Sei in: Mondi medievali ® Medioevo e Medicina ® Per una storia della medicina antica e medievale ® La medicina nell'alto Medioevo ® 5. Le epidemie


     MEDIOEVO E MEDICINA    

a cura di Raimondo G. Russo



    Premessa  -  1. Alcuni cenni storici  -  2. La medicina barbarica  -  3. La CHIESA E LA MAgia  -  4. La medicina e la chirurgia  -  5. EPIDEMIE  -  6. APPROFONDIMENTI E CURIOSITà


Mappa politica dell’Europa (1346)

      
Tutto poteva condurre alla paura della fine del mondo… ma era solo la fine del Medioevo…

Cosa ne sarebbe avvenuto, dopo la peste, di questa tormentata umanità?

K. Bergdolt ne fa una analisi dettagliata, oggetto di un libro tutto a ciò dedicato [14].

Il 1348, l’anno della peste nera, fu verosimilmente l’anno del concepimento dell’uomo moderno. Prima della peste l’Italia e le Fiandre apparivano come i Paesi più agiati in Europa, poi un insieme di fattori contribuì a svolte che poterono apparire decisive ed effettivamente lo furono, nella costruzione di quella che fu una nuova era storica.

Possono essere considerati i seguenti fattori: il commercio, le banche, la cultura, i rapporti sociali, la situazione politica, la carestia, i cambiamenti di potere ai vertici assieme alle paure ed alle preoccupazioni crescenti, mai sommerse, anzi alimentate da nuove guerre e dalla cresciuta criminalità.
Anche crisi spirituali e riforme dei diritti feudali accompagnarono nuovissime ma determinanti evoluzioni, quali le armi da fuoco con la polvere da sparo, la stampa, con la crescente influenza sull’analfabetismo valutato a quasi il 90% della popolazione, lo sviluppo della tecnologia con la misurazione del tempo, grazie all’orologio. 

Ma furono certamente molteplici le ragioni (e le invenzioni) per cui vennero a scomparire gli ideali cavallereschi e le tradizioni che avevano accompagnato la storia del Medioevo [15].

Nello stesso periodo vi fu anche un sensibile mutamento delle condizioni climatiche, con la diminuzione delle temperatrure ed anche alcuni terremoti in varie aree del pianeta. Tutto sembrava indicare che la PESTE poteva essere la chiave di volta per una “annunciata” catastrofe globale.

Attorno alla metà del secolo XIV apparvero anche nuove informazioni e nuovi dati relativi a terre lontane che diventavano “realmente esistenti” e non più solamente frutto di fantasie e racconti improbabili. Il Catai, la Persia, al pari del Nord europeo iniziavano ad avere la consistenza di Paesi in cui era iniziata o si era diretta la grande pestilenza.

La PAURA della fine dell’umanità o della stessa morte era vissuta con ansie simili dall’Italia (primo paese ad essere colpito in Europa) alla penisola Iberica, dalla Germania all’Inghilterra. 

La FAME e l’insicurezza generale, motivata anche da ripetute piccole pestilenze negli anni seguenti, determinarono le tre principali crisi che accompagnarono quegli anni:

GRAVE CRISI RELIGIOSA, con la ricerca di colpevoli, l’attesa dell’anticristo e l’epiazione di peccati;

GRAVE CRISI DEL COMMERCIO, con emergenze economiche, perdita di consolidate consuetudini etiche;

GRAVE CRISI DELLA MEDICINA, con la inesauribile richiesta di cure efficaci ed oscure profezie.

Tutto ciò per nominare solo alcuni degli eventi che presagivano la fine di un’epoca, la fine del Medioevo.

   

La Chiesa e la Società laica sembravano proprio aver bisogno di un rinnovamento, dopo il chiaro imbarbarimento e la cronica “crudeltà” dell’uomo medievale e il bisogno di una nuova fiducia nelle autorità (sia civili, sia religiose), per dare avvio ad inattese (per allora) consuetudini e speranze per il futuro.

In definitiva: si voleva smettere di aver paura si voleva iniziare (nuovamente) ad apprezzare la vita, intesa anche come piacere e divertimento oltre allo sviluppo economico, all’arte ed all’avventura. Il tutto, ovviamente, salvaguardano la propria anima, magari compiendo viaggi ai luoghi santi o un pellegrinaggio a Roma (v. Anno Santo, 1350). La medicina, in particolare, rinnovò l’etica professionale e la deontologia ebbe anche una nuova importanza, anche politica, sempre più orientata al bene comune.

Le Università acquisirono l’importanza che viene ad esse destinata, la mentalità orientata al dovere ed alla morale, con la richiesta (e l’offerta) di un impegno totale, indipendente da ricompensa, guadagno ed anche rischio di vita. 

Non mancarono settori in cui le conseguenze della peste non furono “novità”.

Furono decisivi la crisi economica, il crollo demografico, le aumentate ricchezze dei sopravvissuti e l’incredible formazione di un nuovo ceto sociale: il ceto medio, con l’aumentata intolleranza verso gli stranieri e le minoranze etniche. 

Non mancarono fenomeni (oggi facilmente prevedibili) affatto conseguenti a tale crisi generale: rivolte, reati contro la proprietà, l’esodo dalle campagne, il cambio delle professioni (l’allevamento, la filatura), l’inasprirsi delle pene e la crudeltà delle esecuzioni, l’intensificarsi di crisi latenti.

   

Le città ebbero nuovi cittadini; furono favoriti il lusso, la ricchezza, il piacere.

Grandi rinnovamenti erano in atto: la peste ne determinò l’apice; essa non fu la sola causa degli sviluppi, ma li favorì in modo decisivo.

Ma, per fortuna, c’erano anche...

    

5.3.7 I santi protettori dalla peste [16]

Quando infuriava la peste, venivano invocati, in particolare, tre santi: 

San Sebastiano, nativo di Narbona e cittadino di Milano, nella prima metà del secolo V era una guardia pretoriana di Diocleziano e svolgeva una intensa attività caritativa verso i bisognosi. è il principale santo protettore invocato contro la peste; durante il suo martirio venne condannato a morte mediante il supplizio delle frecce e sopravvisse miracolosamente ai colpi infertigli dai commilitoni. 

Curato da santa Irene, si presentò di nuovo all'Imperatore che lo fece uccidere a bastonate. Le ferite causate dalle frecce sono paragonate ai segni (bubboni) della peste: oltre al santo si è salvato perciò anche il popolo che, rivolgendosi a lui, spera di salvarsi dalla peste. Ma c’è un altro legame tra le frecce e la peste: l’ira divina è paragonata alle frecce scagliate da un arco e, nel Medioevo, il diffondersi della peste fu visto come lo scatenarsi dell’ira di Dio. Il suo corpo fu sepolto sulla via Appia e forse successivamente traslato.

   

San Rocco era francese. Nacque a Montpellier in una famiglia agiata della grande borghesia mercantile tra il 1345 ed il 1350. Secondo la tradizione, una volta morti i genitori e donate ai poveri tutte le sue ricchezze, lasciò la Francia e venne in Italia, dove infuriavano pestilenze e guerre, con lo scopo di curare i pellegrini ammalati. A Piacenza, dove giunse nel luglio 1371, mentre assisteva gli ammalati di peste dell’Ospedale di Santa Maria di Betlemme, si ammalò egli stesso. Tormentato da un dolorosissimo bubbone all’inguine, si ritrovò cacciato dagli altri ammalati, stanchi dei suoi lamenti. Trascinatosi fino a Sarmato (a 17 km dalla città), Rocco si riparò in una grotta ad aspettare la morte. Fu un cane che lo salvò. La bestiola, accortasi della sua presenza e della sua sofferenza, gli portò ogni giorno un pezzo di pane, fino alla sua guarigione. San Rocco una volta guarito, non tornò in Francia, ma riprese la sua attività a favore degli appestati per la quale ancora oggi è ricordato.

San Rocco

Sant'Antonio abate era un eremita che viveva nel deserto. La sua vita, che si svolse attorno all’anno 340, sotto Costantino imperatore, fu narrata da Anastasio. Viene raffigurato spesso con un maialino, che forse indica il demonio piegato e vinto. Non è chiaro il rapporto tra sant'Antonio abate e la peste, ma anche lui venne invocato, forse a causa delle numerose rinuncie e privazioni e della ben nota santità della sua vita (cfr. anche 5.2. Ignis sacer, Ergotismo e Fuoco di sant' Antonio).

C’erano altri santi protettori per tante altre malattie ma la cosa che più terrorizzava nel Medioevo, era la morte improvvisa (detta la "mala morte") perché non dava il tempo di confessarsi e così si rischiava l’inferno. 

La morte improvvisa, a quei tempi, era piuttosto frequente: guerre, sommosse, cadute da cavallo, da balconi, da impalcature, ecc. Il santo più invocato, in questi casi, era san Cristoforo: bastava guardare la sua immagine al mattino, appena svegli, e si poteva star tranquilli per tutto il giorno.

San Cristoforo era un gigante pagano («cananeo dell’altissima statura di dodici cubiti e di terribile aspetto») che aiutava ad attraversare un fiume pericoloso per i viaggiatori e per i pellegrini. Un giorno trasportò sulle spalle un bambino che diventava sempre più pesante man mano che il santo procedeva. Cristoforo si appoggiava a un tronco d’albero che rischiava di rompersi e riuscì a raggiungere l’altra sponda e solo allora riconobbe nel piccolo passeggero Gesù Bambino, che, come segno della propria divinità, trasformò il tronco d’albero in una palma da frutti. Il nome "Cristoforo" significa infatti "portatore di Cristo".

Anche san Cristoforo, come san Sebastiano, fu condannato al martirio delle frecce; però le frecce non lo colpivano e tornavano indietro, colpendo i persecutori. In seguito, San Cristoforo divenne il protettore dei viaggiatori in pericolo e la sua immagine era comune presso i valichi alpini. 

   

Bouts il giovane: San Cristoforo

Santo e martire, probabilmente palestinese, fu convertito al cristianesimo dal vescovo Antiocheno 
Babila e martirizzato per la fede sotto Decio nel 250. San Cristoforo è uno dei quattordici santi detti 
"ausiliatori" particolarmente invocati in occasione di gravi calamità naturali o per la protezione da  disgrazie o pericoli specifici. Il patrocinio di San Cristoforo era particolarmente ricercato sotto la peste.

   

POST SCRIPTUM

«[...] già erano gli anni della fruttifera incarnazione del Figliuolo di Dio al numero pervenuti di milletrecentoquarantotto, quando nella egregia città di Fiorenza [...] pervenne la mortifera pestilenza: la quale, per operazion de’ corpi superiori o per le nostre inique opere da giusta ira di Dio a nostra correzione mandata sopra i mortali, alquanti anni davanti nelle parti orientali incominciata [...] senza ristare d’un luogo in un altro continuandosi, verso l’Occidente miserabilmente s’era ampliata. [...] Nascevano nel cominciamento d’essa a’ maschi e alle femine parimente o nella anguinaia o sotto le ditella certe enfiature, delle quali alcune crescevano come una comunal mela, altre come un uovo, e alcune più e alcun’altre meno [...] A cura delle quali infermità né consiglio di medico né virtù di medicina alcuna pareva che valesse o facesse profitto [...] E più avanti ancora ebbe di male: ché non solamente il parlare e l’usare cogli infermi dava a’ sani infermità o cagione di comune morte, ma ancora il toccare i panni o qualunque altra cosa da quegli infermi era stata tocca o adoperata pareva seco quella cotale infermità nel toccator transportare [...] Che altro si può dire [...] se non che tanta e tal fu la crudeltà del cielo, e forse in parte quella degli uomini, che infra’l marzo e il prossimo luglio vegnente, tra per la forza della pestifera infermità e per l’esser molti infermi mal serviti o abbandonati ne’ lor bisogni per la paura ch’aveono i sani, oltre a centomila creature umane si crede per certo dentro alle mura della città di Firenze essere stati di vita tolti, che forse, anzi l’accidente mortifero, non si saria estimato tanti averne dentro avuti?».

(BOCCACCIO, Decameron, I, introduzione).

   

    

    


14  Klaus Bergdolt, La Peste Nera e la fine del Medioevo, PIEMME Ed., Casale Monferrato 1997.

15  Chiara Frugoni, Medioevo sul naso, Laterza ed., Roma-Bari 2001.

16  Per l’iconografia, non sempre storicamente esatta e non precisamente corredata di date, 
notizie storiche o geografiche, per i santi Sebastiano, Antonio Abate e Cristoforo, cfr. anche Jacopo da Varagine, Leggenda Aurea, Libreria Ed. Fiorentina, Firenze 1990.

 

  

      


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