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a cura di Felice Moretti


di Felice Moretti

Gerona, Tesoro della Cattedrale: cavaliere e serpente.


In questo fantastico mondo romanico dove sogno e realtà si confondono, dove il tempo stesso si dilata e si contrae a piacimento, dove scene e personaggi possono cambiare in ogni momento forma e figura, la combinazione in serpente di talune di esse trascina il pensiero in antichi miti.

Il serpente è uno dei simboli più importanti dell'immaginario collettivo. È l'animale che si presta ad una vastissima gamma di interpretazioni e di ruoli, di direzioni simboliche crescenti, «un vero e proprio nodo di vipere archetipologico». È «l'animale-metamorfosi» per eccellenza, per la sua facoltà di rigenerazione; è il doppione animale della luna, «perché scompare e riappare con lo stesso ritmo dell'astro e conterebbe tante spire quanti giorni conta la lunazione», perciò è legato ai differenti simboli teriomorfi del Bestiario lunare.

Triplice simbolo della trasformazione temporale, della fecondità e della perennità ancestrale, il serpente scivola verso significazioni differenti e contraddittorie.

Fu simbolo del Salvatore presso alcune sette ereticali del I secolo. Gli Gnostici della setta di Seth onoravano come divinità un serpente leontocefalo a cui avevano dato il nome di Clycon e, investendolo di un ruolo messianico, l'avevano reso partecipe della natura divina, con l'attribuire al Logos, cioè al Verbo divino, la forma di un rettile perché fu uno degli antichi emblemi della Saggezza eterna unita al Verbo divino.

Contro gli Gnostici si levò sant'Ippolito che condannò la setta di Seth, dimostrando il carattere pagano delle loro credenze. Anche gli Ofiti fecero del serpente il simbolo del Signore, lo adorarono sotto quest'aspetto nelle cerimonie religiose, rappresentandolo con testa di leone, di aquila o di montone e assegnandogli un posto d'onore nella gerarchia religiosa, superiore a quello di Cristo. Fu considerato possessore e dispensatore dei tesori della terra e intermediario fra la terra e il cielo.

Soggetto a incontrollabile polimorfismo nell'arte della decadenza romana, Attila, il terribile re degli Unni vinto nel 451 a Chalons-sur Marne, fu rappresentato con volto umano e corpo di serpente che si inarca e si torce sotto i piedi dell'imperatore Valentiniano o Marciano, che stringe nella mano destra la croce vittoriosa.

La mitologia universale legata alla bestia strisciante dà ragione della polivalenza del suo simbolismo. In Egitto incarnava il "Dio Grande", triplice ed unico il cui potere era in cielo e in terra, ed era raffigurato con gambe umane ed ali. Considerati ancora come incarnazione di genii buoni, i serpenti erano adorati come protettori delle grandi città egiziane e venerati con nomi propri: KNOUMIS, AMONOU, ANK-MOUTEROU, TOKA-HER. A questi genii buoni si opponeva APOP o APOPHIS, principe del male che aveva potere su tutti gli spiriti cattivi. Altra personificazione del dio del male era TYPHON o SET.

Anche le antiche religioni orientali dell'Assiria, della Caldea, della Cina e dell'India consideravano i serpenti come divinità o come gemi del bene e del male. Sulle antiche rive del Mediterraneo orientale l'animale svolgeva un ruolo importante nelle cerimonie religiose e nei riti cultuali di ASTAROTH. La Grecia ha conosciuto serpenti misteriosi e celesti: il piú divino fu quello di ZAGREUS-DIONYSOS, il piú infernale, quello di APOLLO, il PYTHON. In Grecia come nell'antica Roma incarnava il genio del Bene, Daimon-agathos e quell'Agatho-demon fu una delle personificazioni di Bacchus-Dionysos.

Strabone racconta di una tribú detta degli Ophiogeni che credeva essere imparentata ai serpenti e dove tutti gli uomini guarivano i loro morsi con la semplice imposizione delle mani sulla ferita. Questo potere, racconta ancora Strabone, derivava dal fatto che il capostipite di quella tribú era stato un eroe che da serpente fu trasformato in uomo. Secondo Plinio il Vecchio, esisteva un'altra tribú di Ophiogeni in Frigia, che credeva discendenti di un serpente sacro, considerato come nume tutelare della famiglia e partecipante della natura divina.

Il cambiamento di pelle a cui è soggetto il serpente ogni anno, fu considerato presso gli antichi l'immagine simbolica delle felici trasformazioni spirituali e fisiche dell'uomo. Il misticismo cristiano ne ha fatto riferimento quando ha affermato che il fedele deve spogliarsi del "vecchio uomo", come il serpente si spoglia della sua indesiderabile veste per indossare la nuova. Gaston Bachelard lega la facoltà del serpente di "fare pelle nuova" all'immagine dell'uroboro, del serpente colto a mangiare indefinitivamente se stesso: «Il serpente che si morde la coda non è un semplice anello di carne, è la dialettica materiale della vita e della morte, la morte che esce dalla vita e la vita che esce dalla morte, non come i contrari della logica platonica, ma come una inversione senza fine della materia di morte o della materia di vita». Questa immersione nel mare profondo della psicanalisi di Bachelard o di Freud (che vede nella forma oblunga del serpente e nel suo modo di scivolare, la virilità del pene) è determinata sì dalla morfologia dell'animale, in uno però con l'antichità del mito ad esso relativo.

Abbiamo visto come questo animale abbia occupato costantemente un posto singolare e privilegiato nella cultura di antichi popoli e sia stato adorato e venerato come dio o demone: attributo di divinità come Asclepio e Igea, simbolo di eterna rinascita, e simbolo della luce presso i Fenici e i Caldei, emblema solare, sacro ai faraoni in Egitto.

Pur con differenti caratteristiche anatomiche, il serpente è iconograficamente associato al drago e al basilisco, dai quali, tuttavia, si discosta nell'interpretazione simbolica delle antiche e diverse culture. Se il basilisco - un po' meno il drago - ha ereditato dalla cultura pagana un ruolo negativo, tanto che gli autori dei Bestiari medievali hanno fatto di quest'ibrido animale l'immagine dello spirito del male, il serpente invece è stato accolto anche in chiave positiva dalla simbologia cristiana. Si dimentica spesso che oltre a qualità malefiche comunemente attribuitegli, è talora un simbolo di Cristo e come tale iconograficamente rappresentato: prefigurazione di Cristo già presso gli Gnostici e gli Ofiti.

A proposito del duplice senso dei simboli, negli scrittori ecclesiastici la opposta interpretazione è tratta dai noti episodi v­terotestamentari: la tentazione e caduta dei progenitori; il prodigio della trasformazione del bastone in serpente dinanzi al Faraone, compiuto da Aronne; il serpente di bronzo di Mosé capace di guarire dal morso dei serpenti vivi. Per Clemente d'Alessandria è l'animale ingannatore; per Ireneo e Giovanni Crisostomo è invidioso dei doni elargiti all'uomo da Dio; per Girolamo e Agostino è l'immagine del peccatore. Il Fisiologo ne parla in termini positivi; Rabano Mauro in termini positivi e negativi accentuandone la natura negativa. Per Isidoro di Siviglia, è il simbolo della lussuria, desideria carnis. Dall'XI al XIV secolo la figura del Salvatore è iconograficamente richiamata su numerosi pastorali di vescovi e di abati, terminanti in volute modellate a testa di serpente con la croce fra i denti, a significare la guida sicura del vescovo o dell'abate nel governo della diocesi loro affidata. D'altronde, la positività del simbolo legato al rettile è riscontrabile anche in un passo del Vangelo di Matteo (X, 16), nelle parole di Cristo ai suoi discepoli: «Siate prudenti come il serpente e semplici come colomba».

Legato, in età classica, al culto di Esculapio, dio della medicina, ancora oggi esistono in Occidente tracce che conducono il serpente a questo culto. Nella cinta di Luco c'è ancora ai nostri giorni, una "Madonna delle Grazie" che gioca col serpente, e a Bolsena, con la festa dei serpenti si festeggia santa Cristina. La Basilica di S. Ambrogio in Milano conserva un grosso serpente di bronzo fissato su un antico capitello. Antico simbolo di Esculapio o ex voto offerto al dio, la superstizione popolare milanese attribuiva ad esso, fin sulla soglia dell'età moderna, dei poteri taumaturgici capaci di guarire i fanciulli dai vermi intestinali. A1 culto della Grande Madre Angitia è riferibile ancora l'attuale festa dei Serpari a Cocullo, in provincia dell'Aquila, il primo giovedì di maggio. Cristianizzata nel primo Medioevo, la festa commemora san Domenico di Foligno (morto il 1031). Invocato contro i morsi dei serpenti, come l'antica dea Angitia, grazie al santo, narra la leggenda, le serpi intorno a Cocullo persero il veleno.

Nel Genesi, la valenza ermeneutica della bestia si capovolge sino a diventare simbolo di Satana e dei malvagi che ad essa si associano, come si legge anche in un altro passo dello stesso Vangelo di Matteo: (XXIII, 33) «serpentes genimina viperarum».

Cattedrale di Bitonto, rosone meridionale: il serpente tentatore.

La scena biblica della cacciata dal Paradiso terrestre di Adamo ed Eva, tentati e sedotti dal serpente Satana, la si legge anche nel rosone meridionale della cattedrale di Bitonto. Ai piedi di un albero, forse una palma carica di frutti, Adamo gusta il frutto proibito mentre con la mano destra abbraccia l'albero e con la sinistra copre le sue vergogne. A1 di sopra di Adamo, in una posizione verticale iconograficamente strana, appare Eva che, appollaiata sull'albero, morde il frutto. In una cornice attigua à raffigurato il serpente seduttore, un enorme bestione dalla pelle chiazzata che striscia sull'albero.

L'immagine-simbolo del serpente, fossilizzata nelle tradizioni religiose dell'intera umanità, ereditata poi dal cristianesimo, pur con orientamenti teologici mutuati, non ha subìto nel suo arcaico e meta-psicanalitico percorso interruzione di continuità. L'accertamento del suo senso simbolico - sia se la figura è isolata da ogni altro contesto, sia se inserita nella scena del peccato dei progenitori - non propone difficoltà all'interpretazione.

La diffusione dei Bestiari, a cominciare dal Fisiologo, hanno reso il serpente uno dei protagonisti principali di questo genere letterario e di quello iconologico.

Se per il serpente, per il caprone o per il delfino non si può parlare di "lenta dissolvenza di tensione allegorica", non altrettanto si può dire per altri animali sia considerati isolatamente sia in contesti iconologici complessi, come ad esempio una scena pastorale o di caccia che, in età precristiana esaltavano figurativamente certe qualità morali, in età cristiana, invece, erano difficilmente interpretabili alla luce di una nuova visione del mondo e della sua moralità. Di qui, la difficoltà di intelleggibilità in chiave cristiana, di certe scene raffigurate nell'arte cristiana medievale come le cattedrali. Un esempio molto significativo è dato dalla scultura di una scena di caccia nel rosone meridionale della cattedrale bitontina, «l'accertamento del cui senso simbolico - come ci avverte Pasquale Testini - richiede una prudenza metodologica per lo studio del prodotto artistico, frutto d'incontro di artefice e committente ciascuno portatore di cultura e di opzioni, (che) rischia di essere stravolto nel suo valore di testimonianza storica se non lo si colloca nella temperie artistica e ideologica cui specificatamente si debbono la sua forma e il suo contenuto».

Alla luce di queste acute osservazioni, incerto resta per noi il significato simbolico del cacciatore che, nel rosone bitontino, con un lungo bastone, forse un'arma da lancio, tenuta nella mano destra, cavalca un cinghiale.

    

Da leggere:

E. Mâle, L’art religieux du XII siècle en France, Paris 1947.

F. Zambon (a cura di ), Il Fisiologo, Milano 1975.

Charbonneau-Lassay, Le Bestiaire du Christ, Arché, Milano 1980.

R. Guènon, Simboli della scienza sacra, Milano 1987.

G. Durand, Le strutture antropologiche dell’immaginario, Bari 1972.

F. Moretti, Specchio del mondo. I ‘bestiari fantastici’ delle cattedrali, Fasano 1996 (da cui sono tratte le immagini di questa pagina).

   

    

©2004 Felice Moretti

 


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