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LA CASA EDITRICE

Cristiano Caracci, La luce di Ragusa, Santi Quaranta, Treviso, II edizione 2006.

«I mercanti ragusei, le loro relazioni commerciali nei Balcani e nel Mediterraneo, la maestosa figura di Bernardo Gundlig, la peste e il terremoto sono alcuni "fili" preziosi della tela intessuta da Cristiano Caracci all'interno de La luce di Ragusa. Il romanzo ha una circolarità di evocazione incessante: una sorta di staffetta continua passa la mano ai diversi raccontatori dando vita a uno splendido diario, che è insieme storia di una famiglia attraverso più generazioni e storia originale di Ragusa-Dubrovnik, la famosa "piccola" repubblica marinara adriatica». 

NEL SITO:
Né Turchi né ebrei, ma nobili Ragusei
Castelli della Croazia
Quando la Serenissima controllava le Tremiti

ADRIANO PAPO

 

La luce di Ragusa

 

In seconda edizione, il romanzo storico di Cristiano Caracci sulla città dalmata

 

  

[...] Ho concluso la prefazione del primo libro di Cristiano Caracci, Né turchi né ebrei ma nobili ragusei, riportando le parole d’un noto scrittore ungherese vissuto a cavallo tra Otto e Novecento, Ferenc Herczeg, il quale, in un capitolo dei suoi racconti di viaggio Sulle ali dei venti, un libro uscito all’inizio del Novecento con delle accattivanti illustrazioni e dedicato appunto a Ragusa, che visitò nel corso d’una crociera lungo le coste della Dalmazia, ha – e non a torto – definito la città dalmata “un meraviglioso esempio della forza creatrice della latinità”. Anche il nostro autore, Cristiano Caracci, parla all’inizio del suo libro di “splendore della costa dalmata”, di “bellezze naturalistiche e artistiche” della Dalmazia, di “splendore della civiltà italoveneta”, cui Ragusa appartiene, anche se fu “coraggiosa e storica avversaria della Serenissima”. E forse appunto per essere e giustamente “un meraviglioso esempio della forza creatrice della latinità” Ragusa, nel corso della sua più che bimillenaria esistenza (esattamente due millenni e mezzo di storia a partire dal 593 a.C., data della fondazione dell’antica Epidaurum da parte di coloni greci), fu contesa da diversi popoli: slavi, bosniaci, veneziani, bizantini, normanni e anche ungheresi e turchi, per non parlare degli ostrogoti e degli avari e per limitarci al Medioevo e all’età moderna; poi sarebbero arrivati anche i francesi, i russi, i montenegrini e gli austriaci.

Dunque, Ragusa appartenne all’Ungheria, o meglio al regno di Croazia e Dalmazia, ch’era unito dinasticamente all’Ungheria. Va detto a questo proposito che fin dalla sua fondazione, il giovane stato magiaro si era espanso verso i Balcani, cercando uno sbocco al mare, cioè al mare Adriatico, di vitale importanza per il suo sviluppo economico. Nel 1091, la regina di Croazia e Dalmazia, Elena Trpimirović, rimasta vedova del re Demetrio Zvoinimiro, invitò nel 1091 il fratello (san) Ladislao I, re d’Ungheria, a prendere possesso del suo regno. Ladislao non se lo fece dire due volte e, compiuta la missione, sistemò su quel trono il nipote Álmos, approfittando del fatto che i bizantini erano distratti dall’espansione in Anatolia dei turchi selgiuchidi. Il successore di Ladislao, Colomanno il Bibliofilo, continuò l’occupazione della costa dalmata, contendendola all’influenza veneziana. Venezia aveva infatti ben presto capito della fondazione dell’antica Epidaurum da parte di coloni greci), fu contesa da diversi popoli: slavi, bosniaci, veneziani, bizantini, normanni e anche ungheresi e turchi, per non parlare degli ostrogoti e degli avari e per limitarci al Medioevo e all’età moderna; poi sarebbero arrivati anche i francesi, i russi, i montenegrini e gli austriaci.  Dunque, Ragusa appartenne all’Ungheria, o meglio al regno di Croazia e Dalmazia, ch’era unito dinasticamente all’Ungheria. Va detto a questo proposito che fin dalla sua fondazione, il giovane stato magiaro si era espanso verso i Balcani, cercando uno sbocco al mare, cioè al mare Adriatico, di vitale importanza per il suo sviluppo economico.

Nel 1091, la regina di Croazia e Dalmazia, Elena Trpimirović, rimasta vedova del re Demetrio Zvoinimiro, invitò nel 1091 il fratello (san) Ladislao I, re d’Ungheria, a prendere possesso del suo regno. Ladislao non se lo fece dire due volte e, compiuta la missione, sistemò su quel trono il nipote Álmos, approfittando del fatto che i bizantini erano distratti dall’espansione in Anatolia dei turchi selgiuchidi. Il successore di Ladislao, Colomanno il Bibliofilo, continuò l’occupazione della costa dalmata, contendendola all’influenza veneziana. Venezia aveva infatti ben presto capito l’importanza della Dalmazia quale potenziale base per gli scambi commerciali con la Grecia, con Costantinopoli e col Levante, e già a partire dal 996 aveva occupato Zara, Arbe, Veglia, Cherso e Ossero, territori che tenne anche dopo l’occupazione magiara (gli ungheresi occuparono invece la costa settentrionale della Dalmazia e la regione tra Sebenico e la Narenta con Spalato e Traù). Nel 1102, dopo la rinuncia di Álmos, Colomanno cinse anche la corona di Croazia e Dalmazia, sancendo quell’unione dinastica che, almeno tra l’Ungheria e la Croazia, sarebbe durata fino alla fine della prima guerra mondiale. 

È plausibile quindi che anche Ragusa, con l’occupazione ungherese della Dalmazia, sia passata di diritto o di fatto sotto la sovranità magiara, prima di cadere sotto il dominio veneziano. Sennonché, prima del trattato di Zara del 18 febbraio 1358 che siglò il ritorno di tutta la Dalmazia dalla sovranità veneziana a quella magiara, non ci sono documenti i quali attestino rapporti diplomatici o politici tra la città dalmata e il regno magiaro; sappiamo però che, prima dell’arrivo dei tatari, la reliquia del braccio destro di Santo Stefano era stata trasferita da Nagyvárad a Ragusa, dove poteva essere conservata con maggiore sicurezza. Tale mancanza di contatti può anche essere dovuta alla lontananza di Ragusa dall’Ungheria, anche se un bano rappresentava a tutti gli effetti il re magiaro in tutti i suoi domini adriatici. Fatto sta che nel corso degli anni i legami tra i principi dalmati e il potere centrale si allentarono a tal punto che ne approfittò la Repubblica di Venezia per estendere il suo protettorato su gran parte della costa e delle isole della Dalmazia.

A ogni modo, i legami tra Buda e la Dalmazia si erano rinsaldati dopo l’ascesa al trono di Santo Stefano della dinastia angioina (inizio del XIV sec.), che da qualche decennio era già stabilmente insediata nel Regno di Sicilia. La Dalmazia, infatti, data la sua posizione nell’Adriatico quasi ‘dirimpettaia’ del regno napoletano, era una regione oltremodo importante per i commerci di quel paese con la Grecia e con Costantinopoli e quindi molto appetibile. Napoli era divenuta gelosa della fortuna commerciale di Venezia, che aveva approfittato delle crociate per espandere la propria influenza economica nel Levante.

Lo scontro tra Venezia e gli Angioini per la supremazia in Dalmazia e il controllo dell’Adriatico non si fece attendere: esso fu praticamente inevitabile allorché il pronipote del re di Sicilia Carlo II d’Angiò, Luigi I il Grande, già re d’Ungheria (1342-82) e di Polonia (1370-82), rivendicò pure la corona napoletana dopo la morte del fratello Andrea, che prima era stato associato al trono di Sicilia, poi era stato fatto uccidere dalla moglie, la regina Giovanna. La guerra, lunga e incerta, si concluse – come già s’è detto – con la pace firmata a Zara il 18 febbraio 1358: gli ambasciatori veneti “furono contenti di rinunciare” e “in effetti rinunciarono e – cita il trattato di pace – trasferirono in mani ungheresi tutte le città, le terre, le fortezze, le isole e i porti dalmati, nonché i diritti su tutta la Dalmazia, dal golfo del Quarnero a Durazzo, e, in particolare, cedettero le città di Nona, Zara, Scardona, Sebenico, Traù, Spalato e Ragusa e le isole di Cherso, Veglia, Arbe, Pago, Brazza, Lesina e Curzola”.

Tuttavia, già nelle trattative che precedettero la pace di Zara gli ambasciatori ungheresi avevano preteso “tutta la Dalmazia” e non certo in virtù della vittoria di Luigi il Grande, ma perché “i Veneti avevano posseduto indebitamente la Dalmazia, che invece spettava di diritto al re magiaro”. Col trattato del 18 febbraio 1358 Ragusa si liberò quindi del dominio veneziano (cui era assoggettata fin dal 1205), e con quello successivo del 27 maggio 1358 essa promise fedeltà al re magiaro, impegnandosi a corrispondergli un tributo annuo di 5000 fiorini d’oro, oltre a quelli, ammontanti a 2500 e 500 fiorini, che doveva rispettivamente al despota di Serbia e al bano di Bosnia in cambio della loro protezione. S’impegnò altresì a fornire al sovrano magiaro una flotta navale, a far celebrare “tre messe solenni per tre volte l’anno in onore del re e dei suoi discendenti” e a offrire onorevole accoglienza (ovverosia “due pranzi e due cene”) nel caso in cui il re, o un suo successore, avesse soggiornato in città. Dal canto suo il re d’Ungheria promise di difendere Ragusa contro il re serbo, il bano di Bosnia e contro tutti i suoi potenziali nemici, e permise che essa conservasse tutte le consuetudini, le libertà e gli ordinamenti, nonché la giurisdizione sulle sue isole e i possessi di terraferma e, fatto più importante e presumibilmente la concessione più gradita alla città dalmata, il libero commercio con tutti, perfino con i nemici dell’Ungheria anche in caso di conflitto con essi. In effetti, Ragusa diventava una repubblica praticamente autonoma ma sotto protettorato magiaro.

La guerra tra Venezia e l’Ungheria riprese nel 1376: due blocchi sono ora contrapposti nell’Alto Adriatico: da una parte il re d’Ungheria alleato del patriarca d’Aquileia Marquardo di Randeck, il signore di Padova Francesco da Carrara, i della Scala signori di Verona, la Repubblica di Genova, secolare avversaria di Venezia; dall’altra parte Venezia con Napoli e i Visconti di Milano. La guerra fu ancora più cruenta di quella precedente; si combattè anche questa volta nella terraferma veneta. La guerra si concluse con la pace di Torino del 1381, che confermò la sovranità dei re magiari sulla Dalmazia. Ma Venezia, pur dovendo pagare un tributo al re ungherese, divenne padrona assoluta dell’Adriatico: si pensi che praticamente le navi ungheresi non potevano uscire dai porti dalmati.

Tutti i successivi sovrani ungheresi, da Sigismondo di Lussemburgo ad Alberto d’Asburgo e agli Jagelloni, ratificarono i privilegi ragusei, e Ragusa, pensando ai propri privilegi, rimase pertanto fedele all’Ungheria, anche se, dopo che i turchi ottomani avevano cominciato a farsi sentire sempre più minacciosi nell’entroterra dalmata, essa avviò una politica non ostile alla Porta. Va però fatto notare che era stato lo stesso Sigismondo di Lussemburgo, sempre ben disposto verso i ragusei, a sollecitare la Santa Sede a concedere alla repubblica dalmata il diritto di commerciare con gli ‘infedeli’.

Quando nel 1403 scoppiò un’insurrezione nei domini meridionali del Regno d’Ungheria e il re di Sicilia, Ladislao d’Angiò-Durazzo, appoggiato dal voivoda di Bosnia, Hervoja, rivendicò la corona ungherese, Ragusa si dichiarò neutrale: “La terra nostra è francha ad ogni uno et a grandi e a pizolli”, dichiararono con orgoglio i ragusei al principe Hervoja il 13 giugno 1403. Ragusa si rifiutò altresì di soggiacere al re di Bosnia, il quale, per piegarla alla sua volontà, inviò un esercito agguerrito contro la repubblica dalmata “a incendiare le case e i palazzi, a sradicare i vitigni e gli alberi, a depredare e a devastare tutto il territorio, a profanare e a distruggere le chiese”. La neutralità e la politica di pace sono quindi una costante della repubblica ragusea, che tra l’altro viene ben messa in evidenza nel libro di Cristiano Caracci.

I rapporti di Ragusa con l’Ungheria rimasero amichevoli anche sotto il regno di Mattia Corvino, il figlio di Giovanni Hunyadi. Per contro, si raffreddarono alquanto allorché il re Mattia cambiò direttrice alla sua politica volgendosi a occidente. Quando Mattia morì, i ragusei chiesero che venisse eletto un sovrano capace di cacciare i nemici – leggasi i turchi – dal paese. Sennonché, rimasta sempre più abbandonata a se stessa, nel 1514 la città di san Biagio decise di non pagare più le tasse al re d’Ungheria (due anni prima aveva però ricevuto dal sultano il diritto di commerciare con tutto l’Impero Ottomano versando alla Porta il 5% dei dazi doganali).

Dopo la battaglia di Mohács del 29 agosto 1526, che segnò tragicamente la fine della potenza medievale magiara, Ragusa aderì alfine al Turco con la stessa lealtà che prima aveva manifestato ai sovrani ungheresi. I due nuovi re magiari, Ferdinando d’Asburgo e Giovanni Zápolya, entrambi eletti e incoronati dopo la disfatta di Mohács, fecero un vano tentativo di riconquistare la città dalmata: il primo promettendo di difenderla dal pericolo turco, il secondo pretendendo invece il pagamento delle tasse arretrate. Ragusa rispose soltanto a Ferdinando, informandolo che stava ormai pagando le tasse al sultano turco, in quanto signore di Buda e della maggior parte dell’Ungheria. 

Anche sotto la dominazione magiara, Ragusa aveva quindi conservato la sua libertà e la sua autonomia; aveva soltanto accettato la protezione dell’Ungheria, perché aveva bisogno di un protettore per condurre i propri traffici liberamente. Ciò rispecchia l’aspirazione di questa città all’autonomia, alla libertà, al libero commercio, sentimento, che come ho scritto nella prefazione si percepisce chiaramente in questo libro di Cristiano Caracci. È un libro la cui lettura consiglio a tutti i presenti, perché si tratta di una lettura piacevole, interessante, agile; è un libro scorrevole che si legge tutto d’un fiato, senza sminuirne il valore, perché si tratta pur sempre d’una storia documentata di questa città e delle sue istituzioni. E di storie di Ragusa che ricordino la sua appartenenza alla civiltà veneta ce ne sono veramente poche in circolazione, tant’è che oggi molti hanno addirittura dimenticato il toponimo italiano di questa ‘perla dell’Adriatico’.

 

Adriano Papo

    

 

 
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da "Quaderni Vergeriani", II, n. 2 (2006), e dal sito nobiliragusei.it

 

  

 

 

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