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     MEDIOEVO E MEDICINA    

a cura di Raimondo G. Russo


  


Premessa  -  1. Alcuni cenni storici  -  2. La medicina barbarica  -  3. La CHIESA E LA MAgia  -  4. La medicina e la chirurgia  -  5. LE EPIDEMIE  -  6. APPROFONDIMENTI E CURIOSITà



3.1.1 Allegato: LUOGHI DI CULTO BENEDETTINI

NOTA - Vengono di seguito indicate (a titolo esemplificativo) alcune località di culto e di assistenza, gestite nell’Alto Medioevo dall’ordine monastico di san Benedetto, quali sono oggi per lo più non di frequente riscontro. Molte altre, qui non indicate, non sono per altro da meno, per bellezza architettonica ed importanza storica. Non si vuole infatti citare ed esporre i centri più conosciuti, bensì altri, per curiosità storica e geografica, certamente, ma anche perché riscossero nell’Alto Medioevo un significato particolare e sono spesso correlate con la narrazione del testo corrente.

The Fox Preaches Reynard: the Fox, XV sec. Rectory of Holy Cross Church, Byfield, Northamptonshire

 

Abbazia di S. Benedetto in fundis

L’abbazia di S. Benedetto in fundis si erge nelle vicinanze dei centri storici di Stroncone e Miranda (Terni). La struttura, ormai in rovina, si colloca tra il versante settentrionale del Monte Rotondo e il monte Terminuto, ad un livello di 633 metri s.l.m., in prossimità di una piccola fonte e a valle di una sorgente più nota denominata "Acqua del Carpino". La data della fondazione dell’abbazia non è nota; nel XX secolo si riconobbe, in un documento desunto dal Regesto Farfense e datato 771, la carta della fondazione del sito monastico. In essa si leggeva che il re longobardo Desiderio concedeva all’abate di Farfa alcune terre site in Narnate, che il figlio Adelchi aveva donato, insieme ad altri possedimenti, alla madre con l’impegno di fondarvi un monastero sotto la regola benedettina. In realtà l’autore interpretò il termine "Narnate" (nella diocesi di Rieti: n.d.r.).

"Acqua del Carpino"

 

 

Comune di Stroncone


Solo l’analisi delle strutture murarie e della tipologia della pianta della chiesa ha consentito la formulazione di ipotesi più attendibili e vicine alla realtà, poiché la fonte più antica relativa con certezza al monastero riguarda la lapide posta sulla facciata della chiesa di S. Nicolò datata 1181.

L’abbazia benedettina, rientrando nel novero dei monasteri vescovili, fa senza dubbio parte di uno di quegli insediamenti che sorsero in numero elevato nell’Italia altomedioevale nelle prossimità di centri urbani, favoriti dalle particolari condizioni ambientali. La primitiva comunità che diede origine all’insediamento religioso proveniva con molta probabilità da territori limitrofi, in quanto nell’Umbra meridionale non esistevano nel periodo dell’alto Medioevo realtà monastiche che potessero permettersi migrazioni di religiosi.

Una ipotesi valutabile potrebbe essere la vicinanza dell’abbazia di Farfa (dalla quale nel IX secolo, a causa dell’invasione saracena, fuggirono numerosi monaci cercando protezione nei territori di Roma, Rieti e Fermo).

Le condizioni attuali del monastero non ci consentono di descrivere l’interno dell’abbazia così come era ai tempi del suo antico splendore.

In un verbale notarile redatto a Narni nel 1728, si legge che la badia aveva «…un solo altare a capo della navata di mezzo con una sua pietra consacrata, col quadro grande in tela alto palmi dieci, largo palmi sei con cornice di legno di color nero ed altri colori, rappresentante S. Benedetto, la Madonna col bambino ed un Angelo che tiene la mitra e da piedi della mano destra l’arma di Monsignor Piccolomin…In detta chiesa vi è il campanile con dentro una campana di metallo di altezza pollici 3 e mezzo e larghezza pollici due e mezzo con tre giri di lettere gotiche».

Alla fine del secolo XIX si  riportò, che : «il coro di sinistra… conserva più dell’altra l’antico tipo; è scarsamente illuminato da tre anguste e lunghe finestrine arcuate… la chiesa è in travertino, barbaramente poi intonacato ed imbiancato; vi si osserva la sedia dell’abate, nonché il basamento del piccolo altare che era sostenuto da quattro colonnine di marmo, qualche frammento delle quali è sparso per la chiesa... Su taluno dei larghi pilastri della chiesa compariscono tracce di antiche pitture, ...

Una sola è conservata quasi di fronte all’ingresso; può ritenersi opera del secolo XV, non priva di qualche interesse e rappresenta l’Annunciazione della Vergine, S. Benedetto e, secondo lo stile dell’epoca, v’è riprodotto il piccolo ritratto del monaco che fece eseguire quel dipinto, in atto di preghiera...».

 

Abbazia di Nonantola [3]

Attorno all’anno 752 un piccolo gruppo di uomini, guidati dal longobardo Anselmo, si insediava nella pianura nonantolana (provincia di Modena) per fondare una comunità monastica. Il luogo non fu scelto a caso.

Si trattava di terre di recente conquista longobarda, dove era necessario imprimere un segnale forte di presenza e di controllo politici. Prima di allora, Anselmo era stato un influente personaggio, in campo politico e militare; cognato di Astolfo, re dei Longobardi, proveniva dal Friuli, dove aveva ricoperto la carica prestigiosa di duca.

Con le stesse doti di forza e di coraggio espresse come laico e militare, Anselmo affrontava così un’esperienza spirituale e organizzativa di massima importanza. I confratelli edificarono rapidamente la chiesa e il monastero, dedicandoli a San Silvestro; altri modesti fabbricati furono adibiti a ripostigli per attrezzi e prodotti della terra.

 San Silvestro 

 

Seguivano la Regola di San Benedetto da Norcia, e per questo il loro impegno quotidiano si divideva tra la preghiera e il lavoro manuale, nel rispetto delle necessità dell’anima e del corpo.

Nella Vita di Anselmo, poi divenuto santo, l’area nonantolana viene segnalata come una landa deserta. Sin dalla sua nascita l’abbazia ebbe la qualifica e il ruolo di abbazia regia e imperiale, cioè di istituzione per molti aspetti privilegiata, soggetta alla protezione ma anche al controllo dei sovrani.

La documentazione di Nonantola ha inizio con la celebre donazione di re Astolfo a favore del cognato Anselmo e della nascente abbazia. Emanato a Pavia, la capitale del Regno, il 18 febbraio 752, il documento si conserva oggi in copia posteriore di cinque secoli circa.

Più interessanti sono gli elenchi fitti dei confini, in relazione ai beni assegnati alla comunità, e le lunghe liste dei beni stessi: l’idea immediata è quella di un patrimonio sterminato, ed effettivamente lo era.

Dalle terre più prossime a Nonantola (tra i corsi della Secchia, del Panaro, del Reno) sino al crinale appenninico bolognese e modenese, la ricchezza dei monaci si estendeva alla Toscana, in area lucchese, dove Astolfo conferiva loro alcune unità fondiarie e un oliveto da cui ricavare l’olio necessario per le pratiche liturgiche.

L’abate Pietro, il fondatore dell’abbazia, a differenza del suo predecessore Anselmo, non era di lontane origini longobarde. Era nato con tutta probabilità in Francia, nel cuore dell’Europa imperiale e carolingia: la mentalità, i riflessi culturali e le decisioni operative che caratterizzano il suo abbaziato e ne sono la testimonianza più realistica. A tratti, la storia della sua vita diviene tutt’uno con le tappe del rafforzamento imperiale franco-carolingio. E ci sono ragioni per credere che la sua nomina a Nonantola fosse avvenuta proprio per volere dell’imperatore. Durante gli anni del suo apostolato, circa un ventennio tra l’804 e l’824-825 il prestigio del monastero si accrebbe notevolmente in tutto l’ambito europeo.

 

Un primo dato significativo è rappresentato dalla quantità dei monaci presenti in quei decenni a Nonantola: circa 850 uomini, impegnati anche nelle chiese e nelle comunità monastiche che da essa dipendevano.

San Silvestro veniva celebrata tra le principali abbazie dell’impero, per ricchezza e potenza, accanto a Corbie, Reichenau, San Gallo, San Colombano di Bobbio, nell’alto Piacentino.

Con i vertici dell’impero, Pietro ebbe effettivamente contatti molto stretti. I primi decenni del secolo IX segnano per la storia dell’Occidente europeo un periodo cruciale, denso di cambiamenti: nel Regno Italico, in particolare, i sovrani carolingi succeduti ai longobardi stavano perfezionando una capillare organizzazione politico-amministrativa. Pietro fu in parte contemporaneo di Carlomagno, e quasi sicuramente ebbe occasione di incontrarlo. Certamente ne conobbe il figlio e successore, Ludovico detto il Pio, nell’anno 813, quando l’abate Adalardo, messo e cugino dell’imperatore, raggiungeva  Nonantola per condurre il  venerabile abate Pietro  al cospetto dell’impe-

ratore: Pietro era stato scelto insieme con Amalario, arcivescovo di Treviri, per un viaggio diplomatico presso l’imperatore d’Oriente. spetto dell’imperatore: Pietro era stato scelto insieme con Amalario, arcivescovo di Treviri, per un viaggio diplomatico presso l’imperatore d’Oriente. Leone V Armeno li accolse nella sfarzosa corte di Bisanzio tra l’813 e l’814.

Ai due fedelissimi religiosi dell’imperatore d’Occidente fu affidato un incarico di estrema importanza, delicato come tutte le missioni di pace tra le grandi potenze. L’esito della spedizione fu positivo per la temporanea sistemazione dei rapporti internazionali.

Di questo episodio ci resta una preziosa e inconsueta testimonianza: un breve poema in esametri composto dall’arcivescovo Amalario, che seppe narrare con vivacità fasi e avventure del viaggio e, nello stesso tempo, inquadrò con una spiccata finezza di analisi la personalità di Pietro.

Pietro ordinò che tutti i beni e i redditi dell’abbazia e le elemosine fossero destinate ai poveri e tutte le spese necessarie per gli arredi delle chiese ed il sostentamento dei confratelli fossero registrati in forma scritta. L’abate aveva fatto redigere quello che, probabilmente, era il primo Libro di entrate ed uscite del monastero. Di questo registro oggi non resta traccia.


3 R. Salvarani, Nonantola milleduecento anni dopo. Medioevo, Ed. De Agostini-Rizzoli, Milano 2003, VII, 7, (78), pp. 8-9.

 

©2004 Raimondo G. Russo

 


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