| MEDIOEVO TEMPLARE | 
 | a cura di Vito Ricci | 
di Vito Ricci
pag. 1
| Andria - Bari - Barletta - Canne - Corato - Giovinazzo - Gravina di Puglia - Minervino Murge - Molfetta - Monopoli - Ruvo di Puglia - Sannicandro di Bari - Sovereto - Spinazzola - Terlizzi - Trani | 
Circa la presenza dei cavalieri templari in Terra di Bari, sulla base delle notizie a noi giunte, sappiamo dell'esistenza di insediamenti o di semplici proprietà nelle seguenti località:
Ove
    è stato possibile abbiamo fornito anche l'indicazione del nome della chiesa
    che fungeva da casa templare.
In questa cittadina i Templari fondarono nella seconda metà del XII secolo la chiesa di San Leonardo. Secondo l'interpretazione di Bianca Capone (Sulle tracce dei Templari, 1996), precettore della domus andriese nel febbraio 1196 fu Pietro di San Gregorio che compare in un documento dell'epoca, sebbene nello stesso non vi sia alcuna indicazione di città, ma solo della chiesa di San Leonardo. Tuttavia, essendo il documento redatto a Canne, è assai probabile, data la vicinanza tra Canne e Andria, che la chiesa di San Leonardo citata sia quella di questa città piuttosto che l'omonima ecclesia presente a Barletta. La chiesa rimase proprietà dell'Ordine cavalleresco sino al 1228/1229 quando l'imperatore Federico II di Svevia espropriò i possedimenti templari nel Regno di Sicilia. L'imperatore tedesco, legato all'Ordine Teutonico che era formato da cavalieri germanici, donò la chiesa di San Leonardo a tale ordine che la consacrò al Salvatore.

Andria, chiesa di S. Agostino.
I cavalieri Teutonici, nell'insediarsi ad Andria, non sopportarono alcuna
    spesa poiché utilizzarono il convento lasciato dai Templari e vi restarono
    sino al 1358, quando la lasciarono agli Agostiniani che la dedicarono al
    loro fondatore (sant'Agostino) e la tennero sino al 19 settembre 1809. La
    chiesa esiste ancora con la denominazione di S. Agostino ed è retta dal
    clero secolare. Attualmente abbiamo appreso che è chiusa per restauri.
La
   domus templare in questa città era ubicata presso la chiesa di San
    Clemente nell'attuale borgo antico della città. Abbiamo alcune notizie su
    detta chiesa, prima che diventasse Templare, da parte di alcuni storici
    locali (Giulio Petroni, Storia di Bari,
  Napoli 1858, Michele Garruba, Serie critica dei sacri pastori baresi,
  Bari 1884). Essa fu edificata, in un'epoca imprecisata, dalla
    famiglia Positano «dietro i
    corrioli di S. Agostino» (Petroni) e nel novembre del 1089 donata
    dall'arcivescovo di Bari Elia (1089-1105) all'arcidiacono Giovanni della «Ecclesia Sancte Dei Genitrics et
    Virginis Marie», la quale l'avrebbe avuta «semper in suo dominio, potestate et iurisdictione»
  (Garruba).
    Verso il 1190, il «Cancellarius
    Alemannie» assegnò la chiesa di San Clemente all'ordine dei
    Templari. Sorse in tal modo una disputa tra i cavalieri e il clero barese
    circa il possesso della chiesa e per dirimere la controversia l'11 giugno
    1200 il papa Innocenzo III delegò i vescovi di Conversano e Bitetto, come
    attestato da una pergamena conservata presso la Cattedrale di Bari. Nulla ci
    è rimasto circa il pronunciamento dei due vescovi, tuttavia appare assai
    probabile che la chiesa di San Clemente fu assegnata definitivamente ai
    Templari e nel corso del XIII secolo essa fu una delle più importanti  domus
    templari in terra di Puglia. Infatti è ricordata in un documento del 30
    novembre 1305 e dopo la conclusione del  processo di Brindisi (5 giugno 1310)
    divenne «caput omnium ecclesiarum sacri Templi Domini Ierosolimitani in Apulia».
    Da un documento fiscale apprendiamo anche che la chiesa (con l'annesso
    monastero) amministrava un discreto patrimonio, versando nel 1310 una
    decima all'arcivescovo di Bari di 2 once e 21 tarì d'oro che lascia
    presupporre una rendita annua di circa 27 once e nello stesso periodo 4 tarì
    e 4 grana d'oro all'arcivescovo di Siponto «pro
    grangia Casalis Novi». 
La
  
    domus barese possedeva anche delle proprietà in Francia a Saintes. Non
    potendo curare tali proprietà a causa della loro distanza da Bari il 31
    luglio 1310, fra Bartolomeo, abate della chiesa di San Clemente, permutava
    il priorato di Santa Maria de Mazerayo
    (che i Templari baresi possedevano a Saintes) con una chiesa che il
    monastero di San Giovanni Angelicensis
    possedeva a Giovinazzo, in località Rubissano. L'atto fu controfirmato da
    frate Angelo, canonico del Tempio del Signore di Gerusalemme, e da Giovanni
    di Bitonto,
    «frater sacri Templi Domini».
    Il 12 agosto 1312 papa
Dopo
    l'abolizione dell'ordine del Tempio (1314) non si hanno più notizie della
    chiesa di San Clemente. 
Conosciamo
    invece altre informazioni su Templari baresi. Infatti da un documento datato
    20 luglio 1332 sappiamo che frate Giovanni un (ex) abate del sacro Tempio di
    Gerusalemme («abbas sacri Templi
    Domini Jerosolimitani») affittava una casa a Bari. In un documento
    della fine del XIV secolo (1394) in un atto di permuta viene ricordato un «frater Marinus
    (Martinus) ordinis
    Templi Ierosolimitani pior ecclesie Sancti Elie de Baro», ossia una
    frate Marino o Martino dell'Ordine del Tempio di Gerusalemme priore della
    chiesa di Sant'Elia di Bari.
Anche
    se la presenza dei Templari in questa città è attestata già dal 1158, la
    storia dell'Ordine a Barletta può farsi cominciare nel 1169, quando
    Bertrando, arcivescovo di Trani (1169-1184), affidò ai Templari Riccardo e
    Rainerio la chiesa di Santa Maria Maddalena della quale era precettore frate
    Guglielmo che si impegnava a riconoscere sempre l'autorità dell'arcivescovo
    di Trani sulla chiesa. Di Santa Maria Maddalena, oggi non più esistente,
    sappiamo che era
    «intra moenia Baroli sita» e che ebbe un ruolo primario
    nella storia templare, divenendo già dalla fine del XII secolo il centro più
    importante dell'organizzazione nel regno di Sicilia, sino a diventare sede
    del Maestro Provinciale dell'Apulia e poi dell'Apulia-Sicilia.
Da
    un punto di vista architettonico la  domus di Santa Maria Maddalena si
    componeva di vari ambienti e pensata in maniera da permettere alla comunità
    templare di svolgere i compiti ai quali era preposta. Oltre alla ecclesia
    vera e propria, la  domus alla fine del XIII secolo era composta da due
    camere usate per le cerimonie di ammissione nell'Ordine, una sala denominata
    Pavalon e la camera del Maestro
    Provinciale, quando questi risiedeva a Barletta. Inoltre vi era pure una ecclesia
    di San Leonardo ove veniva scandite le ore della comunità di Santa Maria
    Maddalena.
In
    un primo tempo la  domus barlettana aveva come funzione principale quella
    dell'assistenza ai pellegrini (accanto alla chiesa i Templari edificarono un
    grande stabilimento che fungeva da ospizio) alla quale si affiancarono, con
    il passare del tempo, anche quella di controllo su tutte le case della Terra
    di Bari (infatti, da un documento del febbraio 1196, apprendiamo che il
    capitolo templare di Barletta approvava la permuta di un terreno effettuata
    da Pietro di S. Gregorio, precettore templare della chiesa di San Leonardo -
    di Barletta, secondo Fulvio Branmato - con Aitardo vescovo di Canne e che
    frate Giovanni era
    «prior domus templi Barleti») e l'intervento nelle
    controversie che sorgevano tra i Templari e altri proprietari circa il
    possesso di taluni beni (da una lettera di papa Onorio III datata 6 giugno
    1226 sappiamo che questi assolveva i cistercensi del monastero di Casa Nuova
    dalle accuse mosse dal Maestro Templare di Barletta circa delle proprietà
    nei pressi di Lucera). La  domus di Barletta è ricordata nel 1200 in un
    documento dell'archivio capitolare della città di Canne. Il 31 marzo 1204
    Maralda, «necessitate famis
    coacta pro substentatione…filii» vendeva a «Matheo cambiatori f. Iohannis»,
    acquirente in nome della  domus templare di Barletta, tre vigne situate
    «in
    cluso Bellovidere» al prezzo di tre once d’oro. 
    
Man mano che l'Ordine si espandeva e si sviluppava in Puglia, i Templari di Barletta iniziarono ad inviare aiuti di ogni tipo ai loro confratelli della Terra Santa, approfittando del fatto che la città era dotata di un porto di una certa rilevanza. Le spedizioni erano costituite soprattutto da derrate alimentari ed erano effettuate usando barche di proprietà della stessa domus. A sovrintendere a tale attività era il magister della domus, il quale curava l'espletamento delle formalità richieste dalle disposizioni per far uscire dal regno le merci. Nel 1271 Carlo I d’Angiò, in seguito alle richieste di Sabino, maestro della domus templare di Barletta, ordinava a Risone "de Marra" Portolano della Puglia, di soprassedere per quattro mesi alla riscossione della balista sulle spedizioni di vettovaglie che i Templari organizzavano per San Giovanni d’Acri e di non molestare più le domus dell’ordine cavalleresco di Barletta.
Nel 1272 la domus di Barletta utilizzava le seguenti imbarcazioni per il trasporto di vettovaglie: la paranza S. Nicola di ser Benvenuto e ser Martino Martino de Dragundo; la paranza S. Albano di ser Mani et Omibani; la paranza S. Cristoforo di Andrea de Iadeva e la paranza S. Nicola di Nicola Stramatia di Bari. Carlo I d'Angiò intervenne spesso per agevolare la spedizione di merci e derrate alimentari da Barletta per la Terra Santa. A tale proposito si può vedere l'ordine dato a Nicola Frecza, portolono di Puglia, il 22 gennaio 1273 con il quale il re «mandat ut fr. Arnulfo, Domus Militie Templi extrahere de portu Baroli seu Manfredonie frumenti salmas M et totitem ordei, deferendas per mare cum navibus eiusdem Domus ap. Accon permittat».
Da
    un documento datato agosto 1303 e redatto a Barletta sappiamo che per volontà
    di frate Guglielmo de Barolo,
    nunzio di frate Goffredo Petr(agoni),
    maestro e precettore «sacre domi
    milicie Templi in Apulia», vengono imbarcate nel porto di Manfredonia per
    l'isola di Cipro «pro substentacione presidi dicte domus», 400
    salme d'orzo, 350 salme di frumento e 20 salme di fave.
I Templari di Barletta ebbero proprietà anche in altre città e regioni. Sappiamo che il 29 giugno 1279 tale Andrea Strino di Barletta donava a Pietro «de Genua, Magistro Ordinis Templariorum», la metà della sua casa con la metà «plateae, cisternae et crypta» che si trovavano in Trani. Nel 1282 la domus aveva delle proprietà in Calabria e da essa dipendevano le fondazioni di questa regione. Nel 1298 Carlo II d'Angiò interveniva presso il Capitano di Lucera affinché al Magister e ai Templari della domus di Barletta fosse garantito assieme agli uomini del loro casale di Alberona il diritto di pascura sul territorio di Tora. Mentre da un documento del marzo 1308 (quando erano già in corso le persecuzioni contro i Templari) apprendiamo la cospicua consistenza e l'elencazione delle proprietà in Lucania. Infatti nel in esecuzione delle disposizioni ricevute da Roberto d'Angiò, duca di Calabria, venne redatto l'inventario dei beni che la domus templare di Barletta possedeva in Basilicata. Da tale inventario risulta che l'Ordine possedeva a Melfi la chiesa di san Nicola «cum domibus et ortis sitis in territorio eiusdem terre ante terram eamdem que site sunt iuxta aemdem ecclesiam et ex alia parte site sunt iuxta viam puplicam».
Sempre a Melfi ebbero tre staciones in località Albana; una domus nella parrocchia di S. Adoeni; un'altra domus ed una vigna nella terra che fu di Alibrando di Melfi. Altre vigne ebbero «in loco qui dicitur Matera,... in loco qui dicitur columnellis», ed in località S. Pietro de Serris. Un'ultima vigna con un castagneto ebbero in fontana veterano. A Melfi ebbero, infine, due cripte «cum orto uno sito ante civitatem Melfie suptus balneum civitatis eiusdem» ed un tenimento di terre in località Cisterna.
A Lavello un grande tenimento di terre situato in località
    Girono, dove «dicta domus Templi»
    
    aveva «massariam suam». A Venosa i
    Templari possedevano un vignale, un grande palazzo in piazza che fu di
    Bisanzio, una  domus situata in parrocchia di S. Barbara; un casalino sempre
    in parrocchia di S. Barbara; diverse vigne «in
    parte Vallonis sancti Blasii que fuerunt dopni Bisancii»; una pecia
    di terra nella valle de frussa, vicino
    al fiume; la terza parte di una  domus nella parrocchia di S. Nicola; la
    terza parte di un vigneto in parte
    Riali; una  domus in parrocchia
    S. Marco; una terra in loco vie
    vallonis, due petie di terra
    situate in loco faraucosi; una
    terra situata in parte ciglani; un
    appezzamento di
    terra situata in parte flumis ed un altro situato in parte vallonis de flurco.
Dopo i Vespri Siciliani (1282), con la pace di Caltabellotta (1302) e il passaggio della Sicilia agli Aragonesi, la domus di Santa Maria Maddalena estese la sua giurisdizione su tutte le case templari del regno di Napoli, dando un nuovo impulso all'espansione dell'Ordine nel Mezzogiorno d'Italia. Divenuti oramai una vera e propria potenza, alla fine del XIII secolo, quando erano giunti all'apice della loro fortuna, i Templari barlettani cominciarono ad abusare del loro potere e si resero responsabili di soprusi ai danni della popolazione locale che si rivolse al re Carlo II d'Angiò perché i cavalieri erano soliti sequestrare gli animali che andavano a pascolare nelle loro terre e li rilasciavano solo dietro pagamento di riscatto.
Il sovrano angioino per ben due volte, il 13 novembre 1294 e il 20 febbraio 1296, ordinò al giustiziere di Terra di Bari e ai baglivi di Barletta di intervenire. Nonostante ciò il re di Napoli continuò a mostrarsi favorevole nei confronti dei Templari, confermando i loro privilegi. Solo nel marzo del 1308, per uniformarsi alle direttive di Filippo Il Bello e di papa Clemente V, cominciò a far arrestare i Templari di Barletta e li rinchiuse nel castello della città, ove vi rimasero sino al 15 maggio del 1310, data di inizio del processo di Brindisi.
Sappiamo infatti che il 24 marzo 1308 Giovanni Brachetto, castellano di Barletta, ricevette
    in consegna i Templari Michele Cersi, Oliviero de
    Berona, Guglielmo Angelicum (Anglicum),
    Bartolomeo de Cusencia, Angelo de
    Brandusio e Stefano de Antiochia,
    fece redigere a Riccardo di Nicola, notaio, un atto pubblico per rendere
    certa l'esecuzione degli ordini della Regia Curia e di Giovanni di Laya,
    Giustiziere di Terra di Bari. Durante la prigionia dei Templari barlettani,
    nel maggio 1309 la Grande Curia ordinò ai giudici Angelo di Ruvo e ad
    Andrea di Donnaperna di Barletta di provvedere alla conservazione e alla
    vendita alle migliori condizioni delle pelli, dei cuoiami e delle lane
    ricavate dalle mandrie già appartenute alla  domus templare di Barletta e
    nel giugno 1309 Roberto d'Angiò imponeva agli stessi giudici di prelevare
    qualche somma di denaro dalle rendite amministrate dalla  domus di Barletta e
    spenderle a favore dei Templari prigionieri. Dalle deposizioni di alcuni
    cavalieri templari abbiano altre notizie sulla  domus di Barletta. Sappiamo
    che nel 1292 frate Giovanni de
    Neritone fu ricevuto nella  domus di Santa Maria Maddalena nella stanza
    detta del Pavalon e fu costretto a rinnegare il crocifisso. Intorno al 1300
    fu ricevuto nell'Ordine a Barletta frate Giovanni Anglicus, alla presenza di Rinaldo de Varensi, gran Precettore di Apulia, e nel 1307 era precettore di Barletta Giovanni de Nivelle.
Con l'abolizione dell'Ordine Templare (1314) la chiesa di Santa Maria Maddalena fu affidata a Cappellani e adibita per le convocazioni del consiglio dell'Università. Il 17 marzo del 1531 papa Clemente VII cedette la chiesa ai Domenicani, i quali, subito dopo, la rasero al suolo per ampliare l'attuale chiesa di San Domenico.

Barletta, la chiesa di S. Domenico oggi.
Ad
    epilogo della trattazione della presenza templare a Barletta voglio
    riportare un interessante ed innovativo intervento che ho trovato su
    Internet (http://www.crsec.it/I%20Templari1/index.htm) realizzato da Oronzo
    Cilli, il quale nega, sulla base di alcuni documenti e deduzioni, che la chiesa di Santa Maria Maddalena
    fu la  domus templare a Barletta. 
Secondo
    molti studiosi i cavalieri Templari a Barletta avevano due case: quella di
    San Leonardo, extra moenia, e quella di Santa Maria Maddalena, intra
    moenia. Il fondamento di tale asserzione è costituito da un documento
    del 1196 pubblicato da Arcangelo Prologo nel suo Le
    Carte che si conservano nell'Archivio Capitolare Metropolitano della città di Trani, edito a Trani dal Vecchi nel 1877. Il Prologo, nel regesto dei
    documenti riportati nella sua importante opera, scrive che «(1169) - Il
    Capitolo generale dei Templari in Gerusalemme approva la convenzione
    stabilita in Barletta fra l'Arcivescovo Bertrando ed il clero di Trani e
    Barletta da una parte, e fra Riccardo e Rainerio dell'Ordine del Tempio
    dall'altra, intorno alla concessione fatta alla stesso Ordine della Chiesa
    di S. Maria Maddalena di Barletta; ed approva la formula del giuramento, che
    dovranno prestare i rettori di quella Chiesa prima di entrare in
    ufficio». Stando al regesto, si farebbe riferimento ad una donazione -
    dopo quella fatta ai templari di S. Maria  de Salinis nel 1158 - elargita
    verso quest'Ordine dal clero Tranese. Tuttavia, afferma Oronzo Cilli,
    nell’originale documento riportato dal Prologo, si può legge
    «…vobis
    et universo clericorum vestrorum sacro collegio notificamus. quod ego. R.
    sancti templi domini quod est in iehrusalem dictus abbas…». È da
    notare come è chiamato l'Ordine che riceve la donazione: sancti templi
    domini. Ebbene, da una prima lettura di questo documento si evince come
    l'Ordine, che ricevette la chiesa di Santa Maria Maddalena di Barletta, non
    fu in realtà quello dei Templari ma, bensì, un altro Ordine. Nei diversi
    manoscritti latini, in cui compaiono cavalieri templari, si ritrovano spesso
    citati come militia Templi o domus militia Templi e solo
    raramente - soprattutto nei primi anni - come Templum domini o Templi
    domini. Questo perché i Templum domini non erano i cavalieri
    che avevano ricevuto la benedizione da San Bernardo di Chiaravalle, ma i canonici regolari del Tempio del Signore, legati alla regola
    agostiniana.
Lo
    storico Alain Demurger, nella sua storia sui Templari,
    scrive che a
    Gerusalemme davanti al Tempio di Salomone si apre la vasta spianata detta
    "del Tempio", ma che quest'Ordine prende il suo nome dal Tempio del Signore, Templum
    Domini: si tratta della Cupola della Roccia, divenuta proprietà dei
    canonici regolari del Templum Domini che ne avevano fatto la loro
    chiesa, consacrata nel 1142.
Anche
    se le diverse fonti raccontano come i futuri cavalieri Templari
    ricevettero in principio assistenza da quest'Ordine,
    le loro vie ben
    presto si separarono. Questa confusione è dovuta anche allo scarso
    approfondimento e conoscenza di entrambi gli
    Ordini.
Altro elemento che può aiutarci a scartare l'ipotesi di donazione fatta nei confronti dei Templari, è contenuto nello stesso documento del 1169, quando si riporta il giuramento di fedeltà fatto dal primo rettore dell'Ordine - imponendolo a tutti gli altri rettori che gli succederanno - al vescovo Bertrando e a tutti i successivi vescovi della chiesa tranese. è risaputo come i Templari prestassero un giuramento, ma certamente non nei confronti dei vescovi locali. A tal riguardo si riporta un passo di Franco Cardini: «l'Ordine ottenne ampi privilegi con la bolla Omne datum optimum di papa Innocenzo II, del marzo 1139, che stabiliva che esso dipendeva direttamente dalla Santa Sede… Altre bolle ampliarono i diritti e le prerogative del Tempio, in genere a scapito delle Chiese locali e quindi con poco gioia dei vescovi: così l'Ordine divenne un formidabile strumento nelle mani delle aspirazioni monocratiche del papa sulla Chiesa Latina».
Quindi, se
    questi privilegi furono concessi molti anni dopo il 1139, e il loro
    giuramento era solo verso la persona del pontefice, perché mai i Templari
    dovettero giurare fedeltà, nel 1196, al vescovo di Trani? Quel giuramento,
    difatti, non fu pronunziato dai cavalieri rosso-crociati ma dai canonici
    regolari della Cupola della Roccia. Vi sono ancora altri elementi, contenuti
    nelle chartae pubblicate dal Prologo, utili a capire come S. Maria Maddalena
    non fu occupata dai cavalieri Templari. Si legge, ad esempio, in un
    documento del gennaio 1180, che Bertrando arcivescovo di Trani col consenso
    del clero tranese, concede immunità e privilegi ai religiosi ed alla chiesa
    di S. Michele Arcangelo, presso le mura di Barletta. Tra i firmatari del
    documento vi compare un certo
    «dominici templi kanonicus et prior
    ecclesie sancte marie magdalene qui interfui». Riportando ancora dominici
    templi e non domus militia templi o domus templi. In ogni
    modo è da chiedersi: fino a che punto è giusto identificare il Templum
    Domini con canonici regolari del Tempio, ed esistono altre testimonianze
    e tradizioni che attestano la presenza di questi canonici nella città di
    Barletta?
Una
    conferma, sempre secondi il Cilli, verrebbe anche dal
    Codice Diplomatico Barlettano. In un documento
    rogato dal notaio Johannes Antionius Bocchutus in data 20 dicembre
    1581, si afferma che papa Gregorio XIII immetteva nello jus patronatus
    della
    «Ecclesia S. Maria Maddalena
    de Barolo Alessandro di Sangro. Nel
    documento viene citato in maniera testuale
    «Accersitis nobis
    personaliter ad Venerandam Ecclesiam Sante Marie Magdalene de Barolo alias
    Templum Domini». Tuttavia da altri autori (Bramato, che riprende
    Loffredo), come abbiamo già scritto, sappiamo che con la fine dell'Ordine
    Templare (1314) la chiesa di Santa Maria Maddalena fu affidata a Cappellani
    e adibita per le convocazioni del consiglio dell'Università. Il 17 marzo
    del 1531 papa Clemente VII cedette la chiesa ai Domenicani (come
    testimoniato da una Bolla pontificia), i quali, subito dopo, la rasero al suolo
    per ampliare l'attuale chiesa di San Domenico. Evidentemente c’è che
    qualcosa che non quadra.
Quindi,
    conclude il Cilli, l’unica  domus templare a Barletta fu quella di San
    Leonardo. Tale chiesa, secondo gli storici, doveva essere ubicata extra
    moenia, fuori le mura, nelle vicinanze dell'omonima Porta fatta erigere
    nel XII secolo e demolita nei primi del '900, ma non ci sono testimonianze
    che attestino la reale ubicazione della chiesa. Fu distrutta nel 1528
    ad opera di Lorenzo Orsini dell’Anguillara, più noto come Renzo da Ceri, che per
    vendetta sottopose Barletta ad una violenta rappresaglia.
    Non riuscendo ad avere ragione della città murata, devastò i due quartieri
    restati ancora sguarniti di mura, S. Antonio e S. Vitale, incendiandone case
    e chiese.
Se
    la tesi esposta da Oronzo Cilli fosse fondata occorrerebbe rivedere la
    storia dei Templari a
    Barletta.
 
La
    chiesa di S. Maria de Saliniis, 
    domus templare di Canne, era ubicata nei pressi dell'ospedale di S. Maria de mari, sulla strada
    che da Canne portava ai casali di S. Cassiano e S. Eustasio. Essa fu oggetto
    di una controversia tra i Templari e i vescovi cannensi. Tale vertenza fu
    risolta nel maggio 1158, quando Bonifacio, vescovo di Canne, assegnò la
    chiesa ai Templari. Nel febbraio del 1196 i Templari del capitolo di
    Barletta permutarono una terra che l'Ordine possedeva nei presso del casale
    di S. Cassiano con Aitardo, vescovo di Canne, che in cambio dava una terra
    prossima alla chiesa di S. Maria de
    Saliniis. In un atto del 1200 sono ricordate le terre che la Domus
    Templi possiede a Canne. La chiesa di S. Maria de Saliniis et de Trinitate doveva corrispondere 3 libbre di cera «et
    de thure tres in occasione dell’assunzione della Beata Vergine al
    Tempio.
L'8 novembre 1254 Dalmazio de Frinacarria, Maestro domorum Templi Ierosolimitani in Italia, mostrava «quandum cartulam quam exemplare fecit» redatta il 16 maggio 1158 con la quale Bonifacio, vescovo di Canne, cedette ai Templari la chiesa di S. Maria de Saliniis, situata «in pertinentia dicte civitatis Cannarum».
Probabilmente
    alla chiesa di S. Maria de Salinis, vista anche la prossimità a proprietà fondiarie,
    doveva essere annessa una masseria che viene citata, come già appartenuta
    ai Templari, nell'inventario che nel 1373 Giacomo, vescovo di Trani, fa dei
    beni dell'Ordine dell'Ospedale di S. Giovanni di Gerusalemme.
©2004 Vito Ricci