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VITO ANTONIO LEUZZI

 

Meridionalismo, 50 anni fa

 

Il Mezzogiorno al nocciolo della «questione»

   

   

  
Il dibattito politico e culturale dell'Italia di mezzo secolo fa ruotò attorno al termine «disgelo», che indicava la lenta ma progressiva attenuazione della «guerra fredda» da taluni considerata la più mondiale delle guerre del Novecento. Alla minaccia nucleare e alle logiche di «muro contro muro», si affiancava lo spirito della distensione che ebbe l'effetto di riaprire il dialogo e di rendere meno ideologico l'approccio ai problemi internazionali e nazionali. Nel 1955 gli effetti della conferenza della città indonesiana di Bandung (alla quale parteciparono i rappresentanti di 29 Paesi asiatici e africani, tra i quali l'India di Nehru, e che pose il problema della decolonizzazione e della cooperazione tra i popoli) si avvertirono anche in Italia, dando luogo ai movimenti antimilitaristi e pacifisti e a un rinnovamento intellettuale di indubbio rilievo. La crisi dello stalinismo, infatti, apriva inconsueti spazi di riflessione critica nell'intellettualità di sinistra in diversi Paesi europei.

Aspetto peculiare della situazione culturale italiana fu la moltiplicazione di ricerche, inchieste studi che tra il 1955 ed il '56 ebbero l'effetto di presentare soprattutto la situazione meridionale fuori dai rigidi schemi politicici ed ideologici del decennio post-bellico. La ricerca sociologica e antropologica, alla quale si riconosceva finalmente diritto di cittadinanza, iniziò a far sentire i suoi effetti sulle nuove riviste che costellarono il panorama culturale italiano. Il dibattito sul Mezzogiorno e la cultura contadina ebbe un posto non secondario su diversi periodici sorti tra il 1954 ed il '55: da «Cronache Meridionali» fondato da Francesco De Martino e Giorgio Amendola, e diretto da Nino Sansone, a «Nord e Sud» di Francesco Compagna, a «Il Contemporaneo» di Carlo Salinari e Antonello Trombadori. Su quest'ultimo settimanale l'antropologo Ernesto De Martino, in un contributo intitolato Etnografia e Mezzogiorno, respingeva le critiche rivolte a Carlo Levi da Mario Alicata, il più tenace difensore dell'ortodossia marxista, in un articolo dal titolo emblematico Il Meridionalismo non si può fermare ad Eboli, apparso su «Cronache Meridionali». De Martino affermava: «Il meridionalismo non si può neanche esaurire nell'analisi e nella storia delle forme di miseria e di oppressione economica, sociale e politica, né basta allargare la prospettiva conoscitiva sì da includere lo studio della tradizione intellettuale del Mezzogiorno nella sua forma più alta, secondo la indicazione di Gramsci».

L'antropologo - che aveva dato impulso a Bari alla fine degli anni '30, con Tommaso Fiore, Michele Cifarelli, Fabrizio Canfora al movimento antifascista di ispirazione liberal-socialista - rivendicava l'esigenza di esplorare e spiegare la complessità della storia religiosa della società meridionale, gli schemi mentali di un mondo contadino «corporativamente inteso» e le sue forme di cultura egemonica (in particolare il cattolicesimo), considerando che «paganesimo e cristianesimo nelle campagne sono stati sempre, nei venti secoli di storia cristiana dell'occidente, in continuo drammatico rapporto». In tale contesto, secondo De Martino, andavano collocati gli aspetti più arretrati della cultura di questa società. Sul versante della vita civile e della scuola, in particolare, balzavano all'attenzione di tutti le denunce e gli appelli per la libertà d'insegnamento contro le discriminazioni politiche messe in atto dal ministero della Pubblica Istruzione: esclusione dei docenti di sinistra nei posti direttivi, nelle commissioni dei concorsi, e più in generale «l'atmosfera di delazione, di viltà, di ipocrisia» diffusa nell'Università e nella scuola.

Mario Sansone e Gabriele Pepe, docenti della Facoltà di Lettere dell'Università di Bari, lanciavano appunto nel gennaio di cinquant'anni fa un appello contro l'offensiva clericale nella scuola, accolto tra gli altri da Aldo Capitini, Ernesto Codignola, Concetto Marchesi, Enzo Collotti. «Le ordinanze maccartiste [del ministero della P.I.] - affermava Sansone - istituiscono la legge del sospetto e tendono ad asservire [gli insegnanti] alla dittatura clericale». Una ondata generale di cambiamento comunque si avvertiva a livello internazionale e veniva ben indicato in un articolo di Jean Paul Sartre, La Pace 1955, pubblicato nel luglio di quell'anno su «Il Contemporaneo». «Ciò che può darci la pace - affermava Sartre - non è né il mantenimento dello statu quo, né il ritorno indietro: è un progresso infinito, è un lavoro immenso di assestamento e di costruzione che va dalla ridistribuzione delle ricchezze prodotte dall'energia atomica al riconoscimento da parte di tutti dell'indipendenza e della sovranità di tutti i popoli».

 

Vito Antonio Leuzzi

 

 

da "La Gazzetta del Mezzogiorno", 03/01/2006 - segnalato da M.T. Rauzino

 

  

 

 

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