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                                                     MARCO
                                                    BRANDO  | 
                                                 
                                                
                                                  |   | 
                                                 
                                                
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                                                     Gigante,
                                                    il sindacalista brindisino 
                                                    ucciso nel lager di Trieste 
                                                   | 
                                                 
                                                
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                                                     Un
                                                    libro e una manifestazione
                                                    nella sua città natale per
                                                    ricordare il partigiano e
                                                    dirigente comunista
                                                    catturato dai nazisti nel
                                                    1944 
                                                   | 
                                                 
                                                
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                                Nella città natale, Brindisi, lo ricorda
                                una lapide, con epigrafe scritta cinquantaquattro
                                anni fa da Concetto Marchesi. Vi si legge: «Antonio Vincenzo
                                Gigante – operaio organizzatore partigiano – medaglia d’oro – caduto
                                a Trieste nel novembre 1944 – nella galera fra le torture – con la morte testimoniò
                                ai carnefici fascisti – la indomabile forza – e la certa vittoria del popolo
                                lavoratore – L’Amministrazione democratica e popolare – del Comune
                                di Brindisi – al glorioso concittadino in ricordo di tanto eroismo – 7 dicembre
                                1952». 
                                Nove anni prima per lui si era dato
                                da fare Giuseppe Di Vittorio, il “padre” della Cgil, cui Gigante era unito
                                sia dalla fede politica che da analoghe radici. Di Vittorio - tra luglio e settembre
                                1943 - chiese al ministro dell’Interno del Governo Badoglio la sua liberazione.
                                Senza riuscirci. Così il brindisino Gigante - antifascista da sempre,
                                comunista, tenace militante sindacale - dopo la proclamazione dell’armistizio
                                fuggi dal campo di concentramento fascista di Renicci (Arezzo). Raggiunse
                                l’Istria e la Dalmazia, dove entrò nella resistenza partigiana. Finché
                                fu catturato dai nazifascisti, torturato e ucciso nella Risiera di San Sabba,
                                nel novembre 1944. 
                                Antonio
                                Vincenzo Gigante ha meritato una medaglia d’oro al Valor militare
                                alla memoria. Eppure la sua storia tuttora è poco nota, anche in Puglia:
                                «colpa» anche della consuetudine a considerare la Resistenza figlia
                                soltanto nel Nord Italia. Non è così, come testimoniano episodi anche pugliesi
                                d’immediata reazione armata. E se Gigante all’epoca prese le armi più
                                a Nord del Tacco d’Italia, resta un pugliese. La cui memoria è stata coltivata
                                fino ad oggi anche grazie al grande contributo di sua figlia Miuccia, che fa
                                parte dell’Ufficio di Presidenza dell’Aned di Milano, l’associazione degli
                                ex deportati. 
                                Già da alcune settimane Miuccia
                                sta raccontando in Puglia, nelle scuole, cos’era la deportazione nei lager:
                                nell’ambito dell’iniziativa «Mai Più», voluta da tante istituzioni e organizzazioni
                                pugliesi. Con un scopo: aumentare la conoscenza delle vicende storiche
                                legate alle persecuzioni razziali, alle deportazioni di politici, militari e civili
                                dopo l’8 settembre 1943, al ruolo della Puglia. Il progetto prevede il
                                «Treno della Memoria», partito da Lecce nei giorni scorsi e in sosta a
                                Brindisi da lunedì, per poi proseguire fino a Foggia. Una mostra itinerante:
                                la tappa brindisina prevede per dopodomani alle 16, nella Biblioteca provinciale,
                                proprio la presentazione del libro, d’imminente distribuzione,
                                 Vincenzo Gigante detto Ugo, un eroe pugliese
                                (Hobos Libri - Ipsaic), scritto da Vittorio Bruno Stamerra, Antonio
                                Maglio, Patrizia Miano, presentato da Vittorio Antonio Leuzzi e Carmine
                                Dipietrangelo. 
                                A
                                Gigante dedica una biografia ampia pure il sito dell’Associazione nazionale
                                partigiani d’Italia (www.anpi.it): nato a Brindisi il 5 febbraio 1901, «è
                                una tra le più luminose figure dell’antifascismo
                                e della Resistenza italiane». Operaio, militante nella Gioventù socialista,
                                non aveva ancora vent’anni quando fu arrestato nella sua città per
                                aver preso parte, nel 1919, alle manifestazioni a sostegno dei soldati che rifiutavano
                                d’imbarcarsi per la Libia. «Nel settembre del 1922 si trasferì a
                                Roma, trovandovi lavoro come operaio edile. Fu presto eletto...
                                segretario del Sindacato provinciale degli edili».
                                Dopo la marcia su Roma, Gigante diventò responsabile del lavoro sindacale
                                del partito comunista, cui s’era iscritto già nel 1921; nella primavera
                                del 1923, col regime di Mussolini già forte, riuscì a portare in piazza diciottomila
                                edili capitolini, in sciopero contro il carovita. L’Anpi ricorda che nel
                                1925 fu costretto a rifugiarsi in Urss, dove frequentò l’Università leninista
                                per due anni. 
                                «Nel 1927 - si legge nella sua biografia
                                - Gigante è a Parigi, membro della Direzione nazionale della Confederazione
                                generale del lavoro. Dalla Francia passa a più riprese clandestinamente
                                in Italia, per organizzarvi la lotta antifascista
                                e il movimento sindacale. Nel 1929 viene arrestato e processato
                                in Svizzera, insieme a Grieco, Dozza, Secchia e altri; ma, come i suoi compagni,
                                rimane in carcere pochi giorni». «Nel 1933 Gigante entra a far parte
                                del Comitato centrale del Partito comunista e lo stesso anno viene arrestato
                                durante una missione a Milano. Finisce davanti al Tribunale speciale
                                che, nell’ottobre del 1934, lo condanna a venti anni di carcere. Nel '42 viene
                                confinato nell’isola di Ustica. Il 25 luglio del 1943 coglie Gigante nel campo
                                di concentramento di Renicci, presso Anghiari, dove sono internati altri
                                antifascisti, tra cui numerosi sloveni. 
                                Sembra l’ora della libertà, ma dal governo
                                Badoglio non arriva l’ordine di scarcerazione. I detenuti pazientano
                                sino all’8 settembre, quindi, guidati da Antonio Gigante, si ribellano alle
                                guardie ed evadono. Gli evasi tentano di spingersi a Sud per raggiungere il
                                fronte ed unirsi agli alleati, ma non riescono nel loro intento e sono costretti
                                a ritornare indietro». Gigante e i suoi attraversarono la
                                Romagna, costeggiarono l’Adriatico, raggiunsero il Veneto e Trieste. In
                                Istria egli fu tra i primi organizzatori di formazioni partigiane. Combattendo
                                si spinse in Dalmazia; qui, in rappresentanza dei comunisti italiani,
                                trattò con quelli jugoslavi gli accordi per la immediata lotta comune contro
                                i nazifascisti, accantonando le questioni territoriali. Gigante diventò membro
                                della direzione del partito a Trieste. E lì, dopo una spiata, fu arrestato
                                nel novembre del 1944. Torturato, non collaborò. Così fu ucciso. 
                                Una storia raccontata con dovizia
                                di particolari nel libro che sarà presentato a Brindisi: è ricco di testimonianze
                                e di documenti, incluse molti rapporti su Gigante redatti dall’Ovra,
                                la polizia politica fascista. Ma non vi compaiono solo l’uomo politico
                                e il combattente. Dal libro emerge anche la figura di un figlio amorevole, di
                                un padre premuroso, di un marito affettuoso: Cenzo, come lo chiamava la
                                moglie Wanda, o Zino, dal brindisino ’Nzino, come la chiamava la madre
                                Concetta. Una storia intima, che emoziona quanto la avventura politica.
                                
                                
                                 
                                    
                                Marco
                                Brando 
                  
                                   | 
                                  
                                    
                                  
                  
                                      
                  
                                     
                  
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