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LA CASA EDITRICE

Tommaso di Carpegna Falconeri, L’uomo che si credeva Re di Francia, Laterza, Roma-Bari 2005.

LA PRESENTAZIONE:
Mercoledì 8 marzo 2006, ore 18,00, Libreria Laterza, Bari.

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VITO RICCI

 

L'uomo che si credeva re di Francia: una storia possibile

 

  

   

   
Ha il sapore di un’avventura picaresca, sembra una novella venuta fuori dal Decamerone di Boccaccio, ma in realtà è una storia vera. È la vicenda narrata da Tommaso di Carpegna Falconeri nel suo ultimo lavoro, L’uomo che si credeva Re di Francia, edito da Laterza. Il libro è stato presentato al pubblico lo scorso 8 marzo presso la Libreria Laterza dal prof. Raffaele Licinio, ordinario di Storia medievale presso l’Università degli Studi di Bari. Erano presenti anche l’autore e l’editore Alessandro Laterza.

La storia narrata da Tommaso di Carpegna Falconieri, ricercatore presso l’Università di Urbino dove insegna Storia medievale e Metodologia della ricerca storica, per quanto possa apparire assurda e inverosimile, è una vicenda accaduta realmente e di cui ci sono tracce e fonti vagliate ed indagate dallo studioso. È una vicenda che poteva nascere solo nell’Italia del XIV secolo, raccontata con maestria e abilità, che vede al centro il mercante senese Giannino di Guccio che volle farsi Re di Francia. Nel 1354 viene convocato in Campidoglio da Cola di Rienzo, costui gli rivela che in realtà è il legittimo re di Francia, vittima di uno scambio in culla avvenuto subito dopo la nascita. Si tratterebbe di Giovanni, figlio postumo di Luigi X l’Attaccabrighe, nato nel 1316. Giannino inizia così a rivendicare il proprio regno aggirandosi per le corti di Europa in cerca di aiuto e sostegno, si procura documenti falsi, coinvolge nel suo progetto signori e cardinali. È una storia in cui verità e menzogna vanno di pari passo.

Dopo una breve presentazione dell’autore fatta da Laterza, ha preso la parola Licinio che ha esordito dicendo di ritenersi pienamente soddisfatto, sia come lettore che come studioso, dalla lettura del libro di Carpegna ed ha sottolineato come la vicenda, che è una storia autentica, venga raccontata come un romanzo. È una storia complessa che tocca più scenari e piani difficili da spiegare, vi sono le corti europee, la guerra dei Cent’anni, la cattività avignonese del papato. Si pone il problema delle fonti per la ricostruzione della vicenda. «Perché Giannino crede di essere il legittimo re di Francia?», si chiede Licinio. A parte la vicenda dello scambio di culla, autentico topos assai diffuso nella storia, c’è un personaggio rappresentativo di un’epoca come Cola di Rienzo, il quale, con una tecnica interessante, riesce a convincere il mercante senese. Dopo lo “svelamento” a Giannino, Cola di Rienzo viene assassinato e ciò contribuisce ulteriormente a rafforzare l’autoconvincimento del mercante senese. Non sapremo mai se Giannino sia stato veramente il re di Francia, ma la storia narrata è una storia accaduta realmente, esposta da Carpegna con stile brillante, dimostrando grande abilità narrativa.

L’autore si è basato su una struttura che funziona ad antinomie. C’è l’antinomia vero/falso (Carpegna, da bravo storico che legge e studia le fonti conclude con il dubbio), l’antinomia elementare/complesso, la contrapposizione racconto/analisi e quella aristocrazia nobiliare/ borghesia. Carpegna va alla ricerca dell’unicità del caso che ha attentamente esaminato. Licinio ha citato alcuni esempi di vicende simili che hanno riguardato alcuni personaggi storici: Ulisse, re Artù, lo stesso Cola di Rienzo (che si riteneva figlio di Enrico VII del Lussemburgo), Ugo Capeto (che si diceva fosse figlio di un macellaio), sino ad arrivare al caso più emblematico di Gesù Cristo, figlio di un falegname.

Carpegna ha confermato che la dicotomia verità/finzione è la chiave di lettura del libro, ma si tratta di una dicotomia non drastica, che si declina in infinite possibilità. Altra osservazione di Licinio (ed altra antinomia) è quella di Giannino illuso/illusionista, convinto di essere il re di Francia, ma che fabbrica falsi (pergamene, sigilli, privilegi) e lo ammette egli stesso, tuttavia senza essere mai in malafede. Si è tirata in ballo la pia fraus, una sorta di falsificazione a fin di bene, nota agli studiosi.

Carpegna ha avallato la tesi dell’assenza di malafede del suo personaggio adducendo alcune valide argomentazioni. In primo luogo il problema dell’identità e della percezione di sé che nel Medioevo era assai diversa da quella di oggi. Per l’uomo moderno è facile avere coscienza della propria identità nel corso del tempo, ci sono le fotografie, ad esempio. Nell’epoca medievale l’identità di una persona è stabilita dagli altri, c’è un meccanismo di convincimento per il quale un uomo è quello che gli altri, la società vogliono che si creda. È una tematica assai affascinante e Carpegna ha citato l’esempio boccaccesco di Calandrino. Altra argomentazione viene fuori dalla fonte principale di questa vicenda inverosimile: l’autobiografia, almeno in origine perché poi ha subito delle interpolazioni, scritta in prigione a Napoli nella quale Giannino di Guccio confessa ciò di cui è convinto, volendo quasi fissare la propria identità. Ma in alcuni passi è volutamente reticente nel racconto, essendo consapevole di potersi cacciare in grossi guai con il suo scritto. Da ciò si capisce, tra le righe, che è un falsario (ma in buona fede) che al contempo registra e altera i fatti nel modo a lui più conveniente. Qualcuno dal pubblico ha chiesto se Giannino non fosse uno psicopatico, una persona con problemi di salute mentale. Probabilmente è da escluderlo, non essendoci elementi che orientano in tal senso.

Alessandro Laterza ha concluso affermando che la vicenda riportata da Carpegna è una storia possibile e si è complimentato con l’autore per l’ottima tecnica di divulgazione: raccontando la storia come un romanzo avvincente è riuscito ad offrire il quadro di un’epoca coinvolgendo il pubblico con una lettura agevole e non riservata ai pochi specialisti di storia medievale.

 

Vito Ricci

 

 
 
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da "Modugno.it", 13/3/2006

 

  

 

 

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