più che al “vero”. 
                                    
                                Giulia
                                Notarangelo 
                                
                  
                                     
                  
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