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Puglia, ti rivedo con gli occhi di uno straniero

  

Intervista a Marco Brando sul volume Sud Est. Vagabondaggi estivi di un settentrionale in Puglia

  

   

   

Quando è un altro a raccontare la tua terra, ti accorgi che è diversa da come la vedi. Così come siamo diversi dall'immagine che di noi rimanda uno specchio. E la prima reazione è di sorpresa, di incredulità. La seconda, di ringraziamento per il giornalista che, sulla scia dei grandi viaggiatori che varcarono «le Puglie», ti aiuta a guardare con distacco la «tua» regione, fondendo nel suo itinerario la curiosità professionale e l'humus di una genìa materna-paterna in cui si mescolò sangue del Lombardo-Veneto con quello della Liguria, dell'Emilia-Romagna e della Campania. Da queste radici multiregionali la rotta a Sud Est di Marco Brando, inchiesta diventata libro per Palomar, trae l'apertura di uno sguardo ora di critica ora di consenso, comunque partecipe.

Franco Cassano sostiene che, se rinunzieranno a osare, i pugliesi resteranno «eterni incompiuti», oscillanti «tra grandi racconti ed epiloghi di terz'ordine»? È questa l'idea che anche lei si è fatto della Puglia? 

«È l'idea che mi sono fatto del Paese. E la Puglia ne fa parte a pieno titolo, nel bene e nel male. Certo, nel Sud il rischio che l'oscillazione possa coincidere anche con la stasi esiste di più, per il ruolo cucito sul Sud dalle politiche nazionali, e per i problemi che il Sud davvero ha in più rispetto ad altre zone dell'Italia. Sul Mezzogiorno - lo dico da nipote di nonni paterni napoletani - pesa il ritardo di una classe dirigente che spesso ha mostrato, ancor meno che altrove, salvo eccezioni, l'elasticità necessaria per abbandonare l'oscillazione di cui parla Cassano. È però doveroso sottolineare che la Puglia, nel Sud, è all'avanguardia». 

Alla sua conoscenza della Puglia che cosa hanno aggiunto i suoi viaggi? 

«Le zone costiere "vendibili", dal punto di vista delle infrastrutture, a turisti settentrionali o stranieri, sono assai limitate rispetto ai 900 chilometri di litorale: un piccolo tratto nella zona di Castellaneta Marina, poi da Porto Cesareo a Torre dell'Orso (in sostanza da Gallipoli e Otranto), un piccolo tratto intorno a Monopoli, il Gargano da Mattinata a Rodi. Per il resto, a parte le zone industriali, ci sono località turistiche su misura per pugliesi o lucani (locali o di ritorno come emigrati): ma il livello qualitativo dell'ambiente e delle infrastrutture non può sedurre chi non ha radici da queste parti». 

E per la Puglia interna? 

«Forse per me è più affascinate di quella costiera, per le ricchezze paesaggistiche e artistiche, e per le storie che l'interno cela. Ricchezze di cui gli stessi pugliesi sono poco consapevoli. D'altra parte le sole aree interne frequentate dal turismo non stanziale sono Valle d'Itria e Castel del Monte». 

Sono così diversi i pugliesi di terra da quelli di mare o, come in alcuni piatti, ritroviamo la tenacia delle radici della terra e l'audacia dello spirare di un vento?

«Io ho nonni liguri, veneti e campani. Ma mi sento intimamente legato alla Liguria. Ebbene, dei "genovesi", come erano chiamati i liguri ai tempi della Repubblica marinara, si racconta che sono montanari costretti a fare i marinai. Da questo punto di vista, i pugliesi mi sembrano simili. D'altra parte Tommaso Fiore, scrittore e politico azionista pugliese, già oltre 80 anni fa non faceva distinzioni tra pugliesi di mare e di terra e parlava di quello pugliese come di un "popolo di formiche", capace di imprese straordinarie, tali da far tremare un "popolo di giganti". La lettura dei libri di Fiore mi ha aiutato a osservare la Puglia di oggi».

La voluta esclusione dei capoluoghi non riduce l'esemplarità dei percorsi? La Puglia rimane, come dice lo storico Giuseppe Poli, regione di "città contadine". 

«Raccontare le grandi città avrebbe richiesto grande spazio. La scelta è stata dettata, durante l'inchiesta, anche dall'esigenza di non dilatare il racconto. Però c'è un'altra ragione: le città pugliesi sono simili, come stile di vita, alle altre analoghe grandi città italiane. A me interessano la Puglia e l'Italia dei piccoli centri e delle campagne: i tre quarti degli italiani vivono in cittadine o in paesini di poche migliaia di abitanti. L'essenza dell'italianità, e della pugliesità, si può scorgere di più vagabondando fuori dalle metropoli».

Se potessimo generalizzare, che cosa non sopporta di questa regione?

«Beh, questa è un provocazione? Diciamo che al familismo pugliese, e meridionale, sono un po' allergico. Però ho un alibi: pare che i liguri siano insopportabili e scorbutici». 

E la qualità eccelsa dei pugliesi? 

«Non lo dico per piaggeria, giuro: il senso dell'ospitalità». 

Al di là di pregi e difetti, il tratto che le piace di più? 

«Posso sbilanciarmi: le donne pugliesi, che sono molto belle. E il romanico delle vostre chiese». 

Il primo dei suoi viaggi si conclude con un "Puglia abbi cura di te". Come se questa terra fosse l'eterna, distratta amante dei forestieri che appare a molti?

«è un augurio che non negherei alle altre regioni italiane, né al Paese. Né alla nostra Europa. Noi dovremmo prima di tutto sentirci consapevoli d'essere europei, poi italiani, poi pugliesi o liguri. È il modo migliore per cercare di evitare che Italia, ed Europa, restino la "nave sanza nocchiere in gran tempesta" di dantesca memoria. Dobbiamo essere meno autolesionisti; e volerci più bene».

      

 

 

dalla "Gazzetta del Mezzogiorno", 31/7/2006; segnalato da M.T. Rauzino

 

  

 

 

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