Sei in: Mondi medievali ® Medioevo e Medicina ® Per una storia della medicina antica e medievale ® La medicina nell'alto Medioevo ® 1. Alcuni cenni storici


     MEDIOEVO E MEDICINA    

a cura di Raimondo G. Russo


  


Premessa  -  1. Alcuni cenni storici  -  2. La medicina barbarica  -  3. La CHIESA E LA MAgia  -  4. La medicina e la chirurgia  -  5. LE EPIDEMIE  -  6. APPROFONDIMENTI E CURIOSITà




1. ALCUNI CENNI STORICI

Le invasioni barbariche interruppero nell'Europa centrale il lento processo di "romanizzazione" per oltre duecento anni. Negli anni 166 e 167 d.C. sui romani piombarono inquietanti notizie che arrivavano da Oltralpe, ed erano altrettanto drammatiche e piene d'incognite. Un popolo germanico, i Marcomanni, di origine sveva, residente intorno al lago di Costanza, attraverso la Resia, il Norico (Danubio) e la Pannonia, a primavera scese in Italia attraverso i Passi alpini, invase il territorio, assediò Aquileia. 

Si trattò della prima invasione barbarica. Inoltre, sulle sponde dell'alto e medio Danubio, i Catti crearono grossi problemi alle guarnigioni di confine. 

Fenomeni sconosciuti quanto la peste che invase l'Impero negli stessi anni (v. in seguito… n.d.r.).

Era l'anno 375 quando lontano dall'impero stava succedendo qualche cosa che nessuno avrebbe potuto impedire: un popolo di pastori mongoli (poi verranno chiamati Unni, da Hsiung Nu) stava attaccando le tribù di Germani che da secoli vivevano ai confini dell'impero romano. I Germani erano terrorizzati da questi cavalieri feroci che arrivavano all'improvviso e facevano strage. Decisero allora di rifugiarsi nell'unico posto ritenuto sicuro: l'impero romano. 

I Germani, impauriti dall'attacco degli Unni, forzarono il confine: di fronte al loro terrore anche le fortezze che difendevano il confine romano, cedettero: prima i Visigoti, poi gli Ostrogoti, poi le altre tribù passarono i confini stabiliti, creando un serio pericolo per l'unità del decadente impero romano e ben presto si impadronirono del governo di intere province. L'impero d'Occidente, il più debole dei due, cadde in meno di un secolo; quello d'Oriente resistette ancora per mille anni.

In queste razzie, fra gli invasori c'erano alcune tribù che nessuno conosceva ancora bene, popoli conquistatori che si stavano spingendo in avanti: erano Nordici, cioè Goti (quindi dei Mari del Nord danese-norvegese) e Vandali che premevano sul confine della Vistola, sull'Oder, sull'Elba. 

Un cronista ebbe l'impressione che tutte le tribù, dal Nord della Francia fino al Nord del Danubio, e a nord dell'Elba e del Reno, avessero deciso insieme, dopo anni di tranquillità, di cospirare contro Roma. E non si muovevano senza sapere cosa facessero le altre tribù barbare, ma erano in comunicazione l'una con l'altra. C'era quindi un'intesa a largo raggio.

Un progetto e una strategia comune, una migrazione epocale, più imponente di quella avvenuta cinque secoli prima a spese dei Celti che furono assorbiti e in parte emigrarono sul Mar Nero. Questo grande "popolo" giunse a estendere la sua distribuzione a partire dal IV secolo a.C. sulla quasi totalità dell'Europa per un migliaio di anni.

I Catti, gli Obii ed i Longobardi lasciarono l'Elba inferiore, e attraverso la Slesia, la catena dei Beskid, fino al Wagg giunsero nella zona di Brigetio. 

I Longobardi e gli Obii attraversarono anche il Danubio, e andarono oltre, con il permesso dei Quadi, attraverso le cui terre passarono.

Arrivò un forte segnale del grande capo dei Marcomanni, Ballomar, a risvegliare tutte le nobili e ataviche virtù guerriere di quelle popolazioni: assieme ai Quadi, ai Vandali Victuali, alle tribù Charr, e a circa 60.000 Longobardi tutto ad un tratto si trasformarono in guerrieri aggressivi. E quando tutti decisero di unirsi, di combattere, e di aprirsi una strada puntando verso l'Italia, le sguarnite frontiere romane si sgretolarono.

Ma, mentre gli Unni, dopo essere giunti a Roma, se ne tornarono nelle grandi pianure dell'Asia e scomparvero per sempre, le altre popolazioni si insediarono nei nuovi territori.

Ai Longobardi infatti indubbiamente rimase un buon ricordo, tale, da raccontarlo i padri alle successive dodici generazioni. Infine la tredicesima decise, con il suo re Alboino, che la nuova patria era l'Italia e il 1° aprile del 568, i Longobardi vi si trasferirono in massa occupandola. 

I Quadi e i Marcomanni, invece ci riprovarono subito l'anno dopo. Dopo aver attraversato i monti e le valli, a loro non sembrava vero di trovare nella pianura Padana, terre così estese e paesi e città con tanta abbondanza. 

 

La medicina nei primi secoli del Medioevo 1


Età di passaggio

Può risultare utile, prima di affrontare il cammino delle scienze mediche nei primi secoli del Medioevo, riallacciarsi alla visione ed alla pratica della medicina, durante la cosiddetta "età di passaggio", che vide principalmente autori bizantini, che sono di seguito brevemente elencati. 

La nostra conoscenza della medicina bizantina è ancora relativamente scarsa. Si possono però disegnare le sue linee principali di sviluppo e rintracciare le sue tappe principali.

Un personaggio che ha avuto un influsso notevole sulla scienza medica di Bisanzio fu Oribasio di Pergamo (325-403), il medico dell'imperatore Giuliano l'Apostata. Oribasio compose un riassunto di testi di Galeno, aggiungendovi dei propri commenti. Si trattò di un'opera di medicina in 70 libri, giunta a noi solo in parte, un compendio di medicina in 9 libri ed un trattato popolare in 4 libri. La sua opera ha determinato la visione medica di Bisanzio lungo tutta la sua storia. 

Oribasio trattò anche delle droghe: per esempio riconobbe che il seme di canapa «turba la mente» (Synopsis, IV, 20) e «produce una sensazione di calore corporeo» (ivi, IV, 31). Descrisse anche l'erba della Madonna (Sedum telephium L.), Erba di San Giovanni o Erba Grassa, che utilizzò per curare una lesione al polpastrello del primo dito della mano sinistra, con interessamento dell'osso della falange distale e complicatosi in osteite cronica (Collectiones medicae, 13.2).

Punto chiave della medicina bizantina fu Paolo di Egina, cartaginese (625-690), a cui spetta il merito di aver fatto un riassunto della scienza dell'epoca (nel 642), soprattutto con informazioni basate sulle sue esperienze chirurgiche, riducendo i 70 volumi di Oribasio a 7, opera questa che ebbe enorme influenza sulla medicina occidentale.

Egli inoltre introdusse il salasso nella pratica comune.

Fu il primo medico ad assistere le partorienti, pratica sino ad allora riservata esclusivamente alle levatrici e fu il più grande chirurgo dell'epoca bizantina.

Scritti di Paolo di Egina

Gli altri scritti che hanno trasmesso la scienza medica degli antichi al mondo bizantino sono legati ad Ezio di Amida sul Tigri (502-575), che in un certo modo semplificò il pensiero di Galeno e di Oribasio ed introdusse l'oppio nella terapia. Egli fu un medico cristiano e scrisse in greco il Tetrabiblion, di cui qui abbiamo la prima metà; ognuno degli 8 sermoni è a sé stante.

Testo di enorme importanza, descrisse le novità su veleni, oftalmologia, cosmesi, ginecologia, reumi, minerali, fitologia (i "semplici"), le prime spezie orientali (canfora ecc). Egli consigliò (specie per i diabetici!) le carni più nutrienti (come il maiale), ma anche uova, latte, tuberi e altri cibi contenenti fecola e soprattutto verdura rinfrescante; la bevanda più indicata era sempre il vino e pensava che le ferite, per poter guarire, dovessero infettarsi: le ricopriva, perciò, con una miscela di erbe essiccate.

Alessandro di Tralles (523-605) arricchì la scienza precedente con osservazioni e conoscenze pratiche; offrì ai diabetici una alimentazione copiosa e gradevole, raccomandò cibi molto nutrienti e di digestione difficile: cicoria, lattuga, carne e pesce, assieme a vino di rosa, vino dorato di Attica, miele rosato e idromele.

Descrisse il colchico Colchicum autumnale noto anche con il nome volgare di "zafferano matto" per la sua notevole somiglianza con lo zafferano Crocus sativus. Deriva il nome dalla regione della Colchide, a oriente del Ponto ove cresceva abbondante.

I greci ne conoscevano bene gli effetti velenosi e mettevano in  guardia coloro che avessero intenzione di usarlo come medicamento, in quanto, si diceva, essere capace anche di «ammazzare strangolando». Tuttavia il medico Alessandro di Tralles lo raccomandava contro i dolori articolari. «Il sollievo è tale - diceva il Tralles - che i pazienti vogliono subito camminare. è certamente vero che questo medicamento non dimentica mai la sua promessa, ma vi è in esso qualcosa di nocivo..., per evitare ciò la si deve mescolare con altre sostanze...». 

Egli sosteneva che l'arte medica non era «una legge da essere senza pietà» e invitava a «non dare medicine senza ragione».

Teofilo di Protospatharios (VII, IX o anche X secolo) nella sua opera sulla costituzione del corpo umano cercò di combinare la teologia cristiana con le idee di Galeno. 

Melzio il Monaco (IX secolo?) produsse una sintesi sulla natura umana 
mescolando Galeno e teologi come Gregorio di Nissa o Massimo il Confessore.

Nel X secolo Teofane Nonnos scrisse un'enciclopedia medica.

S. Gregorio di Nissa

Di medicina si occupò, in modo pratico e teoretico, anche Michele Psello (1018-ca. 1081), che scrisse le Solutiones medicae. Egli, dopo aver ricoperto numerose cariche a Costantinopoli, grande studioso di scienza, medicina, musica, teologia, politica, astronomia, fondò una scuola di filosofia e una di diritto, poi si ritirò in un convento sul Monte Olimpo. Qui inizia una importante Cronografia del suo secolo, dal 976 al 1076, una preziosa fonte di informazioni per la storia del tempo. 

Si ricordano anche i medici Niceforo Blemmida (1197-ca. 1269) e Giovanni Zacharia Aktuarios (ca.1275- 1328) che sempre e in modo ampio si ispiravano a Galeno.

 

Si ritenne che la civiltà greco-latina fosse stata dimenticata e che si fosse smarrito anche il pensiero medico o che esso fosse stato superato o sostituito da quello di origine araba.

In realtà fu proprio in Italia, anche se il progresso delle lettere, delle scienze, delle arti e dei costumi si era arrestato, che tuttavia, grazie all'incessante diffusione e influsso del cristianesimo, si poté assistere ad una fertile ripresa di alcune aree che non avevano risentito delle invasioni: Sicilia, Calabria, Salerno, Napoli, Amalfi e Gaeta.

La medicina "ufficiale" non venne quindi completamente calpestata, anzi venne rinvigorita da nuove scuole di pensiero e più ampie aspirazioni.

La grande stagione della medicina del mondo antico subì certamente nei primi secoli del Medioevo i due potenti attacchi, che le vennero portati su fronti diversi, dal Cristianesimo e dalle invasioni dei popoli del Nord. Se le culture germaniche, da una parte, tendevano a limitare ed emarginare la cultura romana, e quindi a respingere il bagaglio teorico della medicina, dall'altra il Cristianesimo oltre a guardare con sospetto, se non a condannare apertamente, i frutti della cultura pagana (e quindi ancora l'impostazione teorica  della medi-

cina), portava di per se stesso un messaggio nuovo e indiscutibilmente forte: la vita è cosa effimera perché l'uomo è solo un pellegrino sulla terra, sottoposto al dolore, alla  malattia e alla morte quale pena per il peccato originale.

In una visione di questo genere la medicina, di fatto, sembrava diventare una cosa superflua se non addirittura nociva al doloroso ma necessario processo di purificazione e di espiazione. 

La cura fisica, per il cristiano, doveva essere al massimo subordinata a quella spirituale, per cui l'assistenza ai malati veniva considerata come un mero atto di carità cristiana, insomma un mezzo per il credente/medico di dimostrare il proprio amore verso il prossimo malato e quindi, in ultima analisi, verso Dio. Questi esempi, evidentemente frutto della cultura monastica, sono modelli generali: la società medievale, anche se si sforzava (con alterni risultati) di essere una societas christiana, non era composta soltanto da religiosi: è indubbio che la medicina dell'antichità mantenne una sua tradizione e trasmissione, né poteva essere altrimenti. 

Senza la presenza di una tradizione medica, magari in parte sopita o ridotta ad una precettistica di tipo pratico, non si potrebbero infatti giustificare le testimonianze, alcune delle quali risalenti al VII secolo, di dotti medici che dispongono di ampie raccolte di testi, né spiegare la rapida ascesa della medicina come scienza a partire dalla seconda metà dell'XI secolo.

Manoscritto gaelico del secolo XIII, contenente le prescrizioni dei medici di Myddfay.

Durante il periodo alto-medievale, la gente sapeva poco delle cause e delle cure delle malattie. 
C'erano pochi medici e ben pochi ospedali. La mancanza di cibo era spesso causa di malattie e morte, ma anche la sporcizia dell'acqua e delle case contribuirono notevolmente alla scadente qualità di vita.

Comunque i medici non lo sapevano a quel tempo e incolpavano i cattivi odori, l'ira di Dio o il "sangue cattivo". Allora, in conseguenza di ciò talvolta salassavano i pazienti.

I medici medievali avevano pochi mezzi per capire perché le persone si ammalassero. Non solo assaggiavano l'urina («Stercum et orina, medicorum prandia sunt prima»!), ma volevano anche sapere il segno zodiacale del paziente! In effetti la medicina astrologica sosteneva che i segni zodiacali fossero rapportabili con la terapia delle malattie2.

Anche se un medico capiva cosa c'era di alterato in una persona, probabilmente non era in grado di farla sentire meglio, di guarirla. Esistevano buoni medicamenti preparati con le erbe, ma erano utilizzati anche altri rimedi, quali ragni o escrementi di animali.

La gente povera non poteva permettersi di andare da un medico, così le donne in una famiglia spesso curavano le malattie comuni usando erbe del giardino. Molti semplicemente pregavano, andavano a pellegrinaggi o utilizzavano formule fortunate o canti per sentirsi meglio.

Un'altra possibilità era di recarsi dal barbiere-chirurgo. Costui avrebbe fatto qualunque cosa, dal tagliare i capelli a cavare un dente dolorante o impiantare una operazione! Sfortunatamente, la morte era il più frequente esito delle malattie nel Medioevo.

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Note e bibliografia

1 A. Castiglioni, Storia della Medicina, A. Mondadori Ed., Milano  1946, p. 259; G. Penso, La Medicina Medioevale, Ciba-Geigy Ed., 1991, pp. 7-11.

2 Penso, op.cit., pp. 19-26.

 

 

©2004 Raimondo G. Russo

 


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