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                                È un grazioso e prezioso libretto quello di Nino
                                Lavermicocca edito da Laterza nel 2001 relativo
                                al ricco patrimonio delle chiese rupestri, e dei
                                loro corredi di affreschi, della Puglia. Il
                                titolo è assai suggestivo e di forte impatto
                                emotivo. Il libro rientra nella serie “Itinerari
                                d'Arte”, un progetto aperto ed
                                estremamente flessibile, che può essere
                                abbinato ad un qualsiasi manuale di Storia
                                dell'Arte per approfondire aspetti particolari
                                legati ai linguaggi artistici propri di una
                                specifica regione. Vengono trattati in modo
                                approfondito temi storico-artistici con
                                l’invito a visitare i luoghi descritti: il
                                libro può essere usato tranquillamente come
                                guida.
                                
                                 
                                Lavermicocca, come ormai ci ha abituati, con competenza e
                                passione, con un linguaggio semplice ed elegante
                                ed un’esposizione scorrevole ci conduce lungo
                                il sentiero delle grotte dipinte presenti nelle
                                cinque province pugliesi. È quasi una sorta di
                                viaggio attraverso delle vere e proprie
                                pinacoteche all’aperto che, purtroppo -
                                bisogna sottolineare- spesso versano in grave
                                stato di abbandono e di degrado, con il rischio
                                di perdere per sempre questi gioielli artistici
                                di rara unicità, quando alcuni affreschi non
                                siano già andati perduti a causa di umidità e
                                muffe. 
                                Lavermicocca mette in rilievo l’unicità di questo
                                patrimonio disseminato in tutta la nostra
                                regione che potrebbe diventare un’importante
                                risorsa culturale, turistica ed economica.
                                L’Autore non trascura alcun dettaglio
                                trattando sia gli aspetti storici (forte è il
                                richiamo all’obliata bizantinità della Puglia
                                e al suo legame con Costantinopoli) che quelli
                                artistici, il tutto con un amplio e ben curato
                                apparato illustrativo (foto, piante e
                                planimetrie) che accompagna costantemente il
                                testo. Una breve introduzione storica
                                contestualizza l'analisi delle singole opere;
                                essa è sempre preceduta da una cartina
                                territoriale (una ideale mappa dell'itinerario),
                                che mostra l'ubicazione dei principali luoghi e
                                monumenti o opere trattati. Come in una guida,
                                le opere sono illustrate, singolarmente, in
                                brevi capitoli che corrispondono alle tappe
                                virtuali di un itinerario.
                                
                                 
                                A riguardo del patrimonio rupestre pugliese vogliamo
                                ricordare il racconto di Michele D'Elia nel
                                corso di una conferenza. Negli anni Cinquanta
                                furono staccati alcuni affreschi dalle chiese
                                rupestri di S. Vito Vecchio a Gravina di Puglia
                                e a Poggiardo (Le) e inviati dapprima a Roma e
                                poi a Bruxelles per l’esposizione
                                internazionale ove furono esposti nel padiglione
                                dell’Italia riscuotendo un notevole successo.
                                Era nelle intenzioni dell’epoca 
                                procedere a un sistematico distacco degli
                                affreschi dalle chiese rupestri disseminate sul
                                territorio pugliese per custodirle in museo da
                                crearsi a Lecce presso il castello Carlo V.
                                D’Elia riuscì a far andare a monte tale
                                progetto che avrebbe portato allo snaturamento
                                dell’ambiente delle chiese rupestri,
                                decretandone di fatto la morte. 
                                Il vastissimo patrimonio rupestre appulo (e lucano) è
                                sempre stato sistematicamente emarginato dalla
                                storia dell’arte ufficiale: i manuali iniziano
                                con Giotto e Cimabue; degli autori (spesso
                                ignoti) e delle opere presenti nelle chiese
                                rupestri pugliesi e lucane, che pur gravitavano
                                in un ambiente culturalmente avanzato come
                                quello bizantino, non c’è traccia. Sono stati
                                gli studiosi stranieri a scoprire e dare valore
                                a tali tesori. Successivamente notevole è stato
                                il contributo e l’impulso delle comunità
                                locali e delle associazioni di volontariato che
                                hanno preso a cuore il proprio patrimonio
                                rupestre “sfondando il muro di omertà
                                culturale” ed iniziarono a rivalutarlo,
                                catalogarlo, renderlo per quanto possibile
                                accessibile al pubblico. Iniziarono a sorgere
                                centri di ricerca, a svolgersi convegni e
                                bisogna ricordare l’opera meritoria ed
                                iniziatrice dei professori Cosimo Damiano
                                Fonseca e Michele Dell'Aquila.
                                
                                 
                                Scrive Lavermicocca nella conclusione:«Questi ultimi
                                (riferendosi agli insediamenti rupestri) non
                                fanno parte dell’immaginario collettivo e del
                                patrimonio acquisito della regione e giacciono
                                inermi con i loro santuari come sepolcri di
                                pietra. Imbalsamate nei loro sudari di colore,
                                le figure dei santi, compagni per secoli degli
                                uomini, appaiono sempre pronte con i loro
                                unguenti taumaturgici a lenire i bisogni di
                                quanti invece non li cercano più». La
                                Puglia potrebbe essere la Cappadocia
                                dell’Italia, invece spesso si va incontro alla
                                perdita definitiva delle chiese rupestri. «L’alternativa
                                al mancato impegno pubblico è l’abbandono
                                anche di questa fetta di patrimonio ai tombaroli
                                del medioevo, i tagliatori di teste di santi,
                                vendute all’estero per fior di milioni».
                                L’autore propone la costituzione di un Parco
                                delle gravine e delle lame, un Eco-Museo o Museo
                                del territorio in cui possano convivere
                                monumenti e contesto ambientale. Sarebbe
                                auspicabile un destino simile a Matera, a quanto
                                è stato fatto per la grotta del “Peccato
                                Originale”. Non possiamo permettere che un
                                simile patrimonio vada perduto. Per sempre. 
                                  
                                Vito
                                Ricci 
                                  
                  
                                   |