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Vittorio Stagnani

 

Civiltà contadina

 

Nel castello Caracciolo a Sammichele di Bari un museo permanente dedicato alla tradizione. In mostra oltre duemila oggetti

 

   



Il Museo permanente della Civiltà Contadina, fondato nel 1968 dal compianto Dino Bianco, e a lui intestato, poeta, drammaturgo, docente di chimica nell'Università di Bari, è nelle sale del castello Caracciolo a Sammichele.

Bianco era all’epoca anche il presidente della Pro loco ed espose il progetto del suo museo nel periodico «‘U mertàle». Per lui l’importanza dell'impresa era così grande, gli sviluppi di cui era suscettibile tali e tanti che valeva la pena di affrontare, di rischiare, finanche di compromettere la propria credibilità. Ed ebbe ragione perché il museo a lui intestato è oggi uno dei più importanti dell’Italia meridionale.

La raccolta degli oggetti fu fatta per anni dallo stesso Bianco e da un gruppo di soci della Pro Loco, setacciando tutto il territorio di Sammichele. Era quello di Dino Bianco un progetto di ampio respiro, una sorta di centro polifunzionale costituito da una biblioteca, da una cineteca, da un laboratorio di ricerca su aspetti storici, tecnici, artistici del mondo contadino e da uno di restauro finalizzato all'analisi e al recupero dei reperti. Non tutto questo è stato realizzato, ma è meglio non perdere la speranza che il sogno di Dino Bianco s’avveri sino in fondo.

Nel 1974 l'Amministrazione Comunale mise a disposizione il castello Caracciolo per la sistemazione del materiale raccolto. Per un certo periodo fu ospitato a Palazzo Pinto, ex sede del Municipio, per consentire importanti opere di restauro al castello, dove ora è tornata la maggior parte dei reperti ed esposti in modo assai degno.

Cosa si trova nel museo? Ben duemila e passa tra attrezzi per la coltivazione e la conservazione dei prodotti della terra: erpici, aratri, falci, forconi, roncole, pietre molari, macine per le olive, torchi per l'uva, silo di canne intrecciate. Straordinario il settore dei giocattoli dei bambini, nati e vissuti in campagna, altro che play station di oggi! O se li facevano da soli o niente, come l'aquilone, le bamboline di pezza, la trottola, il cerchio, la fionda, i pupazzetti di legno e paglia di grano intrecciata a formare bambole, uccelli. In mostra anche gli strumenti che fino al secolo scorso usavano il ciabattino, il falegname, il sarto. 

Troppo distratti dai “giochi” del consumismo d'oggi, non sempre perversi, ma che talvolta depistano dai sentieri del passato, una visita a Sammichele ed al suo museo, ci riporta ad osservare i segni di un tempo e a riflettere su come eravamo e a desiderare di conservare qualche sana abitudine. Il grano intrecciato testimonianza di un lavoro o di uno svago, è ormai un ricordo. Le macchine hanno sostituito la manualità; si fa tutto più in fretta e in grande solitudine: non si vedono più nei campi tante donne, uomini e bambini per un lavoro spesso duro, spietato perché mal retribuito.

I settori del museo sono quelli del calzolaio, del fabbro, dello stagnino, 
del falegname, della mietitura, del cortile, della tessitura, del ricamo, dei giochi, della cucina, del cestaro. In ognuno ci sono tutti gli attrezzi che è stato possibile recuperare e necessari ai vari artigiani o contadini o pastori per portare avanti il proprio mestiere. Alcuni degli attrezzi sono ormai così desueti che si stenta a riconoscere l’uso per i quali furono realizzati. Non da meno alcuni oggetti del vivere quotidiano.

Le donne tessevano gli indumenti con l'”ardia”, il telaio presente in ogni casa. La “pesare”, invece, è un blocco di pietra di forma trapezoidale, era fatta girare sull'aia per pestare le spighe. Interessanti sono anche alcuni oggetti che fanno parte del corredo del mietitore: i “cannïdde”, “u pettàle”, la “graneddère”. I carri sono, nel museo “Dino Bianco”, in posizione privilegiata: per secoli sono stati il mezzo di trasporto di merci e di persone. Ieri, come oggi le automobili, erano un indicatore dello stato sociale di chi lo possedeva. 

Un museo quello di Sammichele da far visitare soprattutto alle scolaresche perché i più giovani apprendano che “i musei sorgono quando un popolo, raggiunto un alto livello di civiltà, comprende il bisogno di raccogliere e conservare oggetti vari e testimonianze delle epoche passate”.

Il Museo è aperto dalle 8.30 alle 12.30 dal martedì al venerdì. Ingresso gratuito, tel. 080 – 8917297.

 

Vittorio Stagnani

 

 

 

da "la Gazzetta del Mezzogiorno", 5/5/2005

 

  

 

 

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