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| MEDIOEVO RUSSO | a cura di Aldo C. Marturano, pag. 21 | 

| Sergeev Posad si può considerare oggi come il più importante complesso monastico dell’Ortodossia russa paragonabile al Monastero delle Grotte di Kiev o a Monte Athos in Calcifica. Esso è sede di S. S. Alessio II, Patriarca di tutte le Russie e riconosciuto capo dell’Ortodossia universale. Oggi il complesso, rinato a nuova vita, benché occorrano ancora degli anni per rimettere in sesto tutte le sue parti architettoniche, è brulicante di pellegrini. Il Segretario dei Pellegrini, Mons. Metodio conosce bene l’italiano e l’Italia e chi voglia altre informazioni su Zagorsk (così è conosciuta meglio la località di Sergeev Posad) può visitare il sito del Patriarcato Ortodosso Russo che ha le pagine in italiano per il lettore curioso proprio curate da Mons. Metodio. | 
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 L’esistenza, mai accettata da Mosca, di due Metropoliti divisi fra i
          russi del nordest e del sudovest, uno sotto il principe di Mosca e
          l’altro sotto la protezione dei lituani, in quegli anni della
          seconda decade del XIV secolo stava raggiungendo il limite dello scisma interno. Quando Olgherd, il
          principe lituano, che minacciava di fagocitare la nascente potenza
          moscovita muore, Sua Santità Filoteo è sostituito a Costantinopoli
          da un altro Patriarca e questo nuovo altissimo prelato sembra stavolta
          sempre più favorevole all’unione con la Chiesa di Roma. Ammettiamo che
          tale unione fosse avvenuta, dove avrebbe portato la nascente potenza
          moscovita e il suo prestigio? Di sicuro nella sfera dell’influenza
          dei re francesi, visto che in questo periodo il papa di Roma si è
          trasferito ad Avignone e subisce la politica di Carlo V di Valois.  La Lituania si è
          già schierata dalla parte delle potenze occidentali vicine, in cui i
          principi francesi hanno un grandissimo peso fino in Ungheria e in
          Polonia. Olgherd stesso sperava, fra l’altro, in un contributo
          militare per battere i Cavalieri Teutonici che continuavano a
          rafforzarsi nel Baltico e penetravano sempre più frequentemente nei
          territori lituani e nei Quinti novgorodesi che Vilnius invece
          pretendeva di proteggere e successivamente inglobare nella nazione
          lituana.  La politica del Papa, addirittura già nel 1340, ha avuto il consenso
          del khan Uzbeg a concedere il permesso alla libera circolazione
          dei frati francescani fra i Cumani a sud di Kiev. Così ora gran parte
          di questi ex nomadi turchi professano il cristianesimo di rito latino,
          avendo abbandonato l’ortodossia! è un assedio ideologico per la Bassa del Volga e contro la Chiesa
          Russa… A Mosca si pensa che sarebbe davvero la rovina se questa parte
          dell’Europa lungo le rive del Mar Nero venisse divisa dalla Bassa
          non solo politicamente, ma anche culturalmente usando la religione, ci
          sarebbe il gran rischio di non riuscire più a raccogliere intorno a sé
          tutti i russi, principi e plebei, ed unirli sotto l’unica bandiera
          di un unico principe, di sicura fede russa, come quello
          moscovita. La Chiesa Russa
          deve quindi lottare per restare indipendente, ma soprattutto unita, ed
          inoltre deve rafforzarsi e radicarsi meglio fra la gente minuta per un
          miglior controllo del territorio abitato. Solo in questo modo, si può
          far crescere il consenso verso una politica di liberazione dallo
          straniero che Mosca, in qualsiasi caso, dovrebbe condurre con grande
          forza.  La Chiesa, tuttavia, non era soltanto un’istituzione religiosa, ma era
          prima di tutto un grande proprietario terriero, il più alto tribunale
          civile, la più capillare organizzazione informativa e la dichiarata
          sedicente protettrice della gente umile. Possedeva ospedali e curava
          malati e si era distinta specialmente in questa assistenza al tempo
          della Morte Nera, raccogliendo grande stima e consenso fra tutti.  Era alla Chiesa ed ai suoi uomini, infine, e non alle corti dei
          principi, che si chiedevano modelli di vita e di comportamento. Il
          fatto che un vescovo potesse scomunicare e quindi spogliare un
          principe del potere, faceva molta impressione e paura allo stesso
          tempo, per cui si può capir facilmente quale ruolo carismatico
          rivestisse un Metropolita popolare o quanto contasse la parola
          dell’arcivescovo in una capitale d’udel.  Purtroppo la persona che avrebbe meglio di chiunque altro potuto
          prendere il posto di Metropolita dell’Unione delle Terre Russe,
          Sergio di Radonezh, aveva rifiutato il “klobuk” (tiara) e
          aveva preferito prendersi cura soltanto del suo convento, dopo la
          morte di Alessio, Metropolita di Vladimir-sulla-Kljazma.  Perché mai? E chi è dunque questo Sergio? Nato
          (la data di nascita non è sicura e si colloca fra il 1314 e il 1322)
          col nome di Bartolomeo figlio di Cirillo, una volta ricchissimo bojaro
          di Rostov la Grande, aveva vissuto con la sua famiglia
          l’impoverimento e la degradazione sociale a causa delle spese e
          delle imposte che Giovanni il Borsello sgraffignava, da Rostov, per
          conto del khan di Sarai.  Era
          diventato veramente duro continuare a vivere là. Tutti dovevano
          pagare il gravoso e dovuto vyhod, e anche di più, visto che
          c’era la percentuale trattenuta da Mosca e ben due principi
          regnavano nella città di Rostov. Addirittura per dar l’esempio che
          Mosca non permetteva l’evasione di questi pagamenti, gli inviati di
          Giovanni il Borsello una volta avevano osato persino impiccare il
          bojaro Averchia, Capo dei Mille di Rostov, in piena piazza del
          mercato, quando questi si era apertamente rifiutato di subire
          l’imposizione!  Quando
          poi nel 1332 era scoppiata una terribile carestia e la gente,
          disperata, aveva cercato rifugio lontano da Rostov, nelle terre
          vicine, anche Cirillo, con la sua famiglia, ad un bel momento si era
          messo in marcia verso occidente, come tanti altri. Con la moglie Maria
          e i suoi tre figli: Stefano, il nostro Bartolomeo e Pietro. Cirillo si
          stabilì a Radonezh, seguendo una vecchia usanza che insegnava ai
          liberi bojari che le pestilenze e le carestie erano più dure in città
          che non nei villaggi sperduti, come quello scelto da lui. Cirillo cercò
          di ricostruirsi qui una nuova vita, proprio al tempo del principe
          Andrea, figlio di Giovanni il Borsello (Ivan Kalità). Insieme
          a Cirillo, quella volta, era emigrato anche Protasio Veljaminov, il
          capoclan dei bojari moscoviti più potenti e avo del principe Demetrio
          di Mosca, ma questi aveva preferito stabilirsi nella capitale
          moscovita, invece che in un villaggio isolato e lontano. Mentre
          i fratelli, Stefano e Pietro, si erano sposati, lui, Bartolomeo,
          persona eccentrica e poco incline allo studio (così dicono le
          Cronache) cominciò a mostrare le sue stranezze d’adolescente. Non
          mangiava quasi più e dimagriva a vista d’occhio, dicendo ai suoi
          che così bisogna vivere, per incamminarsi verso Cristo. Presentendo
          l’avvicinarsi della morte, Cirillo e sua moglie Maria, come era
          ormai diventata consuetudine a causa della peste che dilagava, si
          erano ritirati in convento con una parte delle loro ricchezze
          lasciando il resto dei loro averi ai tre figli.  Stefano,
          rimasto vedovo, aveva preso poi la stessa decisione dei genitori e si
          era ritirato nel loro stesso convento. Bartolomeo, poco incline a
          maneggiare denaro e per far sì che i beni della famiglia non si
          frazionassero nelle sue mani, decise anche lui di entrare in convento
          ed andò a far compagnia a Stefano come novizio, lasciando l’intera
          eredità a Pietro. Sembra poi che i due fratelli, Stefano e
          Bartolomeo, non trovandosi più a loro agio nel convento, decidessero
          di andare a vivere lontano nei fitti boschi intorno. Nelle
          vicinanze di una sorgente, esistente ancora oggi nel Monastero di
          Zagorsk (Sergeev Posad a qualche decina di km da Mosca),
          costruirono una capanna, cominciarono a disboscare tutt’intorno per
          avere un campo da coltivare e costruirono persino una chiesetta di
          legno con le loro mani. Fatta benedire la chiesa dedicata alla Santa
          Trinità dal vescovo di Mosca, i due fratelli passarono gli anni
          sempre più isolati e dimenticati, costretti a prendere in prestito di
          tanto in tanto un prete dal convento del villaggio vicino per le
          funzioni religiose.  Un
          bel giorno però Stefano va a cercare aiuto e sostegno finanziario a
          Mosca, lasciando Bartolomeo nel romitaggio della foresta. A Mosca si
          incontra con i loro vecchi conoscenti, i Veljaminov, ormai
          strettamente imparentati col principe, e con Alessio, non ancora
          asceso al seggio di Metropolita. Mentre Stefano è via, il povero
          Bartolomeo si trova a dover gestire da solo una situazione molto
          precaria e decide di farsi anche lui monaco, tanto che il 7 ottobre
          del 1345 viene consacrato nel convento da dove si era in passato
          allontanato.  è
          ancora un giovane inesperto e quando vede che presso di lui accorrono
          altri monaci, non sa che fare, anche se costoro lo vorrebbero come
          loro guida.  La
          peste giunge poi nella zona e già nel 1353 Simeone il Superbo,
          infettato, ne muore. La malattia colpisce pure il Metropolita, le cui
          veci sono fatte ora da Atanasio, vescovo di Perejaslavl. Sappiamo
          poi che il Patriarca Filoteo consacrò Metropolita proprio il
          sopranominato Alessio, mentre Bartolomeo, ormai col nome di fra’
          Sergio, non si sa come, riceve la carica di Igumeno
          (superiore o priore) del convento fondato da suo fratello. Logicamente
          quando questi rientra da Mosca, ci rimane male perché considerava che
          quell’incarico fosse legittimamente suo e non toccasse al fratello
          minore. A
          questo punto scoppia la lite fra i due fratelli ed è così violenta
          che l’autore della Vita di San Sergio di Radonezh dice che fu
          Satana, sotto mentite spoglie, ad attizzarla. Sergio però, che non
          amava molto le liti, di notte fugge via e a circa una quarantina di
          verste nel fitto della foresta lungo il fiume Kirzhac’ fonda un
          nuovo centro di preghiera, tutto proprio. Questo
          nuovo centro a poco a poco, data la personalità acquisita da sant’uomo
          in questi anni in cui era diventato molto più maturo, comincia ad
          attirare sempre più gente intorno a sé tanto da svuotare il convento
          di suo fratello.  Il
          Metropolita Alessio, consultato ora sulla questione, in queste
          circostanze, se non può contraddire quello che il Patriarca ha
          comunque ormai sancito, manda però un suo messo a Sergio che gli
          impone di ritornare a Radonezh per far pace ed unire il suo convento
          con quello del fratello. Il
          che avviene e finalmente ritorna la pace nei boschi… Sergio,
          intanto, ha riflettuto sul ruolo che la Chiesa, secondo lui, dovrebbe
          avere, specie fra la gente semplice e impoverita, in una situazione
          che lui conosce bene avendola vissuta in prima persona. Bisogna
          salvare il corpo e l’anima e quindi incoraggia i monaci al lavoro,
          alla predicazione fra i pagani intorno a loro che sono numerosi e,
          soprattutto attraverso l’esempio personale, mostra come dedicare la
          propria vita al bene degli altri. Avere sempre una parola e un atto
          che conforti il prossimo è la missione dell’uomo di Dio!  Si
          racconta che lui stesso cuocesse il pane, attingesse l’acqua dalla
          sua famosa sorgente miracolosa e la portasse in convento ogni giorno,
          spaccasse la legna per il fuoco e non si desse mai tregua né riposo
          per la festa, pretendendo altrettanto dai frati che erano con lui. è
          il secolo in cui tutta la Cristianità conosce grandi sconvolgimenti e
          desideri di riforma e di rinnovamento. Sorgono i Flagellanti nella
          Mitteleuropa mentre crescono i grandi ordini cristiani di povertà
          come i francescani, ed è il tempo che genererà Giovanni Hus e i
          Fratelli Moravi e quello di Caterina da Siena. Soprattutto nella
          Chiesa Bizantina nasce il cosiddetto Esicasmo esercitato dal famoso
          monaco Gregorio Palama. è
          una dottrina mistica che viene accolta con entusiasmo a Costantinopoli
          e difesa persino dall’Imperatore Cantacuzeno, ma che non sappiamo
          con sicurezza se essa attecchisse completamente nella mentalità del
          nostro Sergio, anche se, come appare dal comportamento del grande
          monaco russo, fu da lui pienamente compresa nelle sue aspettative
          spirituali. La
          situazione della Chiesa nelle Terre Russe è comunque più
          particolare, perché essa è il territorio più importante e vasto del
          Patriarcato di Costantinopoli, da tutti i punti di vista, specialmente
          da quello delle prebende. Molti
          russi si affidano alla Chiesa facendo lasciti ai conventi, non appena
          si ammalano senza speranza di guarigione. Ma, non appena si sparge la
          voce della santità di Sergio e del suo potere di predire il futuro e
          di altre sue azioni miracolose sul corpo umano, chi può cerca di
          recarsi da lui favorendo la crescita di questa comunità rispetto ad
          altre, tanto che, a poco a poco Sergio diventa, per dirlo in parole
          moderne, una specie di Padre Pio nella foresta moscovita! Il
          ruolo di Sergio di Radonezh e del suo convento, nella nostra storia,
          è grandissimo perché non sono tanto le idee di Alessio che si
          affermano fra la gente d’alto e basso lignaggio, quanto invece
          l’esempio umano e mistico di fra’ Sergio. Quante volte il
          santo monaco interverrà su richiesta di Demetrio, incidendo nella
          vita politica moscovita dopo la morte di Alessio! è
          Sergio che legittima il “santo potere” del principe di Mosca
          destinato da Dio a riunificare la Terra Russa. Sono i suoi conventi
          che sorgeranno dietro la sua spinta come funghi qua e là nella terra
          Russa che esalteranno il ruolo e riceveranno la protezione del
          Principe di Mosca!  Nel
          1365 Sergio interviene persino nella lite fra Suzdal e
          Novgorod-di-sotto quando chiude personalmente tutte le chiese di
          quest’ultima città, per costringere i due rispettivi principi a
          riconciliarsi. Nel
          1380 predirà a Demetrio l’esito della Battaglia del Pian delle
          Beccacce… Nel
          1385, benché molto vecchio, vedremo che riuscirà a metter pace fra
          Demetrio e il suo ambiguo antagonista, il principe di Rjazan’… L’azione
          civile e politica di Sergio è dunque importante e incisiva, ma
          condotta in sordina, secondo la moda del tempo. D’altronde, fondare
          monasteri, conventi o cenobi non era che un modo per colonizzare le
          terre vergini, intorno a Mosca oppure nell’estremo nord del paese
          russo. Se ad una colonizzazione armata o conquista da parte di Mosca
          qualsiasi principe si sarebbe opposto, a quella pacifica della chiesa
          invece, sono tutti disposti ad aprir le porte delle loro città e
          territori. E
          i contadini? I contadini in verità non amano molto questa intrusione
          da parte dei monaci perché si sentono rubare la terra ed impoverire
          ancora di più. Se riflettiamo sul fatto che il contadino di quei
          tempi si serviva della foresta che lo circondava per pascolare il suo
          piccolo bestiame, per ricavare l’appezzamento di terra nuova quando
          il vecchio terreno era esausto, per la piccola caccia, per tutte le
          materie prime, per la propria economia commerciale e artigianale
          (miele e cera, pelli e pellicce etc. che vende al mercato) e, se i
          fiumi gli servono per pescare, capiremo presto che ogni qual volta si
          vedeva un fil di fumo nella foresta che indicasse l’insediamento di
          un monaco, tutto il villaggio entrava in apprensione e allarme perché
          preannunciava… la distruzione della foresta.  Ciò
          traspare dalle Cronache (scritte dagli stessi monaci) quando i
          contadini finnici di Belo Ozero (Lagobianco) ai nuovi arrivati
          chiedevano: «Perché avete costruito sulla nostra terra un
          monastero? Forse volete impadronirvi dei nostri villaggi e dei nostri
          campi?». Che risposta poteva esser data a questa domanda dai
          monaci, se non quella di allontanarsi subito, pena il saccheggio e
          l’uccisione, cosa che avveniva abbastanza frequentemente fra i
          pagani del nordest?  Le
          Cronache spiegano questa ostilità dicendo che era il diavolo a
          crearla, servendosi della bocca dei contadini. In realtà, se leggiamo
          alcune regole dei più di 200 monasteri fondati in quel secolo,
          possiamo vedere che la gente fuori della Bassa finora libera, quando
          passava a lavorare per il monastero, diventava ed era considerata né
          più né meno che un gruppo di animali da lavoro e basta. Quindi
          non era tutto rose e fiori… D’altra parte i nuovi conventi, per
          aver ricevuto un’esenzione completa dalle tasse dall’Orda e la
          protezione armata del principe di Mosca, avevano un potere di
          usufruire come volevano del territorio. Era difficile che questa
          prerogativa non si trasformasse in un grandissimo vantaggio economico
          per il clero, a tal punto che non c’era più alcuna differenza fra
          il modo di sfruttamento da parte dei proprietari terrieri laici (bojari)
          e quello di questi monaci. Addirittura, affinché il monaco non fosse
          considerato lo “strano” del villaggio dove si trovava il
          monastero, si era giunti al punto di accettare il fatto che costui
          potesse avere presso di sé una compagna, come qualsiasi altro prete (pop
          in russo), e si accettava che costei gli desse dei figli, non
          costituendo tale comportamento alcuno scandalo. In definitiva farsi
          monaco poteva diventare un nuovo modo di vita secolare…  Il
          convento però forniva molti servizi alle comunità. Dava ricetto agli
          sbandati, curava i malati, proteggeva le donne sole e i bambini
          orfani, che così non erano più venduti schiavi. In più c’erano le
          promesse della vita eterna dopo la morte, trasmesse attraverso
          l’insegnamento cristiano e tutto questo veniva capito dalla gente
          umile, ancora pagana, come l’unico modo per… continuare a
          sopportare il potere! Di
          solito il primo fondatore (o il finanziatore) del convento era un ex
          bojaro che usava le sue aderenze e parte del denaro che aveva
          accumulato per mascherare, dietro un saio così comprato,
          l’intenzione di rifarsi una vita più spensierata… Sergio
          di Radonezh si immerge proprio in questo tipo di situazione, piena di
          contraddizioni. Non l’accetta però interamente, perché per lui la
          vita monastica è tutt’altro che arricchire o guadagnare. Indirizza
          tutti i suoi sforzi affinché la nuova Russia, che sta nascendo
          proprio attraverso l’azione della Chiesa, diventi una nazione
          totalmente sottoposta a Dio e al principe al quale Dio ha concesso in
          proprietà tutta la terra, con quanto di vivo e di morto ci sia,
          dentro e sopra di essa.  La
          devozione e gli insegnamenti del Vangelo per i monaci ed il resto
          della gerarchia ecclesiastica, deve restare l’unica regola (la
          Chiesa Russa Ortodossa non fonda nuovi ordini con nuove regole!) per
          tutti i credenti.  Tutti
          hanno l’obbligo di concorrere alla costruzione del Regno di Cristo,
          anche col proprio sacrificio e con le proprie rinunce. Basta con gli
          eccessi e basta con la vita immorale! Se vogliamo riconquistare la
          nostra libertà dall’oppressore straniero, dobbiamo meritarcela con
          una vita santa, e solo allora il Signore ci benedirà e ci aiuterà a
          conquistare l’indipendenza, perdonando i nostri peccati! è
          l’ideologia cristiana che, esaltata ed esaltante, servirà alla
          conquista della Siberia nei secoli seguenti, anche meglio che in
          questi anni…  Come
          spiegare però l’improvviso accrescersi di villaggi soggetti ai
          conventi e delle estensioni delle proprietà terriere della Chiesa?
          C’è il sospetto che questi “lasciti” dei bojari non fossero
          delle vere e proprie donazioni, ma degli affidi di terre e immobili da
          amministrare che poi per varie ragioni non venivano più reclamate.
          Solo così possiamo immaginare la crescita economica rapidissima della
          Chiesa Russa nel XIV sec. Abbiamo
          sentito dalle parole di san Sergio il rifiuto a mettere le mani nel
          denaro, considerato (come dirà più tardi Martin Lutero) lo ”sterco
          del demonio”, ma in realtà anche Sergio sa che il monaco deve
          pregare e per pregare deve spendere la maggior parte del suo tempo.
          Per diffondere la fede fra i pagani, il monaco deve mantenersi in vita
          e perciò deve nutrirsi e quindi occorre pure che trovi il tempo per
          lavorare e coltivare la terra.  Presso
          i conventi quindi nasceranno, inoltre, i mercati, in principio non per
          i grandi mercanti, ma per il baratto con la gente più semplice che
          viene dalle fredde lande del nord. Pian piano i villaggi intorno
          confluiranno in una piccola città con al centro il convento che
          domina e che ancora rappresenterà l’unico punto di riferimento per
          tutta la regione intorno.  E
          così dopo il consolidamento del convento in una zona, presto
          seguivano gli armigeri del principe che cominciano a censire i
          villaggi ed imporre tasse e balzelli alla gente rimasta, finora,
          libera e dimenticata, persino dai baskakì tartari! Questa
          però è un’evoluzione lenta che naturalmente potrà avvenire solo e
          quando Mosca riuscì a sottomettere la maggior parte dei principi
          russi alla sua autorità. L’arrivo di “incaricati” di Mosca,
          fossero questi armati o semplici monaci, non era mai ben visto dal
          signorotto locale.  
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©2005 Aldo C. Marturano