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a cura di Felice Moretti


di Felice Moretti

La pantera in un manoscritto medievale.


I1 pensiero che sembrava essere stato inghiottito dalla seduzione della depravazione e della turpitudine nelle fauci spalancate del padrone del mondo, riprende coscienza ed equilibrio nella ricchezza dell'allegoria della pantera che, amica della luce, sembra che sfugga, sullo stipite del portale della cattedrale bitontina, al morso del caprone, del padrone delle tenebre. La raffigurazione di questo animale sullo stipite del portale non indica chiaramente trattarsi di una pantera che zoologicamente - scrive Cardini - «è davvero un grosso enigma». Col suo nome infatti si intende un genere di mammiferi dell'ordine dei carnivori della famiglia dei felidi. Nel parlare comune, pantera è sinonimo di leopardo, ma potrebbe anche essere un ghepardo. Dal momento che gli zoologi medievali parlavano abitualmente di pardus come di una pantera maschio (credevano che il leopardo fosse il prodotto dell'accoppiamento del pardus con la leonessa), al quale avevano assegnato anche un linguaggio simbolico, noi seguiremo le tracce di questo linguaggio.

La pantera è una bestia che ha goduto di grandi simpatie presso i popoli piú antichi; le hanno attribuito qualità eccezionali legate alla sua pelle usata come parte dell'abbigliamento dei sacerdoti egizi, specie nei riti funebri. Il mantello screziato del nobile ghepardo serviva a dar veste a Seth, il dio del male e, messo sulle spalle dei sacerdoti, significava che il male era stato immolato. Da qui, la funzione catartica della pelle di leopardo non solo presso gli antichi egizi o nelle culture sciamaniche dell'Asia centrale, ma anche in quelle indie dell'America latina e nella tradizione azteca dove, in quest'ultima, assumeva il carattere di animale-guida di una confraternita guerriera.

Dello screziato mantello della pantera si servivano i sacerdoti e i faraoni egizi negli atti più solenni della loro vita sovrana e nelle cerimonie dei misteri. Le pelli che venivano sistemate dinanzi ad Osiride o dinanzi ad Anubis erano asportate alle pantere sacrificate come vittime perfette secondo certi riti che imponevano di vestire di pelle di pantera il dio Anubis, il dio dei morti. Usata nei riti funerari, la pelle ricopriva il letto di morte a significare la buona morte e la buona sepoltura, e in talune circostanze diventava il simbolo della forza e della resurrezione. È sintomatico considerare come, per l'uso che ne veniva fatto nei culti egiziani, i faraoni imponessero come tributo ai popoli soggetti l'invio di queste pelli che, per i loro sacerdoti, erano dotate anche di una carica magica oltre che spirituale.

Non solo i sacerdoti egiziani, ma anche quelli cretesi, in età micenea, si servivano come abbigliamento della pelle di pantera, così come sono stati raffigurati nel celebre sarcofago greco di Haghia Triada, e come gli dei egizi, anche quelli greci, Dioniso e Bacco, sono stati vestiti con queste pelli alle quali sono state attribuite virtù protettrici nel corso ordinario della vita umana.

La differenza sostanziale fra antiche credenze egizie e quelle greche consiste nel fatto che queste ultime avevano investito di sacralità non solo la pelle ma il corpo intero della pantera, considerata animale psicopompo, che guida e trasferisce le anime dei morti verso la sede degli dei.

Messa in rapporto con l'idea della luce in antiche culture mediterranee, considerata animale sacro, immagine siderale del sole, la pantera offriva alla simbologia cristiana una ricchezza di allegorie messe in rapporto con la luce e col suo volo psicopompo grazie al quale l'uomo si assicurava dopo la morte una seconda nascita.

Nonostante il nuovo ruolo in chiave cristiana, il Physiologus non aveva sfrondato la pantera da tutte le lodi esagerate e da quel mantello di favole da cui essa era stata coperta da tutta un'antica letteratura. In effetti, Aristotele, nel IV secolo a.C. fonda il topos, che acquisterà poi grande fortuna, della pantera dall'alito profumato col quale attirava la sua preda. Sulle orme di Aristotele anche Plinio, Eliano, Solino e altri autori scriveranno della pantera dall'alito odoroso e dall'attrazione irresistibile che esercitava sugli altri animali. Gli autori cristiani andarono oltre: affermarono che solo il drago e il serpente, al contrario, infastiditi dall'odore, fuggivano lontano. L'adattamento si rese necessario per un accostamento allegorico fra il Cristo e la pantera degli antichi.

I simbolisti cristiani videro nella pantera "il buon odore di Gesù Cristo" e la considerarono, alla stessa stregua dell'unicorno e dell'elefante, come uno dei tre casti animali, uno di quelli dotato del segreto di rendere nulli gli effetti dei veleni. In essa videro l'immagine di Cristo che, vissuto in mezzo agli uomini, in mezzo al peccato, non risentì della contagiosa corruzione.

La pantera, quando è sazia, dorme per tre giorni nella sua tana; al terzo giorno si risveglia e ruggisce. Dalla sua bocca diffonde un soffio odoroso: gli animali, attratti dai profumi, le si avvicinano. I1 simbolo cristico è evidente: i tre giorni sono quelli del sepolcro, il risveglio la resurrezione, il soffio profumato la dolcezza del Verbo, la pelle variopinta la Sapienza spirituale di Dio.

La pantera in un manoscritto del secolo XI del Physiologus.

 

I1 Physiologus, nell'accostamento simbolico di Cristo alla pantera, fa riferimento alla pregnanza simbolica del numero 3. Tale accostamento diventa inquietante quando allude specificamente ad una antica tradizione riportata da Origene (Contra Celsum, I, 32-33) secondo la quale il vero padre di Cristo sarebbe stato un soldato romano di nome Pantera.

Anche la pantera, nella letteratura e nell'arte sacra è stata soggetta a mutazioni simboliche diametralmente opposte.

Nel Bestiaires d'amours di Richard de Fournival, l'alito profumato del felino è associato alla sua funzione di richiamo erotico. La sua immagine è sintesi allegorica del valore sensuale, una delle tre classi di concupiscenze in cui 1'ascetismo cristiano ha sintetizzato i cattivi istinti della nostra natura: «la concupiscenza degli occhi, quella della carne e l'orgoglio della vita».

E quella «lonza leggera e presta molto, che di pel macolato era coverta», che impedisce a Dante di ascendere al colle, è un felino come il leopardo o la pantera; è l'allegoria del peccato capace di bloccare i buoni propositi dell'uomo e di spingerlo al male. La lonza dantesca racchiude tutte le caratteristiche della seduzione: il mantello screziato, i movimenti aggraziati del suo corpo, il modo non aggressivo con cui ferma il poeta, insomma, quello che Cardini chiama «il triangolo funzionale caccia-inganno-eros», che viola le diverse norme della morale nella sregolatezza dei comportamenti.

     

Da leggere:

L. Charbonneau-Lassay, Le Bestiaire du Christe, Milano 1980.

F. Cardini, La pantera, in «Abstracta», 23 (1988).

G. M. Pintus, Il Bestiario del diavolo. L'esegesi biblica nelle 'formulae spiritalis intelligentae' di Eucherio di Lione, in «Sandalion», 12-13 (1989-1990).

F. Moretti, Specchio del mondo. I ‘Bestiari fantastici’ delle cattedrali. La cattedrale di Bitonto, pref. di F. Cardini, ed. Schena, Fasano 1995.

   

 

©2003 Felice Moretti

    


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