Sei in: Mondi medievali ® Medioevo e Medicina ® Per una storia della medicina antica e medievale ® La medicina nell'alto Medioevo ® 5. Le epidemie


     MEDIOEVO E MEDICINA    

a cura di Raimondo G. Russo


  ì


    Premessa  -  1. Alcuni cenni storici  -  2. La medicina barbarica  -  3. La CHIESA E LA MAgia  -  4. La medicina e la chirurgia  -  5. EPIDEMIE  -  6. APPROFONDIMENTI E CURIOSITà


5.3.1 LE EPIDEMIE DI PESTE

     

   

La storia dell'antichità riporta numerose descrizioni di epidemie di peste.

Il termine veniva usato per indicare  le malattie infettive a carattere epidemico e gravate da una letalità elevata.  

Si svilupparono pandemie pestose a partire dalla cosiddetta peste di Giustiniano (541-543), che devastò il bacino mediterraneo. Un'altra grande pandemia si ebbe nel quattordicesimo secolo: originata nell'India si diffuse in tutta l'Europa, ove si stima che causò circa 25 milioni di morti (oltre alla stima di  circa 23 milioni di vittime in Asia). Attorno al 1330 la peste dall'oriente inizia la propria migrazione verso ovest seguendo le vie commerciali. Nel 1345 è nel basso Volga, nel 1346 raggiunse Astrakhan, il Caucaso e l'Azerbaijian, Costantinopoli e l'impero bizantino.

Nell'autunno del 1347 Alessandria, e dall'Egitto si diffuse verso sud lungo il Nilo.

Costantinopoli devastata dalla peste (541-543)

La peste che nel secolo VI colpì Costantinopoli fu così violenta che cambiò per sempre il volto della storia.

Tale pestilenza avvenne nel 15° anno dell’impero di Giustiniano. Al culmine della ascesa del contagio si calcola che vi fossero anche 10.000 decessi al giorno. Lo stesso Giustiniano fu colpito dalla malattia.

Il numero totale dei morti non è noto ma alcuni storici suppongono che possa essere stato superiore a diverse centinaia di migliaia. 

Molte delle informazioni sono dovute a Procopio, consigliere legale del generale Belisario.

Costui accompagnò Belisario nelle sue missioni nel bacino del Mediterraneo al tempo della insorgenza della epidemia ed è attraverso le sue annotazioni che la realtà della sofferenza divenne nota in tutta Europa.

 

La malattia iniziò a Pelusio, porto egiziano (sul delta del Nilo) che fu infettato ed invaso dai ratti. Di seguito si diffuse ad Alessandria e poi in Siria e nella Palestina.

Procopio ci ha lasciato una descrizione della sintomatologia piuttosto cruda: febbre violenta, bubboni e pustole in ogni parte del corpo, delirio e morte (anche per suicidio).

In realtà solo chi aveva contratto il bacillo direttamente dal contatto con il portatore (la pulce infetta portata dai roditori) rischiava la morte, molti restavano vivi e non esisteva possibilità di contagio uomo/uomo.

Normalmente la malattia aveva un brusco peggioramento. Alcuni morivano improvvisamente, mentre altri rimanevano vivi in uno stato di violento delirio.

La città riuscì a superare apparentemente con danni relativamente bassi la peste, e a ciò concorsero sicuramente le ottime condizioni igieniche della vita bizantina ivi comprese le sue strutture urbanistiche.

Procopio [1] scrisse: «Da tal luogo sembrò che si spargesse in tutto il mondo, tale catastrofe era così preponderante che l’intera razza umana sembrava vicina ad essere annientata». Il problema era che nessuno immaginava quale ne fosse la causa. Solo molti anni dopo si conoscerà la causa batterica e parassitaria veicolata dai ratti che infettavano gli alimenti e le bevande.

Procopio scrisse che tutte le vittime avevano sintomi simili: «Avevano una febbre improvvisa, alcuni durante il sonno, atri mentre camminavano ed altri mentre erano occupati, senza riguardo a quale fosse l’attività». Poco dopo c’era una specie di gonfiore crescente. L’addome, le ascelle, le cosce e  le orecchie erano le parti del corpo più colpite. Le ghiandole linfatiche erano poi invase. Venivano chiamati bubboni e questo diede il nome alla malattia.

 

    

Alcune vittime entravano in coma e morivano durante il sonno. La morte peggiore, tuttavia, era quella che avveniva in vittime consce e mentalmente sveglie, mentre il contagio devastava i loro corpi. In alcuni casi una fuoriuscita di pus significava che la vittima stava migliorando, in altri il gonfiore semplicemente scompariva, anche se la morte era improvvisa, come per un avvelenamento.

Da ultimo, alcuni sopravvissuti riguadagnavano una perfetta salute. Coloro che guarivano erano considerati essere immuni. Essi erano quindi posti a trasportare e a bruciare migliaia di corpi ogni giorno. Presto tali “becchini” si ammalavano nuovamente, questa volta cadendo vittime della peste.

L'appestato

La popolazione di Costantinopoli iniziò a depositare i corpi ovunque capitava. I corpi erano posti nelle torri, sui tetti, nell’acqua o erano bruciati. Alcuni vennero lasciati nelle case ad imputridire. Si diffuse anche la fame, poiché i mulini per la macina del grano smisero di operare. Il danaro ed il cibo vennero asportati dalle vittime, nel nome di Giustiniano.

Giusto quando la epidemia sembrava al suo picco massimo, scomparve. L’inverno aveva arrestato la malattia, assieme alla dispersione della popolazione nelle vicine aree rurali. La peste rimase in vita, ciononostante. Sebbene i batteri si fossero ritirati, essi non furono per nulla debellati.

Il termine (dal latino peius, «peggio», poiché è la "peggior malattia"), usato dai traduttori latini della Bibbia e delle opere greche, non identifica un'unica malattia, o comunque quadri clinici omogenei: indica semplicemente una "gravissima malattia epidemica" [ 2].

Vari termini sono state utilizzati, a partire da Tito Lucrezio Caro (De Rerum Natura, VI, 1090-1286) per descrivere o anche definire la terribile malattia o i suoi effetti; in latino: pestilitas, mortifer aestus, clades nova, maeror, morbida vis, morbus, ed in greco, due secoli prima, da Tucidide: kakòn, da cui cachessia, pàthos, da cui patologia, e nòsos, da cui nosologia. Ed anche: ab-pistatus (appestato), «pesto al di dentro»; dal greco: epì dèmon, «sopra il popolo», da cui epidemia.

    

 

La peste di Atene

Epidemie di peste

410 a.C. la peste di Atene, descritta da Tucidide

395 a.C. peste di “Diodoro”, storico siciliano, Siracusa

126 – 125 a.C.  peste libica, descritta da Paolo Orosio

167-170 d.C. peste Antoniana , nell’area mediterranea

252 – 267 peste di Cipriano, vescovo di Cartagine, che la descrisse

541 – 543 peste di Giustiniano

654 peste nell’area centro-settentrionale dell’Italia

747 – 767 peste nel Mezzogiorno

1348 Peste Nera

Nel Medioevo, si susseguirono ben 34 pestilenze dal 1000 al 1400.

    

Brevi note

   

La peste è una malattia infettiva provocata dal batterio Yersinia pestis, parassita della pulce dei ratti (dal nome dello scopritore svizzero A. Yersin, nel 1894). L'incubazione è brevissima, da uno a tre giorni: seguono febbre altissima con delirio e tre tipi di manifestazioni cliniche, in rapporto alla virulenza del germe.

Tale batterio infetta circa 100 diverse specie animali inclusa la specie umana, ad esempio roditori quali ratti scoiattoli, cani della prateria, gerbilli, topi campagnoli.

La trasmissione agli esseri umani avviene sopratutto tramite ospiti intermedi. 

La più evidente è la peste bubbonica, se il contagio è avvenuto per via cutanea.

In tal caso si ha l'ingrossamento delle linfoghiandole nella zona dell'inoculazione; il bubbone (della grandezza di un uovo) suppura nell'arco di una quindicina di giorni, con la formazione di un ascesso.

La mortalità è di circa il 50%.

Se la trasmissione è diretta fra uomo e uomo si possono avere la peste polmonare e quella setticemica (detta anche peste nera, per le caratteristiche manifestazioni cutanee). In questi casi il decorso è brevissimo e quasi sempre mortale. In ogni caso è sempre la pulce della specie Xenopsylla Cheopis la portatrice del batterio con cui infetta i ratti, sia del tipo comune (Rattus Rattus) sia il cosiddetto ratto delle chiaviche (Rattus Norvegicus), i quali a loro volta sono i "portatori", appestati, della malattia. 

La trasmissione diretta da uomo a uomo avviene soltanto per la peste polmonare; la peste bubbonica segue la via di trasmissione indiretta, mediata dalle pulci dei ratti. Anche la pulce dell'uomo (Pulex irritans) può trasmettere la peste da malato a sano.

   

Rimasta endemica in Europa, la peste riapparve anche in conseguenza delle migrazioni dei ratti e del  passaggio dei grandi fiumi europei da parte di intere colonie del Rattus Norvegicus.

Particolarmente gravi da un punto di vista socio-economico furono le epidemie nel Milanese del 1576-1577 (la "peste di S. Carlo") e del 1629-1630 (narrata da Manzoni); la peste di Londra del 1664-1666; la peste di Mosca del 1771, in cui morirono più di 50.000 persone; e infine la grande epidemia del 1894-1900 che, sviluppatasi dalla Cina meridionale, investì l'India, l'Egitto, il Giappone e in seguito Europa e Stati Uniti.

 

  


1 Procopio, De Bello persico (II, 22).

2  G. Cosmacini, L’arte lunga, ed. Laterza, Roma-Bari, 2001, p. 99-114.

   

  

©2005 Raimondo G. Russo

  


indietro

Torna su

Medioevo e medicina: indice Home avanti