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     MEDIOEVO E MEDICINA    

a cura di Raimondo G. Russo


  


Premessa  -  1. Alcuni cenni storici  -  2. La medicina barbarica  -  3. La CHIESA E LA MAgia  -  4. La medicina e la chirurgia  -  5. LE EPIDEMIE  -  6. APPROFONDIMENTI E CURIOSITà


2. LA MEDICINA BARBARICA 3

Alcune aree che non erano sotto il controllo della Chiesa ritornarono alle più primitive forme di medicina, fino a che i monaci non porteranno il cristianesimo in tutta Europa, assieme alla medicina di stampo e matrice romana.

La medicina delle popolazioni germaniche era prevalentemente mistica o casalinga: i demoni erano espulsi dal corpo ed i sacrifici appagavano gli dei. Sebbene il misticismo rimase, c'era più confidenza nelle erbe e nella medicina empirica.

Presso i Germani erano gli uomini che controllavano la pratica medica; le donne avevano una funzione particolare, riportata anche da Tacito: «Ad Matres, ad coniuges vulnera ferunt, nec illae numerare et exigere plagus parent» («Essi portano le ferite alle loro madri e mogli, che non temono di esaminare e trattare le piaghe»). Alcune donne-guaritrici erano credute avere poteri soprannaturali.

La medicina, in seguito alle varie culture barbariche, dovette contemperare le varie 

culture con quella classica e la religione, la scienza latina e greca e gli insegnamenti della Bibbia, come appare evidente nell'opuscolo di medicina in versi (Commentario Medicinale) dell'arcivescovo di Milano Benedetto Crespo (681-723). In esso venivano descritti i rimedi della medicina popolare o tratti da Plinio e Dioscoride.

La cultura celtica si era da tempo diffusa nella popolazione: i Gallo-Celti (conosciuti con i nomi di galati, galli e keltoi) avevano una medicina sacerdotale, affidata alla casta dei Druidi, custodi della religione, della medicina, del sapere e della poesia. 

La medicina dei Celti era fondata su due elementi: il potere di guarigione acquisito dai Druidi attraverso tecniche di autoiniziazione, paragonabile a quello degli sciamani in varie culture ad assetto tradizionale, e il ricorso alle risorse della natura, a partire dalle piante e dalle acque termali. I Celti affidavano ai Druidi rituali e impieghi fitoterapici, utilizzando principi attivi naturali di cui avevano una profonda conoscenza.

Riconoscevano Dian Cecht (= dalla lunga presa), quale Dio della medicina e della guarigione (corrispondente all'Asclepio greco) che immergeva i guerrieri  feriti nella sua fonte magica, ridonando loro salute e vita. 

Uccise il figlio Miach perché invidioso della sua abilità medica (aveva riattaccato  la mano a re Nuada) con 3 martellate inguaribili.

Sua figlia Airmed, erborista, rendeva accessibile al genere umano la medicina. Il padre

Croce celtica

Dian Cecht, invidioso, scompigliò le piante e impedì all'uomo di guarire  ogni male. Le conoscenze sono ancora sfruttate non solo dalla fitoterapia, ma anche nella cosidetta "medicina allopatica" moderna per la preparazione di vari farmaci. è il caso, per esempio, della belladonna, tutt'oggi fonte commerciale di atropina, un alcaloide con proprietà antispastiche e antisecretive.

Tra i rimedi che continuano a essere usati anche oggi in fitoterapia, con cui i Celti preparavano tisane, infusi, unguenti e cataplasmi, oppure erano impiegati per fumicazioni, si ricordano l'assenzio, l'artemisia, la salvia, la verbena ed il vischio.

Beth - betulla Nion - frassino Nuir - pruno

Alcuni alberi importanti per i Celti

Ad esempio: il frassino era molto considerato per suoi poteri magici: per correggere il rachitismo dei bambini. Le foglie erano utilizzate come diuretico o lassativo; un letto di foglie di frassino mescolate con felci era molto efficace contro i reumatismi; i suoi semi in polvere erano utilizzati per l'artrosi e il decotto degli stessi è diuretico, lassativo ed antireumatico; l'infuso o il decotto di corteccia era antiemorragico ed un bagno con acqua in cui sia stata sbriciolata della corteccia era indicato per le dissenterie.

Un'altra risorsa naturale ampliamente sfruttata era quella delle acque : basti ricordare che l'attuale città termale di Bath, in Inghilterra, ne forniva già ai tempi dell'invasione romana il beneficio ai locali.

Numerosissime erano le sorgenti che erano sacre ai Celti in quanto ritenute in grado di risolvere varie problematiche (per esempio la sterilità, la lattazione, l'epilessia, le malattie della pelle, ecc.).

Si può parlare di "tecniche di guarigione" anche a proposito della musica e della

danza, a loro volta oggetto di riscoperta recente in ambito terapeutico, così come a proposito del combattimento rituale (la lotta bretone è ancora oggi praticata), dal quale sembra che i Celti traessero benefici affini a quelli forniti dalla pratica delle arti marziali in Oriente. 

In seguito alla loro invasione della penisola, soprattutto i Goti e i Longobardi avevano però apportato nuove regole e nuove, per quanto "primitive", concezioni di cure mediche. 

L'origine della medicina germanica, prima della conquista romana del 51 a.C., era prevalentemente magica e demonistica: «Il medico (lachner) non era più di un mago che con scongiuri e pratiche simboliche, spesso con alte grida, cacciava i demoni dal corpo. Con riti di sacrifici cruenti si placavano gli dei: il sacerdote toccava il malato col dito intinto nel sangue della vittima (kedfinger)». Wotan era adorato quale dio guaritore e la guarigione richiedeva anzitutto un sacrificio, spesso di sangue, allo scopo di placare gli dei.

I pricipali rimedi terapeutici erano costituiti da erbe e piante (tra cui vischio, mandragora, piantaggine, verbena, salvia) assieme però a pietre magiche, a parole magiche ed amuleti.

L'uso delle cure termali, quale già stimato e sviluppato presso i Romani, venne di seguito ulteriormente trasmesso e utilizzato. Infatti fu un re vandalo (Trasamondo, 496-523 d.C ) a restaurare le terme di Agnano. In territorio flegreo, da Cuma a Miseno, a Pozzuoli, fiorenti città come Puteoli svilupparono grandi complessi termali, come quello di Baia, come attesta una lettera scritta nel 527 d.C. per conto di Atalarico, re dei Goti, in cui vengono esaltati l'incanto della natura assieme alle virtù benefiche delle fonti baiane. 

Miniature da Pietro da Eboli, De balneis Terrae Laboris (codice pergamenaceo, scuola campana meridionale, fine XIII secolo). A sinistra: Balneum Sudatorium (in alto a destra, Germano incontra l'ombra del diacono Pascasio; in basso a destra: Cristo apre le porte dell'Inferno).

Le leggi gotiche proibivano severamente l'aborto, vietavano gli aruspici e le magie; condannavano chi incantava gli uomini ed anche chi si rivolgeva ai maghi.

Teodorico ( m. 30/8/526 ) nel suo famoso editto del 500 d.C. (Edictum Theodorici) fu uno dei primi ad accettare l'amministrazione sanitaria e a ristabilire i diritti ed i doveri degli "archiatri"; egli sosteneva che «…tra le arti più utili e che contribuiscono a sostenere l'indigenza della umana fragilità, nessuna può essere anteposta, né esser considerata pari, alla medicina…», ed anche: «Ricordate che peccare nella cura d'un uomo è crimine d'omicidio…». 

Il suo medico, Antimo, scrisse il libro Dietetica tra il 511 e il 526. In esso si spiega la necessità di un nutrimento razionale e si indicano gli alimenti comuni ed il loro utilizzo: carni, pesci, droghe, latte, ecc. 

Altre opere in versi di argomento medico nell'alto  Medioevo e che ebbero grande rilevanza e diffusione, furono Lapidarius, del vescovo Francesco Marlboldo di Algeri; Fisica, della badessa Ildegarda di Bingen;  il poema Della Virtù delle Piante, di Macer Floridus  (uno pseudonimo), e un frammento farmacologico  del medico ebreo Sabbatai, nato ad Otranto.

Nella legge dei Visigoti sulla responsabilità medica era detto che nessun medico poteva salassare una fanciulla senza la presenza di suoi parenti, a  meno di un caso urgente. Venivano anche fissati i compensi per le più  importanti operazioni e per l'insegnamento della  medicina.

Isidoro (570 - 636), vescovo di Siviglia dal 600 al 636, ebbe il merito di aver convertito al cristianesimo i Visigoti. Fu nominato Dottore della Chiesa e fu filosofo piuttosto che medico nel senso stretto della parola. Scrisse un'opera monumentale in venti libri nei quali cercò di racchiudere tutto lo scibile umano dell'epoca: le Etymologiae od Origines.

Il libro IV, dedicato alla medicina, è molto interessante poiché vi si trovano espressi alcuni concetti fondamentali per l'ars medica del tempo: «Alcuni si chiedono perché l'arte della medicina non sia inclusa tra le arti liberali. La ragione consiste nel fatto che mentre queste ultime trattano di cause particolari, essa le abbraccia tutte». 

Secondo Isidoro infatti il buon medico doveva essere un buon retorico per poter comprovare al meglio i suoi argomenti; doveva conoscere al meglio la dialettica, utile nello studio dei casi delle malattie e dei loro trattamenti; la grammatica per poter capire ciò che si leggeva; l'aritmetica e la geometria erano indispensabili nel calcolo dei giorni di durata di una determinata malattia, così come la conoscenza dell'astronomia per capire il rapporto tra lo stato di salute di un individuo e gli astri.

Egli definì la medicina «seconda filosofia» contribuendo così ad aumentare quel divario tra pratica e teoria sul quale già Aristotele si era espresso tempo addietro.

Dal punto di vista etimologico fece risalire il termine stesso di medicina a modus cioè alla "giusta misura" cui doveva essere improntata la vita e la professione di chi la praticava, ribadì il concetto secondo il quale l'assistenza dei malati doveva essere affidata ad una persona pia, ritenendo che gli infermi dovessero essere ubicati in un luogo particolare lontano cioè da rumori molesti e brusii fastidiosi che avrebbero potuto turbare lo stato di quiete degli ammalati.

Nel 654 il re visigoto Recesvindo (633-672) aveva promulgato una legge, la Lex Visigothorum (o Liber iudiciorum), che andava a creare un diritto uguale e unitario per tutti gli abitanti del regno. 

Corona votiva del re visigoto Recesvindo. Madrid, Museo Archeologico.

Tale legge era però troppo avanzata e dopo pochi anni, sconfitti definitivamente i Visigoti, verrà restaurata la "civile" legge dei feudatari, gestita poi dalle gerarchie ecclesiastiche, e infine dagli imperatori germanici. Di diritti umani non se ne parlerà più fino alla Rivoluzione Francese.

I Longobardi acquisirono la cultura dei Romani e, imprimendo un segno indelebile all'eredità del passato, ne determinarono la successiva evoluzione. 

Nella biblioteca ideale dell'VIII secolo, occupavano un posto di primo piano i testi legislativi necessari alla gestione del potere e quelli grammaticali, indispensabile per padroneggiare la lingua latina, ben diversa ormai da quella parlata. 

Non mancavano poi trattati tecnico-professionali, in particolare di medicina, quali ricettari ed erbari. Anche la grande diffusione in età carolingia degli autori classici si basò su una tradizione di studi e testi conservati e riprodotti nella biblioteca longobarda. 

Oreficeria longobarda:
la Corona Ferrea, V secolo, 
Duomo di Monza.

I Longobardi erano ben lungi dall'essere etnicamente omogenei: mentre i nobili erano certamente individui nordici cromagnonidi appartenenti al gruppo sanguigno "A" (quello dei "veri" Germani), gli aldiones e le donne di entrambe le categorie sociali erano probabilmente dei provinciali romanizzati. L'età media era di 30/ 35 anni e la dieta standard era a base di carne (di montone, capra, pollo, mucca e maiale), latte e cereali. 

Il re degli dei era Odhinn-Wodan, il protettore delle stirpe reali (i goti Amali e i dinasti sassoni dell'Inghilterra); attorniato da bersekir feroci come lupi e da valkyrior che trasportano i guerrieri caduti in battaglia, Odino era un nume-mago, invocato per la guarigione.

segue


Note e bibliografia

3 Castiglioni, op.cit, pp. 260-262.

 

 

©2004 Raimondo G. Russo

 


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