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VITO RICCI

 

Il restauro della cripta del «Peccato originale» a Matera

 

Una chiesa rupestre finalmente riaperta al pubblico

 

   


   

A conclusione della stagione 2005-06 dei “Mercoledì letterari” organizzati dall’Associazione culturale italiana lo scorso 5 aprile 2006 si è tenuta una interessante conferenza su di un opera di indubbio valore: il restauro della chiesa rupestre «del Peccato originale» a Matera che è stata riaperta al pubblico, dopo quasi 4 anni di impegnativi lavori, il 23 settembre 2005. Relatore dell’incontro è stato Michele D’Elia che del restauro è stato l’artefice nella veste di direttore dell’Istituto centrale di restauro. L’eminente figura, la brillante carriera e la passione di D’Elia sono state ricordate con affetto dal prof. ing. Cotecchia. 

D’Elia ha iniziato il suo intervento partendo da un episodio occorso negli anni Cinquanta, quando furono staccati degli affreschi dalle chiese rupestri di S. Vito vecchio a Gravina di Puglia (Bari) e a Poggiardo (Lecce) e inviati dapprima a Roma e poi a Bruxelles per l’esposizione internazionale ove furono esposti nel padiglione dell’Italia riscuotendo un notevole successo. Era nelle intenzioni dell’epoca procedere a un sistematico distacco degli affreschi dalle chiese rupestri disseminate sul territorio pugliese per custodirle in museo da crearsi a Lecce presso il castello Carlo V. D’Elia si è detto orgoglioso di aver fatto andare a monte tale progetto che avrebbe portato allo snaturamento dell’ambiente delle chiese rupestri, decretandone di fatto la morte.

Il vastissimo patrimonio rupestre appuro-lucano è sempre stato sistematicamente emarginato dalla storia dell’arte ufficiale: i manuali iniziano con Giotto e Cimabue, degli autori (spesso ignoti) e delle opere presenti nelle chiese rupestri pugliesi e lucani, che pur gravitavano in un ambiente culturalmente avanzato come quello bizantino, non c’è traccia. Sono stati gli studiosi stranieri a scoprire e dare valore a tali tesori. Successivamente notevole è stato il contributo e l’impulso delle comunità locali e delle associazioni di volontariato che hanno preso a cuore il proprio patrimonio rupestre “sfondando il muro di omertà culturale” ed iniziarono a rivalutarlo, catalogarlo, renderlo per quanto possibile accessibile al pubblico. Iniziarono a sorgere centri di ricerca, a svolgersi convegni e bisogna ricordare l’opera meritoria ed iniziatrice dei professori Fonseca e Dell’Aquila. Con lo studio da parte degli esperti vennero meno alcuni luoghi comuni storici relativi alle chiese rupestri: l’inesistenza dei monaci basiliani o italo-greci venuti nel Mezzogiorno d’Italia da Costantinopoli a seguito dell’iconoclastia, o il fatto che gli ambienti rupestri fossero abitati solo da monaci ed eremiti, mentre in realtà erano abitare da comunità di contadini. Si iniziarono i primi interventi di salvaguardia dell’equilibrio climatico-ambientale, interventi che, a posteriori, possiamo definire “artigianali”, con esiti non sempre positivi, e cominciarono ad arrivare i fondi della Comunità Europea agli enti locali. Ci si rese ben presto conto che mancavano maestranze esperte e la conoscenza scientifica del problema. 

Il primo intervento esemplare di restauro è stato quello della cripta «del Peccato originale» (detta anche «della Genesi») che si affaccia sulla gravina di Picciano a Matera. La fondazione Zètema acquistò dai privati l’area ove si trova la chiesa rupestre, sino ad allora utilizzata come ovile, e nel 2001 fu avviato il progetto di restauro che coinvolgeva una pluralità di studiosi ed esperti (geologi, geotecnici, architetti, storici dell’arte, chimici, fisici, microbiologi, ingegneri, disegnatori) suddivisi in due equipe. È stato un lavoro complesso e multidisciplinare – ha sottolineato Michele D’Elia – che ha comportato indagini, rilievi, sondaggi, mappature. La presenza di tanti tecnici ed esperti ha portato a prediligere una logica della mediazione e della compatibilità e non dell’ottimalità, cercando sempre e comunque di conciliare le varie soluzioni proposte. I lavori di restauro sono stati mostrati al pubblico tramite una serie di immagine proiettate. Ci si è potuti rendere conto concretamente della portata dei lavori e degli interventi. C’erano problemi di umidità, di esposizione luminosa, la presenza di pipistrelli: tutti elementi da considerare per il recupero degli affreschi ricoperti da muffe e patine verdognole. Sono stati fatti lavori per preservare la grotta e per consentire lo scivolamento delle acque piovane; sono state realizzate o migliorate strutture per facilitare l’accesso al pubblico. Una volta eliminate e rimosse le patine e le muffe sono venuti alla luce dei mirabili affreschi (D’Elia ho mostrato gli affreschi prima e dopo l’intervento di restauro). In particolare quelli relativi agli episodi della Genesi e del Peccato originale. Sono emersi dei dipinti di fiori dai petali rossi che sono presenti nella flora della gravina e l’ignoto autore di tali dipinti è stato denominato “pittore dei fiori”.

La grotta si presenta come un rettangolo di forma irregolare con una serie di affreschi sulla parete di fondo e all’interno delle tre nicchie. Nella parete di fondo sono rappresentati alcuni episodi salienti della Genesi: la Creazione della Luce e delle Tenebre, la Creazione di Adamo, la Creazione di Eva dal costato di Adamo, Eva tentata dal serpente, Eva offre il frutto proibito ad Adamo. Nelle tre nicchie sono rappresentate tre diverse triarchie: San Pietro, affiancato da Sant’Andrea e San Giovanni; la Madonna con il Bambino attorniata da due Sante; i tre arcangeli: San Michele, San Gabriele e San Raffaele. Sono presenti diverse scritte in latino ed elementi stilistici che lasciano presagire l’influenza longobarda; è un’ulteriore prova che i monaci greci hanno poco a che vedere con le chiese rupestri. Il “pittore dei fiori” doveva essere, con buona probabilità, un benedettino legato alla tradizione estetica e religiosa dell’arte romana, seppure influenzato da schemi formali orientali che egli seppe in modo mirabile fondere nell’arte occidentale. Tali affreschi, tornati a nuovo splendore, saranno oggetto di un nuovo studio approfondito da parte della prof.ssa Gioia Bertelli; negli anni Ottanta Nino Lavermicocca aveva già dedicato uno studio all’argomento.

D’Elia ha invitato tutti a visitare questa meraviglioso bene artistico culturale che è stato recuperato. Noi vorremmo ampliare tale invito estendendolo alle tante chiese del ricchissimo patrimonio rupestre della Puglia. A tal proposito ricordiamo il libro di Nino Lavermicocca (studioso appassionato del patrimonio rupestre pugliese), I sentieri delle grotte dipinte, edito da Laterza, che può essere un’ottima guida. La speranza è che ulteriori interventi possano seguire quello della cripta materana affinché venga valorizzato adeguatamente un patrimonio artistico unico che può e deve diventare una risorsa per lo sviluppo economico della nostra Regione.

   

Vito Ricci

 
 
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