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                                C'è nebbia persistente ogniqualvolta si parli e si
                                discuta di Ordini cavallereschi, di quei religiosi-militari che popolano tanti romanzi storici 
                                venati di mistero e di fantasy, frati ospedalieri e
                                armati che pure scrissero una pagina importante del
                                Mediterraneo medievale (e oltre). Non di rado
                                l'opinione comune - ma direi anche quella non comune -
                                non riesce a distinguere tra i cavalieri di Malta e i
                                Templari, tra i cavalieri del Santo Sepolcro e i
                                Gerosolomitani, tra i Teutonici e i cavalieri di Santa
                                Caterina del Sinai... Cosimo Damiano Fonseca, per
                                fornire una «idea del composito universo» degli ordini
                                cavallereschi, ci rimanda a un elenco della fine del
                                Seicento, compilato a Venezia da Bernardo Giustiniani 
                                (che era un confratello dei Cavalieri angelici aureati
                                constantiniani di S. Giorgio!), nel quale si enumerano
                                ben ventisette ordini cavallereschi. 
                                In realtà dall'ultimo decennio del secolo scorso si è
                                risvegliato un rinnovato interesse per la storia di
                                questi Ordini anche nel Mezzogiorno d'Italia. Soprattutto in Puglia, dove insegna, all'Università di
                                Lecce, lo storico Hubert Houben, che è fondatore e
                                direttore del Centro Studi sulla Storia dell'Ordine
                                Teutonico nel Mediterraneo. E dove anche l'archeologia
                                sta contribuendo a chiarire e a documentare la presenza e l'influenza di questi religiosi-militari.
                                Basterebbe, a proposito dei Teutonici, rimandare al
                                sito di Torre Alemanna presso Cerignola, una delle
                                sedi pugliesi dell'Ordine che ha restituito affreschi,
                                tombe e vasellame rinascimentale e seicentesco di
                                grande rilievo, illuminando così materialmente i già
                                conosciuti documenti sulle proprietà, sulle finalità e
                                gerarchie religiose. 
                                L'anno scorso un convegno, organizzato appunto da
                                Hubert Houben e itinerante tra Torre Alemanna, Mesagne
                                e Lecce, aveva fatto il punto sull'«Ordine Teutonico
                                nel Mediterraneo». I convegnisti avevano scandagliato
                                le attività e la presenza dei teutonici non solo in
                                Italia, ma anche in Terrasanta (M. L.
                                Favreau-Lilie), in Grecia e in Armenia (A.
                                Kiesewetter), in Spagna (N. Jaspert), in Francia (T. Kraemer). Ora gran parte di
                                quegli interventi sono diventati un volume prezioso:
                                L'Ordine Teutonico nel Mediterraneo, sempre a cura di
                                Houben (Congedo ed.). 
                                Tutto questo fervore di ricerca storica è
                                dettato non
                                solo dalla volontà di scoprire un «soggetto» del
                                nostro passato rimasto in ombra, ma anche dalla esigenza di liberare i Teutonici da un pregiudizio
                                infamante: quello di essere stati i «bisnonni di
                                Hitler». Come ricorda Houben (e giustamente ne polemizza), la croce nera dello stemma teutonico fu
                                usata nel 1813 come modello per la «croce di ferro»,
                                un'onorificenza escogitata per i soldati prussiani che
                                combatterono contro Napoleone, e rimasta in uso anche
                                durante la prima e seconda guerra mondiale, suggerendo
                                una simbolica continuità tra i cavalieri Teutonici, la
                                Prussia e il nazismo (pregiudizio avvalorato anche dal
                                fatto che i castelli dell'ordine furono usati come
                                centri di formazione dell'élite nazista, ricorda
                                Houben). Furono soprattutto i polacchi a corroborare
                                questo nesso: storici come Karol Gorski e scrittori
                                come Henryk Sienkiewicz scrissero e avvalorarono la
                                tesi di una sostanziale affinità tra i religiosi e i
                                fanatici nazisti. D'altronde pagine contro i Teutonici
                                si possono leggere anche nell'opera  La mia Europa del
                                premio Nobel lituano-polacco recentemente scomparso
                                Czeslaw Milosz. 
                                L'Ordine dei Teutonici fu fondato come confraternita
                                ospedaliera ad Acri in Terrasanta nel 1190, e si mutò
                                in ordine religioso-militare otto anni dopo. Uno dei
                                più celebri maestri della congregazione fu senza
                                dubbio Ermanno di Salza, sotto la cui guida si ebbe la
                                maggiore diffusione. Ermanno riuscì nel miracolo
                                diplomatico di ottenere il favore non soltanto di
                                Federico II di Svevia, ma anche dei papi Onorio III e
                                Gregorio IX. In questo periodo l'ordine ottenne «magnifiche donazioni». Soprattutto in Puglia: dove
                                l'insediamento fu capillare. Dalla prima sede di
                                Brindisi a quella di Barletta, e poi da Mesagne a
                                Torre Alemanna/Corneto, nonché Ginosa. Una fitta rete
                                concentrata maggiormente lungo la costa adriatica e in
                                Capitanata. Che tuttavia, nel XIV secolo, dopo il
                                trasferimento della casa madre da Acri a Venezia e da
                                Venezia in Prussia, cominciò a sfaldarsi. 
                                Particolarmente documentata dalle fonti storiche (e
                                ora anche da quelle archeologiche) è la sede di Torre
                                Alemanna, il cui nome parla chiaro sullo stanziamento
                                teutonico. Un approfondito saggio di Raffaele Licinio
                                trama la vita e le opere dell'ordine, cioè la produzione agricola e pastorale che ferveva nelle
                                masserie daunie e in altri beni rurali, le cui risorse
                                non erano solo destinate all'autoconsumo quanto all'esportazione per i bisogni della confraternita in
                                Palestina e poi in Germania. 
                                Un'attività sulla quale
                                incombe il quesito: i Teutonici «con le loro attività
                                produttive e finanziarie hanno forse dato anche uno
                                stimolo all'economia» del Mezzogiorno medievale
                                (Houben)? Ovvero innestarono nella storia del Sud «il
                                ruolo della dipendenza da decisioni e interessi economici esterni, il peso, in altri termini, della
                                perdita di autonomia gestionale del modello produttivo» (Licinio)? Quesito lasciato ancora nel 
                                mistero: come è giusto che sia per questi cavalieri
                                venuti dal freddo. 
                                  
                                  
                                  
                                Giacomo
                                Annibaldis 
                                
                  
                                   
                                 
                  
                                   
                  
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