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           MEDIOEVO TEMPLARE

    a cura di Vito Ricci


 

di Vito Ricci

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2.1 Dalle origini a Innocenzo III  -  2.2 Il periodo svevo  -  2.3 Il periodo angioino  -  2.3 Il declino dell'Ordine. Le Inquisizioni e il processo di Brindisi


2.4 Il declino dell'Ordine. Le Inquisizioni e il processo di Brindisi

All'inizio del XIV secolo l'Ordine del Tempio cominciò a subire un lento e inesorabile declino. Si ebbero dei dissidi con gli Ospitalieri e un progetto di fusione tra i due ordini non riuscì. Sono del 1305 le denunce di un tale Esquien de Floryan, priore di Montfoucon nella regione di Tolosa, che accusava l'Ordine di eresia, blasfemia e comportamenti lascivi. In particolare si imputava ai Templari di adorare un idolo barbuto chiamato Baphomet, di disprezzare la croce tanto da sputarci sopra e calpestarla, di praticare la sodomia, etc. Tutte queste accuse sembravano capitare ad hoc per le mire politiche ed economiche di Filippo IV "il Bello" re di Francia, il quale, sull'orlo della bancarotta per i debiti accumulati, aveva messo gli occhi sull'immenso patrimonio dell'Ordine cavalleresco per risanare la propria situazione finanziaria. Facendo pressione prima su Bonifacio VIII e poi sul francese Clemente V (tra l'altro con la sede del papato trasferita ad Avignone) riuscì a scatenare l'Inquisizione contro i Templari in particolare in Francia, nei territori pontifici e nel Regno di Sicilia retto dagli Angioini imparentati con il re di Francia; mentre nella penisola iberica e in Scozia l'Ordine non subì alcuna persecuzione e conservò il proprio patrimonio, anzi esso continuo a sopravvivere cambiando nome, divenendo Ordine di Cristo in Portogallo e Ordine di Montesa in Spagna. Il 13 ottobre 1307, in sol giorno, per ordine del Gran Inquisitore di Francia, Guillaume Imbert, e del consigliere del re Guillaume de Nogaret vennero arrestati tutti i Templari d'Oltralpe. Seguirono processi e relative inquisizioni.

Nel Regno di Sicilia il vicario Roberto d'Angiò impartì ai suoi siniscalchi l'ordine di arresto dei Templari del regno e il sequestro dei beni dell'Ordine. Al Giustiziere della Terra di Bari fu ordinato di arrestare i Templari che fossero sbarcati a Barletta, mentre al castellano di questa città fu affidata la custodia di un gruppo di cavalieri costituito da Michele Cersi, Oliviero di Bivona, Guglielmo Angelico, Bartolomeo e Andrea di Cosenza; Angelo di Brindisi fu catturato in località Piczani (Picciano di Matera) il 12 marzo 1308, e Sfefano di Antiochia fu arrestato nella domus di Ruvo di Puglia. Il 27 febbraio 1308 Roberto ordinò al giustiziere di Terra d'Otranto di procedere alla redazione di un inventario dei beni templari; il 25 marzo ordinò lo stesso per i beni della domus barlettana.

L'inquisizione contro i Templari nell'Italia meridionale ebbe inizio con l'invio dell'inquisitore Giacomo di Carapelle, canonico di S. Maria Maggiore di Roma (dicembre 1308) e successivamente di Guglielmo di S. Marcello (febbraio 1309). Parallelamente all'attività inquisitoria la Curia angioina provvide ed emanare atti relativi all'amministrazione dei beni templari posti sotto sequestro. Il 27 marzo del 1309 il re di Napoli ordinava ai procuratori dei beni templari in Capitanata Bartolomeo de Carbonaro di Salpi e Giacomo di Lucera di rifornire di legname la fabbrica della chiesa di S. Maria e di inviare 40 buoi e tutti i bufali per il trasporto, scegliendoli tra le bestie migliori delle mandrie sequestrati ai Templari. Nel maggio dello stesso anno venivano nominati altri procuratori per i beni dell'Ordine in Terra d'Otranto e, quasi contestualmente, fu ordinato ai giudici Angelo di Ruvo e ad Andrea di Donnaperna di Barletta di provvedere alla conservazione e alla vendita al miglior prezzo di pelli, cuoiami e lane ottenute dalle mandrie templari della domus di Barletta. Il 2 giugno 1309 Roberto d'Angiò diede l'ordine ai due giudici sopracitati di prelevare qualche somma di denaro dalle rendite della domus barlettana per spenderle a favore dei cavalieri prigionieri al fine di migliorarne le tristi condizioni.

Le uniche inquisizioni contro i Templari nel Regno di Napoli di cui si ha notizia ebbero luogo nella primavera del 1310 a Lucera e a Brindisi. L'inquisizione nella città della Capitanata iniziò nell'aprile del 1310 con testimoni Gerard de Bourgogne, che raccontò di essere stato obbligato a rinnegare la croce il giorno del suo ingresso nell'Ordine presso la domus di Torre Maggiore, e Galcerand de Teus [?], il quale dichiarava di essere stato ricevuto nell'Ordine in Catalogna con riti "criminali" (rinnegamento della croce, bacio sull'ombelico, sodomia), ma la sua testimonianza appare in netto contrasto con quelle dei Templari iberici, tutti concordi nel difendere l'innocenza dell'Ordine. È da sospettare che tale testimonianza sia stata estorta con violenza, non si comprende altrimenti perché un solo cavaliere della penisola spagnola abbia rivolto tali accuse.

La chiesa di Santa Maria del Casale oggi

 

Indubbiamente di maggiore portata fu il processo celebrato a Brindisi. Iniziato il 15 maggio del 1310, si concluse nel giugno dello stesso anno, presso la chiesa di S. Maria del Casale, ma è probabile che le inquisizioni si svolsero in qualche convento o edificio adiacente la cappella intitolata alla Madonna del Casale, dato che la struttura attuale della chiesa fu costruita, incorporando un'antica cappella preesistente, solo nel 1310 per volontà di Caterina di Valois principessa di Taranto. Il processo doveva essere presieduto dall'arcivescovo di Napoli Umberto che però non poté prendervi parte essendo impegnato nella consacrazione di Nicola, vescovo di Monopoli. Il suo posto fu preso da Bartolomeo, arcivescovo di Brindisi, che inaugurò il processo ai Templari alla presenza degli inquisitori Giacomo di Carapelle e Arnolfo Bataylle arcivescovo di Natzamia. Dopo la formula di rito, gli inquisitori citarono i cavalieri templari e il Gran Precettore di Puglia Oddone di Valdric affinché si presentassero davanti alla commissione. Nonostante l'affissione dei bandi di citazione nella cattedrale, nel castello e nella domus templare di San Giorgio solo due fratres si presentarono; molti Templari erano riusciti a fuggire o erano stati arrestati, trovandosi reclusi nei sotterranei dei castelli del regno (ad esempio nel castello di Barletta). I Templari furono dichiarati contumaci. 

Il 4 giugno la commissione inquisitoria tornò nel castello di Brindisi per interrogare gli unici cavalieri presentatisi: Ugo di Samaya e Giovanni da Neritone (Nardò), accolti non in qualità di accusati, ma in quella di testimoni. Il primo ad essere interpellato fu fra' Giovanni da Nardò, precettore della domus di Castrovillari in Calabria, il quale raccontò di essere stato ricevuto nell'Ordine l'anno dopo la caduta di S. Giovanni d'Acri (quindi nel 1292) presso la domus di Barletta, nella sala del Pavilon, in occasione della festività dei SS. Simeone e Giuda (28 ottobre), alla presenza del Magnus Praeceptor di Apulia Rainaldo di Varena. Il frate, ricordando il suo ingresso nell'Ordine, affermò di essere stato più volte "invitato" a rinnegare e calpestare la croce; inoltre confermava che i Templari adoravano un gatto: infatti, mentre erano nella sala del Pavilon all'apparire di un gatto dal pelo grigio tutti i fratres si alzarono, si tolsero i cappucci, adorandolo. Fra' Giovanni, non avendo nulla in testa, fu costretto a chinare il capo in segno di rispetto. Riferì anche del bacio scandaloso sul ventre e di atti di sodomia.

Il 5 giugno fu chiamato a deporre Ugo di Samaya, precettore della domus di S. Giorgio di Brindisi. Ugo raccontò di essere entrato nell'Ordine durante la festa di S. Giovanni Battista di un anno che non ricordava. La cerimonia di ingresso non aveva alcunché di immorale o sacrilego, né mai aveva sentito parlare di pratiche contrarie alla fede e alla religione. Successivamente, inviato a Cipro, nella mansione di Limassol, conobbe il frate Goffredo di Villaperos che gli chiese se al momento di entrare nell'Ordine aveva rinnegato la croce. Ugo rispose negativamente e alcuni mesi dopo lo stesso Goffredo assieme a dieci confratres di notte, dopo aver forzato la porta, si recò nella stanza di Ugo e tracciò una croce sul pavimento, intimandogli di calpestarla. Frate Ugo all'inizio cercò di opporsi, ma davanti alla minaccia dei militi armati fu costretto all'orribile atto di ripudio. Alla richiesta del motivo di tale gesto, frate Goffredo rispose che da tempo quella era una consuetudine dell'Ordine. Successivamente frate Ugo confessò l'episodio al frate minore Martino di Rupella che, per penitenza, gli ordinò di digiunare per dieci venerdì consecutivi e di fare elemosine. Al termine della deposizione di Ugo di Samaya, gli atti dell'inquisizione brindisina furono inviati al pontefice Clemente V per il Concilio di Vienne e il processo contro i Templari in tal modo si concluse.

Se le uniche perquisizioni a sud del Garigliano furono solo quelle di Brindisi e Lucera, e se il contenuto degli atti a noi pervenuto è veritiero, appare chiaro che la Curia angioina volle assumere una posizione di attesa e prudenza nei confronti dei Templari, limitandosi a provvedere alla custodia e all'amministrazione dei beni sequestrati. Roberto d'Angiò sembrò voler assecondare tanto il papa Clemente V (che tra l'altro doveva incoronarlo re di Napoli) tanto Filippo IV (imparentato con gli Angioini).

Durante il Concilio di Vienne il pontefice, con la bolla Vox clamantis in excelso (3 aprile 1312), decretava la sospensione dell'Ordine del Tempio che, di fatto, si tradusse in una vera e propria soppressione; mentre con la bolla Ad Provvidam (2 maggio 1312) si ebbe l'assegnazione dei beni templari agli Ospedalieri, ai quali finirono la maggior parte delle proprietà dell'Ordine in Italia meridionale; in alcuni casi i beni furono acquistati con frode o con violenza dai feudatari locali o finirono per accrescere il patrimonio di enti religiosi. I cavalieri templari imprigionati nel 1307 poterono lasciare le carceri angioine: alcuni tornarono allo stato laicale, altri rimasero sacerdoti o cappellani nelle parrocchie; quelli maggiormente "compromessi" furono inviati in luoghi lontani o a combattere contro gli infedeli sotto i vessilli di altri Ordini militar-cavallereschi.

Jacques de Molay

 

È interessante notare che dopo il rogo di Parigi (18 marzo 1314) in cui fu arso vivo l'ultimo Gran Maestro Jacques de Molay, nel regno di Napoli esistevano ancora gruppi di Templari senza più un'organizzazione amministrativa e senza mezzi di sostentamento, tanto che papa Giovanni XXII invitò i Frati Minori e i Domenicani a soccorrere e mantenere questi confratres. Ulteriori testimonianze della temporanea sopravvivenza dei Templari, in Puglia almeno, sino ci è fornita da un documento del 1332 dal quale si apprende che frate Giovanni, «Abbas Sacri Templi Domini Jerosolimitani», dava in affitto una casa a Bari, mentre in un atto di permuta del 1394 è ricordato un «frater Marinus (Martinus) ordinis Templi Ierosolimitani prior ecclesie Sancti Elie de Baro».

   

   

   

©2004 Vito Ricci

  


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