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Silvano Trevisani

 

Il castello di Taranto: nuove prospettive di ricerca

 

Dal restauro del castello la proposta di un laboratorio post-universitario. Ne parliamo con Cosimo Damiano Fonseca, che esalta i risultati dei lavori

 

   

   

Il compito di tirare le somme della due giorni di intensi lavori del seminario su studi e ricerche condotti tra il 2004 e il 2006 nel castello è stato affidato a uno degli storico più autorevoli, l'accademico dei Lincei Cosimo Damiano Fonseca, che coordinò anche i lavori del convegno per il V centenario, nel 1992. Il professore, che accetta di condensare il significato scientifico di questo seminario, in un'intervista, lancia anche un'interessante proposta: la realizzazione di un laboratorio interdisciplinare per la qualificazione postuniversitaria.

   

A distanza di quindici anni dall'importante convegno celebrato per i 500 anni del castello, gli scavi in corso hanno consentito di cambiare, completare o precisare una prospettiva storica? E che significato hanno questi interventi per la cultura e per la comunità tarantina?

  

Alla luce delle relazioni si evidenziano alcuni punti fermi su come si possa misurare la novità di un incontro scientifico rispetto alla storiografia precedente. Le due occasioni fondamentali per il castello sono state il convegno per i 500 anni del '92 e l'ultimo seminario, "Dal Kastron bizantino al castello aragonese". Bene, tenendo conto di questi due riferimenti, dobbiamo senz'altro dire che il convegno che si sta svolgendo ha delineato nuove prospettive di ricerche per quanto riguarda il metodo di indagine, che non si è limitato più soltanto alla ricerca documentaria o storica ma ha utilizzato ampiamente la ricerca archeologica. Questa indubbiamente ha già portato notevoli novità per quanto riguarda l'interpretazione del "manufatto castello" all'interno, però, di un'area carica di testimonianze che addirittura qui vanno dal periodo arcaico fino al tardo medioevo e all'età aragonese. Bene, la ricerca archeologica, da questo punto di vista, ha già restituito notevolissime novità, sia per quanto riguarda la frequentazione del sito, sia per quanto riguarda la posizione che potremmo dire strategica a tutti gli effetti dell'acropoli su cui è sorto il castello. Naturalmente questa preistoria a questo insediamento castellano vero e proprio può essere documentato eminentemente dagli scavi archeologici e già i risultati che oggi sono stati presentati vanno nella direzione giusta. C'è poi il problema successivo che è il problema delle fasi del manufatto fortilizio, castello eccetera, che indubbiamente parte dalle strutture che chiamerei protonormanne o protonormanno-sveve. Quando io ho scritto la voce Taranto per l'Enciclopedia Federiciana della Treccani, in realtà non mi sono potuto giovare di alcuni risultati che qui sono venuti fuori, come ad esempio il muro normanno-svevo addirittura la parte che proprio Federico II volle, in quanto l'elemento storico-diplomatico di maggiore impatto era costituito dal fatto che qui Federico II che è attestato da alcuni documenti che vengono rogati a Taranto, ma che non fanno riferimento assolutamente al castello. Potremmo dire che il riferimento principe è proprio quello del corteo funebre di Federico II che si imbarca a Taranto e viene portato a Messina. è molto significativo che questo elemento sia stato colto nell'immaginario collettivo della Germania, di recente per il millenario dell'abbazia di Lorsch, hanno fatto dipingere una sala sulla storia degli Svevi: bene, è dipinto il castello di Taranto e questo è un fatto relativamente recente, poiché le celebrazioni si sono svolte solo tre anni fa. Quindi, per quello che invece è l'elemento strutturale legato al castello e alla politica di Federico II non c'è assolutamente nulla. è così. Però qui mi preme dire una cosa che in questo convegno è venuta fuori, cioè: le tesi di Andreas Kiesewetter, e mi dispiace che non fosse presente, sono fortemente contrastanti con i punti acquisiti di Vera von Falkenhausen. Non ho elementi tali da poter dire se l'interpretazione che dà Kiesewetter è quella più consona sul piano documentario e sul piano storico sul periodo normanno del castello, ma è molto significativo che indubbiamente un progresso anche da questo punto di vista c'è stato. Poi c'è un terzo elemento che qui è venuto fuori, cioè finalmente l'applicazione delle tecnologie allo studio di una struttura castellana. Nel '95 come comitato nazionale per l'VIII Centenario della nascita di Federico II, abbiamo tenuto un grosso convegno di studio, i cui atti sono stati pubblicati: Castra ipsa possunt et debent reparari: a dimostrazione che, nella mentalità di Federico II, che non basta costruire ma bisogna anche mantenere un castello, dove si parla ampiamente di Taranto definendo quali sono i contribuenti per la restauro del castello. Questo documento, che è estremamente importante, ha trovato conferma nei documenti presentati in questo convegno, sicché devo dire che dall'insieme si tratta di un traguardo felicemente raggiunto con dei risultati estremamente positivi. C'è anche qualche elemento di forte suggestione che emerge dagli scavi, come l'accennato torrione ottagonale venuto alla luce. Si tratta solo di una suggestione? Qui viene alla luce una vexata quaestio che è quella della presenza o meno della persona di Francesco di Giorgio Martini a Taranto. Nel convegno per il V centenario, m'ero posto il problema talché nel mio contributo avevo definito i vari viaggi che Francesco aveva fatto da Siena fino a Napoli chiamato dagli aragonesi. Ma devo anche aggiungere che sulla presenza o meno dell'architetto senese a Taranto come nel Salento noi non abbiamo documenti. Nell'ultima grande mostra fatta a Siena su Francesco architetto, nel catalogo Nicholas Adams, che è uno storico delle architetture militari, sfiora il problema, ipotizza non tanto la presenza quanto la mutazione dei modelli che Francesco aveva elaborato specialmente per quanto riguarda le Marche. Quindi non abbiamo la possibilità di definire in positivo che c'è stato, però Adams dice che le forme strutturali indubbiamente sono riferite a Francesco di Giorgio Martini, il che vuol dire che qui sarà stato Cito de Citis o altri, sono venuti qui con i disegni di Francesco di Giorgio e con strutture che non rinviano più alla torre quadrata quanto invece alla torre rotonda, in seguito anche alla scoperta della polvere da sparo con la quale lo stesso Francesco fa degli esperimenti al castello angioino di Napoli. Anche questo è stato un punto discusso, infatti Farella nella sua relazione molto prudenzialmente dice che nella cappella trova elementi che rinviano ai disegni di Francesco.

  

Un'ultima domanda devo porgliela in quanto referente dell'Università di Bari, alla luce delle provocazioni fatte dall'ammiraglio Ricci e da Cosimo d'Angela sull'utilizzo, negli scavi, degli studenti universitari e dei giovani laureati della facoltà di Beni culturali, che però non trovano occupazione, nonostante la capacità professionale. «Sono stanco - ha detto D'Angela - di laureare disoccupati». In questo senso utilità e sviluppo dei corsi di laurea a Taranto trovano elemento di dibattito anche su questo caso di puro volontariato intellettuale?

   

L'università non crea occupazione. Chi lo sostiene non dice cose vere. L'università tende a far acquisire le professionalità al maggior livello possibile. Per effettuare, quindi, l'elemento di ricaduta occupazionale è necessaria assolutamente una sinergia. Non a caso Cosimo D'Angela ha presentato la proposta di un laboratorio. Si parla tanto, e lo dirò in conclusione, di sezioni dell'Istituto centrale di restauro, l'Icr, in tutt'Italia. Perché a questo punto, tenuto conto della disponibilità della Marina, visto che l'ammiraglio teorizza addirittura che la Marina possa qualificare il suo ruolo all'interno della società custodendo i suoi beni culturali e promovendo tutto il problema della valorizzazione e della tutela, perché non riuscire a latere dell'università e con il suo contributo, a creare un laboratorio che, fruendo di questo ventaglio di competenze che ci vogliono nello studiare un castello, consenta esattamente una riqualificazione del prodotto laureato dell'Università con livelli occupazionali sul territorio? Ma è una grande scommessa che in un'Italia sgangherata e senza soldi non so fino a che punto può essere realizzata.   

Silvano Trevisani

 
 
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dal "Corriere del Giorno" dell'8/06/2007; segnalato da Gianluca Lovreglio

 

  

 

 

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