Sei in: Mondi medievali ® La memoria dimenticata. Microstorie

                           LA MEMORIA DIMENTICATA

a cura di Teresa Maria Rauzino


 


pAGINA 2

   

Un altro personaggio che ha lasciato di sé un indelebile ricordo è stato Don Raimondo de’Sangro, principe di San Severo. Oltre ad essere esperto nelle arti e nelle scienze, si distinse per la sua perizia nel progettare e dirigere opere strategiche di architettura militare; per il suo talento fu elogiato e tenuto in gran conto dall’imperatore Carlo VI d’Asburgo, da Filippo V di Borbone e da altri regnanti d’Europa. Fu decorato del titolo di Cavaliere dell’Ordine di San Gennaro e Grande di Spagna e fu Gentiluomo di Camera [25] del re Carlo III di Borbone. Fu un esimio letterato.

Napoli, palazzo dei principi di San Severo.

Il suo nome è legato al palazzo omonimo sito a Napoli in Largo San Domenico Maggiore, sorto agli inizi del XVI secolo per volere di Don Paolo de’Sangro, principe di San Severo e duca di Torremaggiore. Progettato da Giovanni Merliano da Nola, e rimaneggiato più volte, il palazzo conserva il grandioso portale con semicolonne di marmo e piperno, disegnato dall’architetto Bartolomeo Picchiatti ed eseguito dallo scultore Vitale Finelli nel 1621.

I lavori che modificarono la facciata del palazzo furono realizzati nella prima metà del Settecento proprio da Raimondo che, tra le altre cose, fece eseguire nell’androne del palazzo alcuni bassorilievi a stucco con scene di baccanali dallo scultore napoletano Giuseppe Sanmartino. Purtroppo, verso la fine del 1889, un’ala dell’edificio crollò, distruggendo il cavalcavia che collegava gli appartamenti alla cappella. Quest’ultima, intitolata a Santa Maria della Pietà, fu rimaneggiata interamente verso la metà del XVIII secolo. La volta fu decorata con colori preparati dallo stesso Raimondo.

Questi nel 1753 fece scolpire dal Sanmartino il famoso “Cristo velato” che rese celebre la cappella stessa in tutta l’Europa [26]. A tal fine è utile segnalare che il procedimento per marmorizzare il velo del “Cristo” e la rete che ricopre la statua del “Disinganno”, mausoleo dedicato al padre Antonio de’Sangro anch’esso collocato nella cappella, fu opera di Raimondo, il quale grazie ai suoi studi, attraverso un complesso procedimento chimico, riuscì ad ottenere su queste opere gli effetti ottici che ancora oggi si possono ammirare nella loro bellezza e perfezione.

Nel succorpo della cappella sono tuttora custodite le famose macchine anatomiche che nel 1764 Raimondo fece costruire dall’anatomopatologo Giuseppe Salerno di Palermo, utilizzando scheletri umani autentici con spago, cera e filo di ferro per ricostruire il sistema circolatorio da mostrare ai medici dell’Ospedale degli Incurabili di Napoli affinché non incorressero nello stesso errore commesso dal loro collega Curzio. Questi, negli anni compresi tra il 1752 ed il 1754, aveva curato una donna affetta da sclerodermia diffusa progressiva che in seguito era deceduta, proprio a causa dell’incompetenza professionale del medico [27].

Molti altri furono i successi di Raimondo de’Sangro in campo alchimistico e scientifico: inventò particolari tipi di inchiostro inalterabile utilizzati poi nella sua stamperia. Inventò complessi sistemi per la costruzione di un teatro pirotecnico, praticò l’esoterismo in senso lato e fu anche in grado di predire la propria dipartita [28].

Negli anni compresi tra il 1750 ed il 1759, Raimondo attraversò periodi drammatici per la sua vita; si lasciò convincere da Guglielmo Moncada, principe di Calvaruso, a far parte della Massoneria, vi entrò nel giugno 1750 e già a settembre fu riconosciuto gran maestro della Massoneria di Napoli. A lui si dovette la suddivisione dei massoni partenopei nelle distinte logge di “Sangro”, costituita da nobili e “Moncada”, composta in prevalenza da borghesi e commercianti. Avversato per il suo impegno massonico dalla Chiesa, attraverso il gesuita padre Francesco Pepe che ricorse al re, dopo alterne vicende, Raimondo decise di lasciare la Massoneria , ma i confratelli lo accusarono ingiustamente di aver rivelato la loro identità al sovrano [29].

Di questa illustre casata anche altri personaggi, vissuti nel periodo di Raimondo, si distinsero per le loro gesta, ma essendo questi appartenenti ai rami cadetti della famiglia, non sono citati nelle fonti letterarie, nel rispetto di quel principio che li costrinse a vivere un ruolo marginale.

Napoli, palazzo dei marchesi di San Lucido.

è questo il caso dei de’Sangro marchesi di San Lucido, da cui discesero i duchi di Sangro e i duchi di Martina Franca; questi ultimi ereditarono dai Caracciolo Pisquizi anche i predicati nobiliari di baroni di Mottola, Locorotondo e San Giovanni in Fiore [30].

     

I Duchi di Sangro

Di sicuro interesse storiografico si rivela lo studio svolto sulla linea dei duchi di Sangro per l’intreccio delle strategie sociali, familiari, politiche e culturali che la famiglia adottò per affermare la propria egemonia.

La partecipazione attiva dei suoi personaggi alla vita politica nazionale ed internazionale e la celebrazione dei matrimoni, volta all’espansione dell’asse patrimoniale, pone in luce aspetti che rendono bene l’idea del modo in cui si svolgeva l’intricata matassa strategica per garantirsi il massimo potere.

Nel pieno rispetto delle norme legislative imposte dal Maggiorasco secondo cui il matrimonio, la trasmissione dei titoli nobiliari e dell’asse patrimoniale erano appannaggio dei soli primogeniti maschi, il patrimonio era indissolubile e fedecommesso con la garanzia della sua conservazione. Il destinatario del fedecommesso godeva dell’usufrutto generale dei beni con l’obbligo di conservarli per restituirli ai suoi successori. Per questi vigeva il divieto assoluto di alienazione, ipoteca, donazione, cessione e quanto altro relativo alla suddivisione dell’asse patrimoniale che era soggetto obbligatoriamente all’inventario.

Ai maschi cadetti era preclusa qualunque possibilità di contrarre matrimonio: per strategie familiari erano destinati ad intraprendere la carriera ecclesiastica o quella militare. Nel primo caso la scelta era influenzata dalla possibilità di godere di agganci politico-ecclesiastici che la famiglia avrebbe avuto attraverso il proprio referente; nel secondo, il potere derivante dagli incarichi assegnati al nobile cadetto consentiva un’ascesa politica anche alla casata; tuttavia, questa condizione faceva sì che i continui spostamenti dovuti al ruolo ricoperto precludessero la possibilità di poter seguire la propria famiglia e, quindi, il matrimonio risultava sconveniente.

Solo nel caso in cui non era garantita la discendenza del ramo primogenito, si concedeva alla linea cadetta la possibilità di contrarre matrimonio. Un esempio che renda con maggiore chiarezza questo concetto può essere rappresentato dalla figura di Domenico, primo duca di Sangro, che con il matrimonio garantirà quella discendenza negata alla famiglia dalla primogenitura.

Non meno complessa era la vita per le donne che, se primogenite godevano del diritto di contrarre matrimonio con l’obbligo da parte della famiglia di fornire una cospicua dote. Ma spesso si decideva secondo alleanze di potere e strategie economiche a chi destinare le figlie facendo sì che il principio endogamico prevalesse al punto da divenire un fenomeno sociale. Alle donne ultrogenite cui generalmente non era garantita la dote necessaria per contrarre matrimonio, non restava altro che la vita claustrale forzata con un minimo vitalizio ed una dote molto modesta.

Emblematico in tal senso il profilo che il Manzoni nel romanzo “I Promessi Sposi” traccia di Marianna de Leyva, alias suor Virginia Maria, figlia di Martino, conte di Monza. Rinchiusa nel convento di Santa Margherita e destinata alla clausura contro la propria volontà, decide di vivere la propria vita in maniera eufemisticamente “diversa”, cedendo deliberatamente alle lusinghe di Gian Paolo Osio e trasgredendo così l’osservanza delle regole impostele dalla propria condizione e dal rango di appartenenza.

Il Codice Napoleonico, introdotto da Gioacchino Murat nel 1809, stabilì un nuovo ordinamento con l’abolizione dei fedecommessi e l’uguaglianza ereditaria per tutti i figli. Così, anche coloro che fino ad allora erano stati destinati ad un ruolo minoritario prendevano parte alla suddivisione dell’asse patrimoniale. Dopo la Restaurazione del 1815, tali norme furono modificate dal sovrano, con il riconoscimento della quota “legittima” da ripartire a tutti gli eredi in maniera identica senza più distinzione di sesso, una quota “disponibile” e l’obbligo della “collazione”. Nonostante tutto ciò, per consuetudine alle donne fu destinata la dote ma non l’eredità degli immobili. In genere i maschi preferivano versare loro un compenso in danaro, evitando che ci fosse qualunque altra pretesa sulla suddivisione del patrimonio [31].

Queste tematiche, volutamente accennate in questa sede, sono state oggetto di attenti studi da parte degli storici che hanno analizzato a fondo il fenomeno socioeconomico derivante dalle imposizioni feudali protratte fino al XIX secolo [32].

 segue pAGINA 3

   
   

[25] Clara MICCINELLI, Il Tesoro del Principe di Sansevero luce nei sotterranei, S.E.N., Ercolano 1984, pag. 183 nota n. 5. Il Gentiluomo di Camera con Esercizio aveva il libero accesso agli appartamenti reali, era normalmente scelto tra i primogeniti delle grandi famiglie del Regno e così le Dame. Il titolo era riconosciuto tale presso tutte le corti della Real Famiglia Borbone e viceversa. Il segno distintivo era una chiave che gli veniva assegnata e gli consentiva di entrare fino alle quattro anticamere reali antecedenti la sala del Trono senza essere annunciato. La chiave era il distintivo dell’incarico riconosciuto, molto ambito perché simboleggiava la grande fiducia che il sovrano riponeva in lui autorizzandolo al libero accesso nei propri appartamenti. Sul dado erano incise le iniziali V.R.S. (Vitae Regis Securitas). Essa era portata sul fianco posteriore destro della giamberga sospesa a due bottoni d’oro.

[26] Nicola DELLA MONICA, Le Grandi … op. cit., pag. 323 e segg.

[27] Clara MICCINELLI, Il Tesoro… op. cit. pag. 89 e segg.

[28] Ibidem, Testamento olografo di Raimondo di Sangro, Principe di Sansevero,  tav. XXXII, sez. A.

[29] Ibidem, pag. 325 e segg.

[30] Vittorio SPRETI, Enciclopedia Storico Nobiliare Italiana, Forni, Bologna 1969, vol. VI, pag. 88 e segg., Francesco BONAZZI DI SANNICANDRO, Famiglie Nobili e Titolate del Napolitano, Napoli 1902, pp. 214, 215 e 216. I duchi de’Sangro furono ascritti al Patriziato Napoletano del Seggio del Nido dal 1507 e furono decorati del titolo di duchi di Sangro. Successivamente furono decorati del titolo di duchi di Martina Franca con l’anzianità di conti di Caggiano dal 1498, di conti di Brienza e conti di Buccino concessi originariamente il primo nel 1428 e l’altro nel 1499 e riconosciuti tutti con Rescritto Reale del 22 luglio 1852 e D.M. del 1893.

[31] Paolo MACRY, Ottocento. Famiglia, èlites e patrimoni a Napoli, Torino 1988, passim, e Rossella RAGO, I D’Errico di Palazzo San Gervasio tra fine Settecento e metà Ottocento: ascesa sociale e patrimoniale, in Bollettino Storico della Basilicata, n. 18, a . 2002, pag. 147 e segg.

[32] Tra i numerosi contributi  sull’argomento si segnalano quelli dei seguenti autori: Angelo MASSAFRA, Giurisdizione feudale e rendita fondiaria nel Settecento napoletano: un contributo alla ricerca, in Società e Storia  n. 9 1980 pag. 252; Raffaele COLAPIETRA, Capitanata, in G. GALASSO e R. ROMEO, Storia del Mezzogiorno, Roma, 1986, vol. VII pag. 27 e segg.; G. MARESCA, Le ultime intestazioni feudali registrate nel Cedolario di Capitanata, in Rivista Araldica, 1954 pp. 13- 14. M . A. VISCEGLIA, Rendita feudale ed agricoltura in Puglia nell’età moderna (XVI-XVIII sec.) in Società e Storia, n. 9 1980, pag. 528.

           

Abbreviazioni :

ASDA: Archivio Storico della Diocesi Ascoli S. - Cerignola ASFG: Archivio di Stato di Foggia
ASNA: Archivio di Stato di Napoli BCMF: Biblioteca Comunale di Martina Franca BNNA: Biblioteca Nazionale di Napoli

b. :  busta

c./cc.:  carta/e

cc.nn.:  carte non numerate

doc. cit.: documento citato

duc.:  ducato/i

f.:  foglio

fasc.:  fascicolo

ms./mss.:  manoscritto/i

n./nn.:  numero/i

op. cit.:  opera citata

pag.:  pagina

pp.:  pagine

r.:   recto

s.:  serie

segg.:  seguenti

v. :  verso

vol.:  volume

voll.:  volumi

 

 

  

    

  

©2007 Lucia Lopriore. Le foto pubblicate sono a cura di Ippolito Spina. è tassativamente vietata ogni ulteriore riproduzione o duplicazione con qualsiasi mezzo.  

      


indietro, pagina 1

 Torna su

La memoria dimenticata: indice Home avanti, pagina 3