Sei in: Mondi medievali ® Castelli italiani ® Sicilia ® Provincia di Enna |
TUTTE LE FORTIFICAZIONI DELLA PROVINCIA DI ENNA
in sintesi
I castelli della provincia trattati da collaboratori del sito sono esaminati nelle rispettive schede. I testi presentati nella pagina presente sono tratti invece da altri siti internet: della correttezza dei dati riportati, castello per castello, sono responsabili i rispettivi siti.
Fermando il puntatore del mouse sulla miniatura di ogni foto, si legge in bassa risoluzione (tooltip) il sito da cui la foto è tratta e, se noto, il nome del suo autore: a loro va riferito il copyright delle immagini.
= click image to enlarge / clicca sull'immagine per ingrandirla.
= click also image to enter / puoi entrare nella pagina anche cliccando
sull'immagine.
= click image to castelliere.blogspot / clicca sull'immagine per
castelliere.blogspot.
= click image to wikipedia / clicca sull'immagine per wikipedia.
Agira (castello saraceno o San Filippo d'Argirò)
a cura di Vita Russo
Aidone (ruderi del Castellaccio)
«Il Castello Medievale di Aidone domina sulla vallata del Gornalunga dall’alto di una rupe rocciosa a quota 889 metri, alla periferia del centro abitato in fondo a Via Castello. Alcuni studiosi ritengono che il "Castellaccio" sia una fortificazione saracena, ma risale di sicuro al periodo normanno. Dal 1411 il castello fu abitato dalla regina Bianca di Navarra che qui riceveva omaggi dai feudatari. Mentre durante la guerra del Vespro la fortezza "inespugnabile", così la definisce la tradizione popolare, ospitò la guarnigione francese, decimata durante l’assedio. Oggi restano solo i ruderi del Castellaccio, un tempo fortezza araba che da dimora nobiliare venne adibita a carcere per poi crollare durante il terremoto del 1693. Oggi è possibile visitare i resti del castello di proprietà comunale».
http://www.turismoenna.it/aidone/castello-medievale-di-aidone.html
Assoro (castello dei Valguarnera)
a cura di Giuseppe Maria Amato
Barrafranca (castello o torre di Convicino, non più esistente)
«Il Castello (o la torre), non più esistente, sarebbe sorto nell'attuale centro urbano di Barrafranca (Enna), accanto alla chiesa maggiore. Rimasto isolato in un feudo spopolato dopo il XIII secolo, divenne il nucleo intorno al quale si sviluppò il paese di Barrafranca nel XVI secolo. Numerosi rinvenimenti antichi sono segnalati nel territorio di Barrafranca: fattorie e necropoli ellenistiche e romane nonché necropoli bizantine. Non rimangono tracce del Castello, in assenza di resti visibili, si fa ricorso all'attestazione documentaria, il Castello è documentato fin dal XII secolo».
http://www.comune.enna.it/index.php/component/k2/item/62-castello-di-convicino-barrafranca
Bonalbergo (castello o torre non più esistente)
«Il Castello o Torre di Bonalbergo era ubicato in provincia di Enna, presumibilmente a sei miglia da Nicosia (Amico - 1757). Nel 1392 l'universitas di Nicosia manifesta la volontà di distruggere il fortilizio o torre di Bonalbergo (Barbato 1919), che però è ancora ricordato nell'elenco dei feudatari del 1408 pubblicato da R. Gregorio (Gregorio 1791). Fazello ricorda (1558), una torre e castello di Malarbergo non lontano da Agira e a cinque da Nicosia; potrebbe trattarsi della stessa torre detta nel XIV secolo Bonalbergo».
http://www.castelli-sicilia.com/links.asp?CatId=71
Borgo Carcaci (castello di Carcaci)
«La nascita dell'urbanizzazione di Carcaci risale alla venuta dei Normanni in Sicilia, che nel 1061, cingendo da assedio Centuripe, si accamparono nella vallata, ai margini del fiume Simeto dove ora sorge il borgo. Risale a quell' epoca, probabilmente, la prima costruzione, una torre quadrangolare che più tardi è stata inglobata nelle successive costruzioni. Da quel lontano 1061 ad oggi, il borgo, diventato poi baronia ed ancora comune ed infine frazione di Centuripe, ha vissuto alterne vicende di splendore e decadenza fino all' attuale quasi totale abbandono. Il primo acquisitore del fondo di Carcaci fu, intorno al 1200, Giovanni de Raynero. Dopo varie successione si arriva a Giovanni Spatafora che nel 1453 ottenne dal re Alfonso la solenne investitura della baronia di Carcaci. Nel 1575 gli eredi vendettero la baronia a Ruggero Romeo che fece grandi opere di irrigazioni. Nel 1602 la baronia fu ancora venduta a Nicola Mancuso, Barone di Fiumefreddo, ma passò ben presto (1630) a Gonsalvo Romeo Gioieni per espropriazioni nelle prime notizie del numero degli abitanti di Carcaci».
http://simpaticamenteinsieme.blogspot.it/2009/07/il-borgo-e-il-castello-di-carcaci.html
BOzzetta (resti del castello, detto anche di Guzzetta)
«Il castello sorgeva sulla Rocca Castellaccio di Bozzetta, nel Val di Noto a circa 3 km. ad ovest di Leonforte, a m. 614 s.l.m., sulla sponda destra dell'omonimo torrente Bozzetta. Il castello è attestato per la prima volta nel 1326. Di origine bizantina, è in completo abbandono. Il paesaggio è collinare ed è posto su una sommità da dove si domina un ampio territorio. Del castello restano solo pochi ruderi; in particolare è visibile un avanzo di mura con una grande apertura con arco a sesto ribassato che la tradizione identifica con il portone di accesso al complesso castrale. I resti fuori terra visibili non consentono una lettura ricostruttiva dell'impianto. Una curiosità è rappresentata da una apertura praticata alla base del muro orientale nel locale di piano terra, dalla quale risulta pressoché impossibile vedere alcunché dall'interno verso l'esterno. Ritenuta erroneamente una finestra, è in realtà un "buco del gatto" o "gattaio" come veniva chiamato dai costruttori medioevali cioè una via di comunicazione con l'esterno o una via di scampo in extremis qualora il nemico avesse occupato il resto della fortezza».
http://www.comune.leonforte.en.it/Ufficio_Turismo/Guida%20ragionata/Escursioni/Castello_Bozzetta.htm
Calascibetta (insediamento rupestre)
«A Calascibetta comune della Provincia di Enna, oltre alla ‘’Necropoli Realmese’’, a circa mezzo chilometro dalla SS 290 in contrada Canalotto nei pressi del Santuario "Madona del Buonriposo" (circa 5 km dal paese) all’interno del bosco demaniale, troviamo un insediamento rupestre d’epoca Tardo Romana-Bizantina. Il nucleo principale dell’abitato, ubicato nella parte iniziale del vallone, proclive a sud-ovest verso il corso del fiume Morello, utilizza una rientranza di roccia arenaria profonda circa trenta metri, nella quale si aprono numerosi ambienti scavati nella roccia utilizzati per scopi religiosi, funerari e civili, un intero villaggio rupestre sviluppatosi in epoca bizantina. Gli abitanti si erano strutturarti per vivere in modo del tutto autonomo, avevano trovato il modo di raccogliere le acque battenti sulle rocce tramite delle incisioni che potevano in alcuni punti diventare veri e propri canaloni, i quali convogliavano le acque meteoriche in recipienti scavati nella roccia, che a loro volta venivano suddivise in piccole vasche per un agevole utilizzo giornaliero. Il villaggio è composto da due chiese rupestri a due piani e circa trenta grotte anche a diversi piani, utilizzate come abitazioni. Sulle pareti si notano le piccole teche scavate nella roccia, che servivano per la deposizione di urne e vasi cinerari, dato che il culto dei morti seguiva ancora il rito cerimoniale romano, i defunti venivano cremati e le ceneri raccolte in vasi. Il villaggio poteva contare anche sull’apporto idrico del torrente che scorre alla base del sito, che più avanti si getta nel vicino fiume Morello».
http://notizie.comuni-italiani.it/foto/27731
Calascibetta (torre castellare normanna)
a cura di Vita Russo
Centuripe (mausoleo romano detto "castello di Corradino")
«Si tratta di un’antica costruzione romana risalente al II secolo d.C. La denominazione di castello, assunta in epoca medievale, è impropria trattandosi di un edificio quadrato, piuttosto piccolo, assimilabile ad una torre. Fu utilizzato da Corrado Capece come fortilizio nella difesa degli Svevi in Sicilia».
http://www.sicilie.it/sicilia/Centuripe%20-%20Castello%20di%20Corradino
Cerami (resti del castello normanno)
«Ubicato nel centro urbano, sulla rocca a monte dell'abitato; accessibile dalla 'salita Castello', i resti del Castello rupestre si trovano al culmine della rupe calcarea (1050 m) a picco sul fianco orientale e chiusa fra due sottostanti valli, sulla cui dorsale si adagia il paese. Domina la sottostante vallata, ed è in vista degli abitati di Troina, Gagliano, Agira, Capizzi, Nicosia e, più lontano, Assoro ed Enna. Fu fatto costruire dal Conte Ruggero nella parte più alta del paese, dove esisteva una rocca inaccessibile scavata nell’arenaria. Il Castello sfruttava la posizione favorevole del sito, un rilievo naturalmente difeso. Purtroppo, rimangono pochissimi avanzi, ulteriormente stravolti dalla costruzione di un serbatoio idrico. Rimane qualche tratto di mura ai lati della rupe costruite in modo irregolare con l'impiego di pezzami di pietra locale legati in abbondante malta. I ruderi oggi esistenti non ci danno idea della grandezza originale del Castello, ma ci fanno almeno intuire il connubio esistente tra la zona scavata nella roccia e quella costruita. Ampliato dai proprietari che di volta in volta ne sono venuti in possesso, costituisce un valido esempio della tipica architettura castellana siciliana del Medioevo, che adopera la natura come struttura architettonica. Anche se quello che resta è poco, una visita è senz'altro consigliabile. Vito Amico così lo descrisse: "Siede la rocca celebre sin'ora nel vertice supremo della rupe ripida da Oriente ed Aquilone, e domina tutto il paese; è quivi il palazzo baronale fornito di magnifiche sale e camere da consiglio, e della chiesa di San Giorgio"».
http://www.comune.enna.it/index.php/castelli-della-provincia/185-castello-normanno--cerami
Cerami (mulini ad acqua medievali)
«...I mulini presenti nel territorio di Cerami sono stati localizzati attraverso ricognizioni e sopralluoghi, consultando mappe catastali e topografiche, facendo riferimento ai diversi lavori di storia patria. Secondo la tradizione, tali mulini risalirebbero tutti al periodo arabo in Sicilia; è consuetudine, appunto, tra i contadini, indicare gli antichi edifici come originari del periodo saraceno. L'itinerario inizia nella parte alta del Fiume Cerami, precisamente in località Cipolluzze e Mendola, nei pressi del Vallone Marigreca, a quota 630 metri s.l.m., dove sono presenti due mulini, i cosiddetti Mulini della Roccella. Più a valle, a 600 metri di quota, nel punto di incontro tra il Fiume Cerami ed il Torrente Giammaiano, si erge in maniera evidente il Mulino Grande, costituito un tempo da diverse macine. Sempre lungo il tratto del Torrente Giammaiano erano presenti, più a monte, due Mulinelli. Segue il cosiddetto Mulinello,ubicato nell'omonima contrada, lungo il fiume Cerami. Attraversando il Ponte Vecchio, si giunge in località Casale, oggi territorio di Nicosia; qui, un tempo, nei pressi del Torrente Spirini, a circa 550 metri d'altitudine, era il Mulino Sant'Ambrogio. Infine, un po' più distante, a quota 470 m, già in territorio di Gagliano Castelferrato, insistono i ruderi ad Mulino Nuovo, posto in contrada San Giorgio. ...».
http://www.turismoenna.it/cerami/mulini-ad-acqua-centuripe.html
«Enna Alta (spesso detta semplicemente Enna) sorge su un monte tra i 940 e i 970 m d’altitudine; essa fu a lungo, fino al primo dopoguerra, l’unico insediamento urbano del capoluogo ereo ed ha origini millenarie. Enna Alta ha la forma approssimata di una sorta di freccia triangolare: nel settore orientale vi è il quartiere di Lombardia che prende nome dall’omonimo Castello, il più imponente della Sicilia, non lontano dal Duomo di Enna, dai Musei Alessi, Archeologico e della Fede e Tradizione. Il centro storico si snoda lungo la Via Roma, con le sue ampie e belle piazze - tra cui notissimo è il Belvedere che offre vedute uniche - pullulanti di boutique e negozi alla moda, le numerose chiese e diversi monumenti, oltreché, le principali istituzioni ed enti (provincia, comune, prefettura, teatro, banche e assicurazioni, genio civile). A sud vi sono le aree urbane più basse rispetto al centro storico, vale a dire Valverde, il quartiere più antico, ricchissimo di caratteristiche viuzze strette e tortuose, pittoreschi bagli e ponti carezzati da uno dei tramonti più spettacolari dell’isola, e Fundrisi, d’altrettanto fascino e sapor antico. Il Monte è il quartiere più moderno, ed è attraversato dai Viale Diaz e IV Novembre, che si incrociano con Via Libertà (terminale della centralissima Via Roma) in uno dei più trafficati quadrivi della città. Da segnalare: la Torre e la Villa di Federico II, la Chiesa di Montesalvo con l’obelisco che indica il centro geografico della Sicilia, lo Stadio Comunale. In questa area, un tempo occupata da un bosco con i roveri più meridionali del mondo, dei quali rimane un unico esemplare, in via Cavalieri di Vittorio Veneto, su una motta naturale, sorge la ottagonale Torre di Federico II, un importante monumento svevo di notevolissima fattura».
http://www.comune.enna.it/index.php/turista-a-enna/il-territorio/143-enna-alta
Enna (castello di Lombardia, torre Pisana)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«Il vasto complesso fortificato consta essenzialmente di una cinta esterna a pianta irregolarmente poligonale con sei torri superstiti. Con le sue dimensioni, il castello di Lombardia è, insieme al castello di Lucera, il più grande castello medievale d’Italia (si escludono, ovviamente, i perimetri murari urbani) e certamente uno dei più grandi d’Europa. La cinta racchiude infatti una superficie di ca. 26.600 mq suddivisa in tre cortili divisi da cortine murarie e comunicanti solo tramite porte interne. Una sorta di quarto cortile, di perimetro rettangolare assai stretto e allungato, è creato dall’esistenza di un lungo antemurale a difesa dell’ingresso principale aprentesi sul lato ovest. Alle torri di cortina si aggiungono altre quattro torri interne, poste in corrispondenza di punti chiave delle mura che delimitano i tre cortili. il mastio del castello, la “torre pisana” si trova all’interno del terzo cortile, a cavaliere fra questo ed il primo, già trasformato in teatro all’aperto. Non è superfluo ripetere che la presenza dei tre cortili "assicurava una difesa a sezioni separate, utile in caso di espugnazione di uno dei settori". Dall’atrio stretto ed allungato si accede al primo cortile (detto di San Nicolò o “degli armati”) attraverso un portone ogivale aprentesi sul fronte occidentale. Questa prima corte ha pianta assimilabile ad un trapezio isoscele. Il secondo cortile, il più vasto dei tre (detto di Santa Maddalena o “delle vettovaglie”), accessibile dal primo mediante la “porta della catena”, ha pianta di poligono irregolare allungato in senso sud est-nord ovest. All’estremità settentrionale del secondo cortile si apre una postierla (in siciliano porta fausa). Quasi all’altezza di quest’ultima si innesta alle mura perimetrali esterne il muro interno, protetto da due torri, che isola il terzo cortile. Anche quest’ultimo (detto di San Martino), il più piccolo dei tre, ha pianta di poligono fortemente irregolare. Qui Paolo Orsi rinvenne silos scampanati scavati nella roccia, una chiesetta medievale, tombe probabilmente d’età islamica, mentre alcune altre sepolture sono state messe alla luce da interventi archeologici più recenti.
Sull’angolo ovest del cortile si innalza la “torre pisana”, il mastio della cittadella. A pianta leggermente trapezoidale, si erge sul punto più elevato del rilievo con linee purissime e taglienti, tanto da dare l’impressione di un edificio parallelepipedo su base regolare. All’interno la torre presenta attualmente un piano terra altissimo coperto da un solaio ligneo ripristinato su mensole litiche originarie. Una scala snodatesi lungo le pareti interne e con due rampe finali ricavate negli spessori murari conduce al secondo livello coperto da volta a crociera. Un’ultima rampa di scale, per metà alloggiata negli spessori del muro, porta alla terrazza la cui merlatura è di ripristino. Appena sotto la “torre pisana” esistono le rovine di un’aula a pianta rettangolare molto allungata, scandita originariamente da almeno quattro arcate mediane di cui rimangono solo le imposte incassate direttamente negli spessori murari. La sala era illuminata da una serie di strette feritoie aprentesi sul muro occidentale: al di sopra di queste corre una fila di mensole in pietra destinate in origine a sorreggere il solaio ligneo che divideva il piano terra da un primo piano. Il castello, quindi, alla zona dei due cortili maggiori, utili all’occorrenza per l’accasermamento di grossi contingenti di armati con tutto il materiale necessario ed il ricovero della popolazione, univa una parte interna, più difesa ed isolata, ove l’edificio a pianta rettangolare appena descritto poteva offrire anche a ospiti reali una comoda residenza (il palazzo a pianta rettangolare), resa ulteriormente sicura dalla prossimità della “torre pisana”».
http://www.iccd.beniculturali.it/medioevosiciliano/index.php?it/112/catalogo-generale/12 (da un testo di Ferdinando Maurici)
ENNA (guida al castello di Lombardia)
a cura di Giuseppe Maria Amato
«Palazzo Pollicarini, un tempo dimora gentilizia fortificata, in stile gotico-catalano del XIV-XV secolo, un portale sostenuto da una elegante cornice introduce nel cortile, in cui si apre un portico a sesto acuto coronato a raggiera. Una cornice divide il primo dal secondo piano illuminato da tre finestre rettangolari a cui si sovrappone un elegante trapunto traforato con arabeschi polibolati simili a quelli di Palazzo Varisano. Il cornicione di coronamento è abbellito da archetti sormontati da mensole e da cornici riccamente sagomate. Un'ampia scalinata collega il cortile agli appartamenti. L'edificio nel corso degli anni ha subito dei rimaneggiamenti che non sempre hanno rispettato il valore storico-artistico dell'antico palazzo (vedi le antiestetiche saracinesche, per non parlare del palazzo di sei piani sorto negli anni '60 che chiude il cortile a sinistra, lo sovrasta in altezza e in bruttezza)».
http://rete.comuni-italiani.it/wiki/Enna/Palazzo_Pollicarini
«La Porta di Janniscuru è l'ultima porta monumentale rimasta a difesa della città di Enna, delle 6 originariamente arroccate sulle pendici del Monte, erette per tutelare gli ingressi dell'antica città medievale di Castrogiovanni in tempo di assedio. Le porte originarie svolgevano altresì un ruolo importante come uniche brecce delle possenti mura di cinta che fortificavano Enna, giustificandone le attribuzioni di Urbs Inexpugnabilis dei bizantini e di città imprendibile di Tito Livio. La Porta risale tuttavia a un periodo più recente, e fu innalzata con ogni probabilità durante la dominazione araba, quando il califfo portò a compimento significative opere di fortificazione in città, come il recupero del castello di Lombardia di matrice sicana, e, appunto, la costruzione della cinta muraria. Lo stile con cui la Porta di Janniscuru si presenta oggi agli occhi del visitatore è quello di un arco romano, a tutto sesto, di parvenza massiccia e imponente. La larghezza dell'arco varia da 2 a 3 m, mentre l'altezza è superiore. Il restauro del monumento ennese, rientrante nelle opere di riqualificazione dell'antico quartiere Fundrisi, lo ha restituito all'antico splendore. Particolare suggestione è data inoltre dalla collocazione della Porta di Janniscuru, situata nel mezzo di una breve scalinata in pietra che discende affiancando i costoni di roccia viva, nella quale si aprono innumerevoli grotte sepolcrali risalenti al Neolitico, tra cui l'importante Grotta della Guardiola. L'area, lontana dal centro urbano sovrastante (comunque rappresentato da Fundrisi, quartiere tradizionale con tipiche viuzze strette e tortuose, poco inclini al traffico), gode dunque di una natura assai rigogliosa, e da quassù si abbraccia con lo sguardo la città vecchia, parte orientale di Enna alta».
http://www.ecocasavacanze.it/it/cose-da-vedere-in-sicilia/enna/porta-di-janniscuru-enna
«L'estremità nordorientale del rilievo dove sorge Enna, un acrocoro a 931 metri sul livello del mare (Enna è il più alto capoluogo italiano), è caratterizzata da due emergenze rocciose che dominano la città. Su tali rilievi insistono sia la Rocca di Cerere che il Castello di Lombardia separati da un'ampia insenatura che degrada verso il basso per circa sessanta metri, denominata Contrada Santa Ninfa. Su questa Rocca un tempo sorgeva il tempio dedicato alla Dea, ma oggi rimane ben poco. Cerere (per i greci Demetra) è la Dea della fertilità e veniva venerata non solo per favorire le nascite, ma anche per garantirsi un buon raccolto. I tempi venivano spesso eretti nei punti più alti delle città per accentuarne la sacralità e per essere più vicini agli Dei anche durante i sacrifici. Questo spiega la collocazione della Rocca di Cerere. Dall'unione tra Cerere e Giove nacque Proserpina, altra Dea il cui mito è legato alla città di Enna...».
http://www.panoramio.com/photo/24162874 (a cura di Marcello Mento)
«La torre è un perfetto prisma ottagonale con larghezza massima m 17, lati di m 7,05 ed altezza attuale (la torre è capitozzata) di m 27 ,30; l’esterno è realizzato in apparecchiatura di blocchetti calcarei regolari alti ca. 25 cm. Alla distanza di 21 m la torre è circondata da una cinta muraria anch’essa a pianta ottagonale della quale si sono conservati solo alcuni tratti. Delle otto facce del solido geometrico solo due appaiono totalmente cieche. Le altre sono animate da monofore e feritoie (sette sono allineate verticalmente lungo tutta la parete in corrispondenza dell’originaria scala a chiocciola interna) e da due ampie e bellissime finestre con cornici a bastoni spezzati che si aprono al piano nobile rispettivamente sul lato nord-nord ovest e sul lato sudsud est. L’accesso all’interno è possibile mediante una porticina archiacuta al piano terreno (lato sud-sud est) ma doveva avvenire normalmente mediante una porta aprentensi in corrispondenza della scaletta interna, fra la seconda e la terza feritoia, alcuni metri in elevato rispetto al piano di calpestio. All’interno la torre è suddivisa in tre piani, l’ultimo dei quali tronco e privo di più di metà dell’elevato e quindi della copertura. il piano terreno è costituito da un’unica stanza ottagona illuminata da tre monofore strombate e coperta da volta ad ombrello con costoloni ad angolo abbattuto poggianti su mensole a piramide rovesciata con cornice, scozia fra due tori, listello abaco e peduccio. Sotto il pavimento si apriva una cisterna. Si ripete all’interno il paramento in blocchetti tendente all’isodomia. La scala a chiocciola di collegamento con il primo piano è inserita negli spessori delle pareti ovest-sud ovest; scomparsa nel XVIII secolo la scala originaria, essa è stata ricostruita in calcestruzzo. L’ambiente del piano nobile è realizzato in analogia con il piano terra: è un vano ottagonale con volta ad ombrello costolonata poggiante però, questa volta, su semicolonne con basi ioniche e capitelli - molto rovinati - a foglie.
L’ambiente è illuminato dalle due grandi finestre con cornici a bastoni; questo tipo di decorazione, che nel passato aveva fatto datare queste aperture al XV secolo, si ritrova in realtà come segnalato di recente da Bellafiore anche a Castel del Monte e può quindi rientrare nel repertorio decorativo dell’architettura sveva. Nel lato nord-nord est è ricavata, in un ambiente a gomito, una latrina. Il vano della terza elevazione, anch’esso ottagonale e accessibile sempre mediante la scaletta a chiocciola, si presenta cimato ad un’altezza di circa 3 m. La presenza dell’imposta nascente di quattro costoloni disposti secondo i punti cardinali permise ad Agnello di ipotizzare una copertura a volta emisferica con oculo vuoto al centro: il recente ritrovamento della serraglia fra le macerie del piano semidistrutto fa però escludere l’ipotesi affascinante di un ultimo piano aperto a mo’di specola. È indubbio il fascino di questo edificio costruito in quello che era considerato il centro della Sicilia e con pianta ottagonale, com’è ben noto, dalla forte valenza simbolica. Evitando in questa sede qualsiasi possibile speculazione su questo aspetto del monumento, si sottolinea soltanto come donjons ottagonali o comunque poligonali siano relativamente frequenti in Francia, Inghilterra, Germania ed in particolare nel Kernland degli Staufen, l’Alsazia fra XII e XIII secolo. Si ritiene che gli influssi orientali siano, nel torrione di Enna, inesistenti. Esso è piuttosto uno splendido donjon di tipo nordico piantato quasi nel centro geografico dell’isola. L’ambiente naturale, lo stesso clima di Enna esaltano ancora di più, per molti giorni l’anno, il fascino settentrionale della torre. Immersa spesso nella nebbia, a volte visibile solo a distanza di pochi metri, essa è realmente un frammento di Europa gotica caparbiamente ancorato all’acrocoro roccioso di Enna».
http://www.iccd.beniculturali.it/medioevosiciliano/index.php?it/112/catalogo-generale/13 (da un testo di Ferdinando Maurici)
«Torre di Frate Elia Rachetta. Utilizzata come torre campanaria della Chiesa e del Convento dei Carmelitani, poi trasformato in Ospedale Civico, è tradizionalmente legata al monaco combattente Elia Rachetta, un bizantino ennese che divenne uno dei paladini della lotta agli arabi che invasero l'isola nel IX sec. La torre, forse costruita proprio sul luogo della residenza dei Rachetta, è in forme gotico catalane, anch'essa con diverse elevazioni e con una pianta quadra resa particolarmente complessa ed interessante da una sorta di torretta angolare a pianta circolare che contiene la scala a chiocciola. La copertura, oggi a tetto, potrebbe essere stata a cuspide conica come in altre torri della città. Torre di San Francesco d'Assisi. è la maggiore delle torri superstiti, sorge nella piazza più grande della città antica, ed oggi è ancora più alta in quanto la piazza venne ottenuta nel XIX sec. attraverso il taglio del roccione su cui sorge la città e l'apertura del piano poi detto, appunto, di San Francesco. La torre si eleva su di un alto rilevato in calcarenite con profilo a barbacane e presenta un primo piano aperto da ampie arcature a tutto sesto e con un vano coperto da una volta a crociera con costoloni modanati e con chiave di volta con pendente. Le elevazioni superiori sono due, una senza aperture ed una seconda con le aperture per le campane della Chiesa, il tetto è a piramide di tegole e coppi, ma bisognerebbe studiare l'originaria copertura che potrebbe esser stata a cuspide conica maiolicata. Tradizionalmente questa torre, nella quale il rapporto tra gotico catalano e romanico è fortemente marcato e comprensibile, è data come torre del Palazzo dei Conti Chiaromonte di Modica. Lo stato di conservazione è buono ma sarebbe opportuno un restauro della muratura esterna della torre e della chiesa ed uno studio delle murature, inoltre, riteniamo urgente la restituzione all'aspetto originario dell'Atrio del Sole, il chiostro del palazzo gravemente deturpato da nuove ed inutili costruzioni e dalla tompagnatura di quasi tutte le arcature. Torre di San Giovanni. Sorge sulla fronte di quella che era la Chiesa di San Giovanni Battista, nel centro della città, e doveva esserne una delle porte, secondo un sistema che si ritrova sia nella menzionata San Francesco che nella Matrice, come nelle vicine matrici di Gangi e di Nicosia. Deruta la Chiesa, la torre rimase per molto tempo abbandonata e deturpata e solo negli anni sessanta e settanta venne sottoposta ai primi restauri. Questi restauri videro anche la costruzione di una cupoletta arabo normanna in sostituzione della cuspide conica e maiolicata che la sormontava in origine. Oggi fa parte della sede principale del Municipio, ma versa in brutte condizioni, inoltre, il contesto in cui sorge è stato gravemente danneggiato dalla superfetazione di due piani della sede comunale sulla precedente costruzione della Chiesa. La Torre di San Tommaso. Torre a pianta quadra su tre elevazioni e con copertura a tetto piramidale, è oggi collegata alla Chiesa medievale di San Tommaso Apostolo, ma doveva essere inizialmente una torre di controllo del margine meridionale della città. Si mantiene in condizioni complessivamente buone».
http://www.turismoenna.it/enna/torre-di-san-giovanni-enna.html ss.
Gagliano Castelferrato (castello)
«L'appellativo "Castelferrato" venne aggiunto a Gagliano nel 1862 poiché il paese è dominato da un castello fortificato detto "di ferro"che sorge sulla sommità di una rupe alta 650 metri, la Rocca, un masso enorme che sovrasta il centro abitato. Il suo primo impianto risale presumibilmente intorno all'XI sec. Il castello salì alla ribalta quando fu scelto da Federico II per farne luogo di sereno riposo. Per questo motivo per un periodo di oltre dieci anni il castello si trasformò in una residenza sfarzosa e in luogo sicuro contro i pericoli delle congiure ordite sempre più frequentemente dai nemici del colto e saggio monarca. Successivamente esso appartenne a Montaneiro Perio De Sosa e nel 1392 divenne proprietà di Perio Sancio de Colatajuro. In seguito si avvicendarono diverse famiglie nobili fra le quali quella dei Centelles, i Galletti e infine i Castello sino all'abolizione del regime feudale».
http://www.sicilyontour.com/castello_di_gagliano_castelferrato.htm
Gatta (resti del casale e della torre della Gatta)
«La Torre della Gatta è uno di questi luoghi dispersi sia nella memoria sia nel tempo, essendo solo nota agli appassionati e agli addetti ai lavori. Allo scopo di sfruttare le fertili regioni dell’interno nell’avvio di fiorenti attività agricole, sin dall’epoca arabo-normanna, prende piede il fenomeno dei casali, piccoli aggregati rurali, che da semplici avamposti di produzione, con il tempo, si svilupparono in veri e propri borghi feudali retti da comunità strutturate e quasi indipendenti. Intorno al XII e XIII i casali arabo-normanni subirono però una pensante flessione a causa delle violenti repressioni avvenute sotto la reggenza di Federico II, per la presenza islamica ancora ben radicata. Nonostante queste battute d’arresto, l’attività feudale riprende e i casali assumono più l’aspetto di potenti masserie fortificate e baronali, le quali rimangono attive addirittura fino al ‘900. In tale contesto il feudo situato in contrada Gatta, il cui epicentro è rintracciabile su un leggero altopiano di fronte alla valle del torrente Gatta, da cui prende il nome, probabilmente fu sede di uno di questi antichi casali medievali arabo-normanni, e la sua continuità nella storia può essere ben documentata dagli imponenti resti del feudo, attraverso tutte le fasi ricostruttive e di ampliamento fino quasi ai giorni nostri. Il toponimo del luogo include il termine molto indicativo di “Torre”, il quale attrasse la nostra attenzione poiché esso era in riferimento ai ruderi di un’antica torre medievale risalente alla prima metà del trecento che successivamente sarebbe stata inclusa all’interno della masseria fortificata. ... Giunti sul posto, seguendo una breve stradina sterrata, ci trovammo di fronte alle imponenti mura della masseria fortificata, le quali erano così massicce da dare l’impressione di trovarci di fronte ai resti di un castello. Gli angoli del recinto murario erano rafforzati con grossi blocchi di calcare, mentre lungo i bastioni facevano la loro comparsa larghe finestre murate.
All’interno della masseria si accedeva attraverso un bel portale in pietra con i conci decorati a bassorilievi. La cancellata in ferro, quasi divelta, ci consentì facilmente di entrare dentro il cortile. L’erba verde primaverile ed un tappeto di fiori ci diedero un piacevole benvenuto attraverso l’ampio spazio aperto circondato dalle rovine, qui avvertimmo subito che la sequenza di mura alla nostra destra dava l’impressione di una più antica foggia ed avvicinandoci, scorgemmo i resti della torre trecentesca immersa in costruzioni successive. Infatti, già nel XIV sec. attorno a questa fu eretto un recinto protettivo fornito di un ingresso monumentale in pietra ad arco a tutto sesto della stessa foggia del portale principale. Della torre medievale rimangono pochi ruderi ma sufficienti a fornire alcuni indizi sulla sua architettura, essa, infatti, aveva una pianta quadrata ed era costituita da due piani, il piano terra aveva una copertura a crociera di cui restano, ancora ben visibili, i pilastri angolari che ne sorreggevano la volta. Poco tempo dopo la sua costruzione, alla quale è riferibile tra il 1310 e il 1340, fu annesso il recinto quadrato in muratura alto 4 metri, che trasformò la torre in vero e proprio fortilizio militare. Presumibilmente nel XVI secolo fu costruito il portale d’ingresso alle mura con arco a tutto sesto e vennero aggiunti nuovi locali alla corte. La torre stava trasformandosi lentamente in una masseria feudale e le sue strutture, così come testimoniato dagli interventi murari, furono utilizzate fino agli inizi del novecento per poi cadere nel più totale abbandono con i conseguenti e numerosi crolli strutturali. Camminando nella fitta erba ci imbattemmo anche in alcuni grossi blocchi cilindrici di calcare sparsi nei pressi della coorte, all’inizio non vi facemmo molto caso, ma successivamente focalizzammo l’attenzione sulla loro possibile origine. In realtà quei grossi conci erano ciò che restava di un’antichissima chiesa risalente a prima della costruzione della stessa torre. ...».
http://www.siciliafotografica.it/homesic/index.php?option=com_content&view=article&id=266:torre-della-gatta... (a cura di Diego Barucco)
Gresti (castello di Gresti o Pietratagliata)
a cura di Giuseppe Maria Amato
Leonforte (palazzo baronale Branciforti)
«Costruito nei primi decenni del 1600, il Palazzo fu la dimora del Principe fondatore Nicoló Placido Branciforti e della sua famiglia sino al 1850, quando l’ottavo ed ultimo Principe, Giuseppe Branciforti, lasciava per sempre la città per trasferirsi definitivamente a Parigi. Lavorarono alla sua realizzazione maestranze romane e palermitane sotto la direzione di tre capomastri ennesi: Gianguzzo, lo stesso che curò la Piazza antistante, Inglese e Calì. è una grande costruzione quadrangolare a due piani di stile seicentesco, con vastissimo cortile interno, anch’esso quadrato, finestre a piano terra e balconi con mensole scolpite al primo piano. Elegante il manieristico portale a bugne, con motivi figuranti sui pennacchi e sulle mensole del sovrastante balcone centrale, sul quale sono scolpite armi e trofei da guerra attribuite allo scultore romano Fabio Salviati. Il lato sud del Palazzo presenta due bastioni di fortificazione circoscriventi una villetta, realizzata nel 1878 dal Comune, che si affaccia sulla via Garibaldi e che ha come magnifico scenario la suggestiva zona storica della città. Internamente l’ampio cortile presenta al centro una profonda cisterna anch’essa di forma quadrata come l’intero complesso architettonico. Particolare rilievo hanno, inoltre, le due sale di rappresentanza al primo piano, decorate con pregevoli stucchi e di recente restaurate. Il deterioramento di questo edificio, purtroppo, è stato costante e progressivo nel tempo, sia all’interno che nel prospetto. Nel 1950 venne distrutta la galleria che collegava il Palazzo con la chiesa di S. Antonino, che fungeva da cappella palatina della famiglia Branciforti; con essa venne anche distrutto il giardino con alberi secolari per lasciare il posto ad un edificio scolastico. Nel 1958 un crollo ha irrimediabilmente cancellato l’ala sud-ovest, e non ultimo, il frazionamento in mano a privati, ha apportato all’interno dello stesso Palazzo modifiche non certo rispettose delle decorazioni originarie».
http://www.vivienna.it/2010/03/25/si-illumina-palazzo-branciforti-simbolo-del-400%E2%80%99... (a cura della Pro Loco di Leonforte)
Montagna di Marzo (castrum Palici o castello di Santa Barbara)
«Non sono segnalati resti relativi ad un fortilizio medievale nell'ampia area della Montagna di Marzo del Comune di Piazza Armerina (Enna). Il Librino (1928) segnala che il castrum Palici è ricordato da un documento pisano della metà del XIV secolo. Il Cosentino (1886) riporta che, nel 1356, re Federico IV concede a Rainaldo de Gabriele di Piazza la licenza di erigere un castello nel feudo Santa Barbara (anche detto Montagna di Marzo)».
http://www.castelli-sicilia.com/links.asp?CatId=73
Nicosia (resti del castello normanno)
a cura di Vita Russo
«La torre di difesa muraria, da cui prende il nome l'omonima contrada, rappresenta, oggi, il simbolo del Museo. Il nuovo centro abitato di Nissoria sorge, a ridosso del fiume Salso, tra Agira, Assoro e Leonforte; conta 3.140 abitanti (Nissorini) e dal 1926 appartiene alla provincia di Enna. Oggi Nissoria dista un chilometro e mezzo circa dal preesistente insediamento di contrada Torre, dove sono ben visibili i resti di una struttura fortificata, con una torre di difesa muraria, scelta come emblema del museo etno-antropologico: la Torre muraria, da cui prese il nome l'omonima contrada, rappresenta oggi il simbolo del museo».
http://www.turismoenna.it/nissoria/torre-rurale-nissoria.html
Petra de Iannella (castello non localizzabile)
«Fortilicium Petrae de Iannella. Non localizzato con certezza è da ubicarsi nei pressi di Piazza Armerina. Dal Cosentino (1886) apprendiamo che nel giugno 1358 Federico IV scrive al vicecapitano di Piazza ordinandogli di ingiungere a Federico Branciforti di distruggere il fortilicium di Petra de Iannella, costruito presso Piazza, e in caso di rifiuto costringerlo con la forza».
http://www.vivisicilia.com/index.php?option=com_content&task=view&id=335&Itemid=192
Piazza Armerina (castello aragonese Spinelli)
Le foto degli amici di Castelli medievali
«La costruzione del Castello Aragonese è datata dal 1392 al 1396. La fortezza fu voluta dall'allora Re di Sicilia Martino I il Giovane per scopi prettamente difensivi. Dal punto di vista prettamente architettonico il castello Aragonese appare piuttosto tozzo e poco slanciato; questo perché mancante dell'ultimo piano (di cui restano solo alcune testimonianze). Della sua costruzione trecentesca rimangono solo alcune tracce delle fondazioni. La pianta è quadrangolare, ai cui angoli sono poste quattro torri anch'esse quadrangolari. Una di queste torri è stata interamente ricostruita, spicca infatti per la sua posizione decentrata rispetto alle altre. L'unico portale è quello rivolto a sud; si stenta a credere che questo abbia avuto funzione di portale principale, visto che è situato nel lato dove sarebbero dovuti avvenire gli ipotetici attacchi da parte degli aggressori. Il fianco meridionale risulta l'unico lato spezzato nella sua continuità da finestre e merli posticci, mentre le restanti superfici murarie si presentano lisce e prive di aperture. Quando fu adibito a carcere il castello fu oggetto di modifiche soprattutto nella parte interna».
Piazza Armerina (cinta muraria, porte, torrione)
«I tratti ancora visibili delle cinta muraria di Piazza Armerina sono piuttosto brevi e riguardano una torre circolare, due tratti di mura che si dipartono da essa (in uno dei quali si evidenzia una breccia, allargamento dell'antica porta Castellina), e un tratto di muro a contenimento della zona compresa tra il Palazzo Vescovile e la Torre del Padre Santo. Il resto della cinta muraria è stata o inglobato, e quindi ancora riscontrabile in alcune abitazioni, o demolito. La torre, a pianta circolare, con una circonferenza esterna di 15,30 metri è alta circa 14 metri. Realizzata con conci di pietrame informe ripropone la stessa tessitura del tratto murario contiguo. All'interno e all'esterno, sia la cinta muraria che la torre, presentano delle modifiche dovute alle esigenze abitative. Aperture di finestre, sopraelevazioni, collocazioni di tubi di scarico, costituiscono le cause maggiori del degrado fisico e visivo di questa struttura che sono, al pari di altri monumenti, da considerare testimonianze del passato e dello sviluppo della città. Per quanto riguarda le vicende storiche, solo dopo il 1317 gli atti notarili cominciano a riportare notizie di abitazioni site in "contrada Castellina", "quartiere San Domenico", "quartiere del Padre Santo", il che significa che, estendendosi da declivio nord-orientale del Monte verso la collina orientale dove erano già le chiese del Padre Santo e della Commenda, il borgo si andava suddividendo in contrade. Per quanto riguarda il muro di cinta un atto notarile del 1337 fa riferimento alla costruzione di "116 canne", 240 metri, delle mura della città e si può ritenere che si tratti del muro di cinta del borgo e, poiché non è probabile che siano stati lasciati fuori nuclei abitati allora già esistenti, è da ritenere che esso abbia racchiuso allora tutto il borgo, non solo la Castellina, facendo raggiungere alla cinta muraria della città la sua massima estensione. Comunque l'allungamento delle mura cittadine del 1337 è un indizio sicuro della crescita demografica di Piazza Armerina. Si ha notizia certa dell'esistenza di 5 porte: la Porta Catalana a sud-ovest; quella di S. Giovanni (detta poi di S. Stefano) a est; quella della "Scattiola" a nord-est; quella di "Altacura a sud est; un'altra porta senza nome viene indicata tra la porta Catalana e di S. Martino in una piantina di Piazza del XVII secolo».
http://www.sicilie.it/sicilia/Piazza%20Armerina%20-%20Torrione%20Cinta%20Muraria
Piazza Armerina (resti della fortificazione di Piazza Vecchia)
a cura di Giuseppe Tropea
Piazza Armerina (ruderi del castello di Anaor)
«L'insediamento è da ubicarsi presumibilmente nella zona est di monte Navone: quest'ultimo è raggiungibile percorrendo la strada statale da Piazza Armerina in direzione di Gela; al bivio per Barrafranca, imboccare la strada per monte Navone. I resti dell'abitato e del fortilizio medievale si collocano nell'ambito del sito archeologico di monte Navone. Il monte (m 734) si erge isolato e ripido, di forma allungata in senso est-ovest e presenta due pianori sommitali: il primo, più vasto ed elevato, ad est; il secondo, meno alto e spazioso, ad ovest. L'area archeologica è da riferirsi in origine ad un insediamento indigeno grecizzato, con successive frequentazioni in età bizantina e medievale. La località è attestata nella prima età normanna ed è probabile un suo spopolamento piuttosto precoce. Nel 1065: Malaterra ricorda la località con il nome di Anator, colà o nei pressi (apud Anator) si fermò il conte Ruggero (hospitium sumpsit} dopo una scorreria contro i musulmani condotta fin nel territorio di Butera. Nel 1095: Anaor è registrata tra le principali località abitate della diocesi di Siracusa in un diploma di papa Urbano II. Nel 1558: "a due miglia da Piazza Vecchia segue Nauni, un colle isolato sulla sommità si calpestano i numerosi resti di un centro fortificato certamente distrutto ma tuttora sconosciuto". Nel 1757: "il monte Nauni, dove notano gli scrittori essere stato un tempo un villaggio, a parer mio Anaor e Meneo forse Mauroneò". Intorno al castello, in vari settori del monte, si conservano resti dell'abitato medioevale. Dalla località si domina la valle del torrente Braemi ed è in vista del sito archeologico di monte Manganello. I resti del castello e l'intero sito archeologico si collocano in un'area interessata da un intenso intervento di forestazione. Descrizione: le fasi medievali dell'abitato sono stati oggetto di campagne di scavo sistematiche, ad eccezione di qualche isolato saggio che ha interessato tutta la stratigrafia fino alla roccia. L'edificio medievale identificabile come castello non supera in elevato i 2 m ed è costruito in piccoli conci legati con malta. La proprietà attuale è pubblica».
http://www.castelli-sicilia.com/links.asp?CatId=250
Piazza Armerina (torre del Padre Santo)
«Il nome Padre Santo deriva dal luogo in cui la torre è ubicata, nel Piano del Padre Santo vicino alla chiesa dei Teatini . E' estremamente difficile datare con certezza l'edificazione dell'edificio poiché non ci sono pervenuti documenti storici utili a questo scopo. Di certo la sua costruzione è precedente al 1337 poiché in un atto notarile di quell'anno, che ci parla di 240 metri di mura fortificate a difesa di quella zona, la torre non è menzionata. Nel portale principale si poteva leggere fino a qualche decennio fa una data, 1561; non è ancora chiaro però se questa si riferisse all'anno di costruzione della torre o ad un suo restauro. è certo comunque che la torre abbia subito nei secoli vari rifacimenti, l'ultimo dei quali risalente ai primi anni del XVIII secolo. La torre ha pianta rettangolare e si sviluppa su tre piani. Il portale si presenta decentrato con arco a tutto sesto ed archivolto in pietra calcarea, diversa ad esempio dalla pietra, arenaria, di cui sono costituiti i balconi ed il resto della facciata. La torre risulta appoggiata nella parte posteriore ai resti delle vecchie mura di cinta».
http://www.sicilie.it/sicilia/Piazza%20Armerina%20-%20Torre%20del%20Padre%20Santo
Pietraperzia (palazzo del Governatore)
«Questo monumentale palazzo stile rinascimentale sorge in piazza del Carmine ed è ridotto molto male per la sua vetustà. Se non si interviene opportunamente, sarà cancellato dalla memoria storica del paese. Del palazzo si possono notare la facciata a sud e ad ovest, con una grandissima balconata d’angolo sorretta da mensoloni in pietra arenaria come i portali, con sculture antropomorfe e fogliami. Non se ne conosce la data d’erezione e tanto meno l’architetto, ma è dato pensare essere opera di murifabbri locali. Al "Palazzo del Governatore", – questo è il nome con cui è conosciuto il monumentale edificio, - si accede dal lato ovest. L’androne era formato con colonne; che ancora si ammirano nelle pareti. La scala, che porta sopra, è molto bella, e nella seconda rampa s’apre ad un cortiletto (a destra) da cui prende luce, tramite graziose colonnine. Il portale d’ingresso è quattrocentesco. Gli stipiti, l’architrave e la soglia, in pietra scura, danno un aspetto severo e di bell’effetto architettonico. L’anticamera, come le molte altre stanze, sono pavimentate in cotto smaltato, forse della stessa epoca. In questo palazzo sedevano il Capitano di Giustizia, il Governatore ed altri notabili, per curare gli interessi del popolo e del principe. Uscendo dal Palazzo del Governatore, sulla destra si può ancora ammirare l’avanzo di un arco; fa pensare che fosse la porta di recinzione delle mura medievali del castello».
http://www.comune.pietraperzia.en.it/PalazzoDelGovernatore.htm
Pietraperzia (ruderi del castello Barresi)
«La storia de Castello di Pietraperzia prende inizio dall’anno 1060, quando al seguito del conte Ruggero il Normanno, arriva in Sicilia Abbo Barresi, conquistata l’intera isola, il conte volle ricompensare il suo fedele alleato donandogli alcune terre tra cui territorio di Pietraperzia e Sommatino. La famiglia Barresi ebbe cariche e ruoli assai importanti nel corso della travagliata storia di Sicilia. Quando Pietro d’Aragona sbarcò a Trapani (1282) per rivendicare la corona in nome della moglie Costanza, i Barresi Enrico e Giovanni divennero suoi alleati. Alla morte del re Pietro d’Aragona (1296), tra i suoi due figli, Giacomo e Federico, scoppiò una cruenta lotta per il potere; in questa occasione i Barresi, si schierarono con Giacomo dalla parte degli Angioini, mettendo a disposizione dei Francesi i propri castelli tra cui anche il castello di Pietraperzia, che si dimostrò un baluardo imprendibile. Federico d’Aragona mandò contro i Barresi i migliori capitani del suo esercito, ma il castello di Pietraperzia resistette egregiamente a tutti gli assalti fino a quando venne espugnato per fame da Manfredi Chiaramonte; i Barresi allora furono mandati in esilio.e le loro terre confiscate. Con la pace di Caltabellotta ha termine la guerra; con questo trattato la Sicilia fu lasciata a Federico II il quale sposò Eleonora, figlia del re Angioino che divenuta regina, fece riabilitare i Barresi che ottennero la restituzione dei loro beni. Cosi nel 1520, Abbo Barresi, figlio di Giovanni entrava di nuovo nelle grazie di Federico II rimpadronendosi del castello e delle terre che erano state confiscate al padre. Abbo Barresi abitò con la moglie a Pietraperzia ed iniziò la ricostruzione del castello. Alla morte di costui, l’edificio passò nelle mani del suo primogenito Artale, questi a sua volta lo diede al fratello Ughetto e cosi via di generazione in generazione.
Il maestoso Castello, che torreggia su una rocca addossata a Pietraperzia, fino ai primi anni del 1900 si era mantenuto quasi del tutto integro nelle sue diverse componenti architettoniche, poi vari terremoti e la colpevole incuria delle autorità competenti, lo ridussero a poco più di un rudere. Lo sviluppo del castello avvenne in tre fasi successive, e completato nel 1526 dal marchese Matteo Barresi. Il fronte nord, di 122 metri ed alto quattro piani, era suddiviso in tre distinte parti che rispecchiavano le diverse epoche di costruzione normanna, sveva e catalana. Numerosissime erano le finestre, alcune delle quali offrivano all’interno, accanto agli stipiti, due sedili in pietra che invitavano a sedersi ad osservare lo stupendo panorama delle valli sottostanti. L’edificio in origine racchiudeva un’area di circa 20.000 metri quadrati. Le mura si estendevano per 1.150 m ed in alcuni punti raggiungevano oltre 4 m. Lungo di esse si elevavano diverse torri e bastioni di cui non e rimasta traccia, ad eccezione dei resti di un torrione merlato detto "Corona del Re" e della Torre quadrangolare dell’ingresso, nonché di alcuni bastioni a sud e a nord. Al centro, accanto alla "Corona del Re", si erge il "mastio". Questa struttura doveva servire come ultima difesa, era situato sopra la cima del colle ed in parte era stato ricavato nella viva roccia, costituendo così un inespugnabile baluardo di eccezionale robustezza . La porta d’ingresso al castello era rivolta a mezzogiorno, quella del mastio a nord-ovest; ad esse si poteva accedere dal cortile interno tramite gradini ritagliati nella roccia. Sotto al "mastio" sono ancora visibili i gradini, ritagliati nella roccia, che portavano alle prigioni sotterranee, ed alla torre della "Corona del Re"a base ottagonale. Una leggenda vuole che le stanze del castello fossero 365, quanti sono i giorni dell’anno; elevate su quattro piani, quante le stagioni dell’anno, esso aveva 12 torri, tanti quanti sono i mesi».
http://www.comune.pietraperzia.en.it/introduzioneCastle.htm
Regalbuto (quartieri Saracinu e Sopra le Fosse)
«U Saracinu. Il quartiere "Saracinu" è situata nella parte nord-ovest del paese ed è uno dei quartieri più vasti di Regalbuto. Si chiama così perché fu il primo insediamento arabo di Regalbuto dopo lo distruzione di Rahal butahi. Esso è riuscito a conservare l'impianto urbanistico che gli diedero i soroceni nonostante le distruzioni subite durante la primo guerra mondiale. è rimasto, appunto, un paesaggio urbano molto ricco di stradine, vicoli ciechi, improvvise curve o gomito, cortiletti, scalinate, tutto un tessuto urbano che riporto od un modo di vivere molto diverso dall'attuale, ma che appartiene ancora al nostro retaggio. In questo quartiere c'era un grande pozzo da cui gli abitanti attingevano l'acqua con brocche, prima dell'arrivo dell'acqua potabile, chiamato “u puzzu do Saracinu”. Nelle abitazioni è possibile trovare dei “'forni a pietra" dove le famiglie del quartiere infornavano il pane e i dolci tradizionali. Supra i fossi. Una delle zone più antiche e caratteristiche dei paese è il quartiere cristiano “Sopra le Fosse” situato nella zona più alta del paese da cui è possibile godere un meraviglioso panorama: il lago Pozzillo e il centro storico a sinistra e la maestosa mole dell'Etna a destra. Il quartiere, ormai quasi disabitato, ha lo stessa struttura del quartiere Saraceno dove si intersecano stradine e vicoli ciechi. Cortiletti e scalinate conferiscono al rione un aspetto singolare. Testimonianza del passato rimangono le stalle dove si conservano ancora gli attrezzi dell'agricoltura, attività tipica della popolazione del luogo».
http://www.comune.regalbuto.en.it/quartieri.php#saracinu
ROSSOMANNO (castellazzo degli Uberti)
«Da Piazza Armerina si percorre la strada statale 117 bis in direzione di Enna sino al bivio Furma, superandolo in direzione di Valguarnera. A circa 100 metri dal suddetto bivio sulla destra si imbocca una trazzera dell’Azienda Forestale e, risalendo per circa 1 km, si sale verso la località di Rossomanno. Sulle verdi colline che compongono il sistema orografico di Rossomanno, tra Valguarnera e Piazza Armerina, forme di vita antica sono documentate in un vario snodarsi di sequenze cronologiche e culturali, dal VII secolo a.C. ad età medioevale (XIV secolo), epoca in cui l'abitato fu raso al suolo. Imponenti sono i ruderi esistenti, ricordati anche da Tommaso Fazello (1560) e i materiali archeologici che hanno motivato le recenti campagne di scavo, da cui sono scaturiti interessanti dati per un inquadramento preliminare della topografia dell'anonimo centro indigeno ellenizzato. Giungendo a Rossomanno dal suddetto bivio di Furma, si incontra dapprima la necropoli di Rocca Crovacchio, che ha consentito la messa in luce di deposizioni funerarie risalenti al VII-IV secolo a.C. e assai interessanti per i riti (“campi di crani” o deposizioni ad enchitrìsmos o ad incinerazione). Le tracce cospicue dell'abitato di età arcaica si trovano soprattutto sulla collina contigua, detta “Serra Casazze”, ma sparse sulle cinque colline sono tracce di abitazioni di età ellenistica e medioevale. La collina che da ovest ad est segue a Serra Casazza, è interessata da un imponente sistema di fortificazione, parzialmente delineato nella complessa articolazione di avancorpi e postierle che orlano anche l'antistante Cozzo Primavera. Nella acuminata sommità del Castellazzo, è una costruzione di età medioevale, probabilmente un torrione d'avvistamento, denominato “degli Uberti” dai signori del luogo. Un convento di monaci benedettini, nella estrema propaggine meridionale di Rossomanno, è ormai pressoché diruto come la basilichetta medievale di Serra Casazze».
http://www.archeoplatia.org/content/view/23/48
«Il Borgo Rupestre o Grotte di Sperlinga rappresenta un paesaggio architettonico naturale di notevole impatto. È costituito da diverse decine di grotte su file sovrapposte collegate da corridoi a cielo aperto. I vani abitativi sono interamente scavati nella roccia e misurano mediamente 2 o 3 metri per lato con una forma a parallelepipedo. Furono abitati continuamente fino al 1960 per essere abbandonati poco alla volta, l’ultima grotta fu abitata fino al 1985. Le grotte sono private tranne 6 che sono state acquisite dal Comune di Sperlinga nel 1982. Oggi, il Borgo Rupestre e le sue grotte, rappresentano la testimonianza di una Sicilia rupestre ricca di storia e ritrovati architettonici di notevole impatto emozionale. Le grotte acquistate dal Comune di Sperlinga fanno parte del percorso turistico. Al Borgo Rupestre vi si accede da piazza Castello per via Cortile e seguendo la scalinata scavata nella roccia che si snoda fino a raggiungere le "grotte museo". Un altro accesso ma in salita parte da via Arena, adiacente alla sede del Comune di Sperlinga. All’interno di ogni grotta vi è un forno per la panificazione, il focolare e alcuni semplici attrezzi legati alla civiltà contadina. L'arredamento risulta scarno ma funzionale. Alcune informazioni sono doverose: la temperatura interna alle grotte si aggira intorno ai 20/22 gradi durante tutto l'anno così da essere fresche d'estate e temperate d'inverno, l'ingresso della grotta è stato scavato tanto da permettere ai raggi solari di entrarvi dentro al tramonto e permettere una ionizzazione dell'ambiente».
http://www.castellodisperlinga.it/subpagina.php?idmenu=3&&idsubmenu=16
«Il complesso architettonico ha perso la sua integrità nel 1914 quando fu demolita la maggior parte delle fabbriche. Lo Stato di consistenza dei ruderi risulta buono in seguito al consolidamento degli anni ‘80. La chiesa è stata ricostruita nel 1995 e, attualmente, lavori in corso che prevedono la copertura di alcuni ambienti. Il castello non presenta planimetria unitaria né regolare. I molti corpi di fabbrica che lo costituiscono sono distribuiti su diverse quote. Presenta pianta oblunga di circa 200 m di lunghezza per 15 di larghezza; in cima alla rupe, alta circa 70 m dal calpestio di piazza Castello, le dimensioni del corpo superiore risultano alquanto ridotte (m 40 x 7 ca.). L’assetto strutturale, formato da opere murarie e ambienti rupestri evidenzia particolari e ricercate soluzioni architettoniche e costruttive capaci di sfruttare le preesistenti strutture rupestri e di farle coesistere con le opere murarie realizzate. Il corpo principale costruito direttamente sulla roccia come tutte le altre fabbriche, ha pianta rettangolare; in basso si trova un vestibolo con corridoi d’accesso e in prima elevazione le “stanze baronali”. Esternamente il corpo d’ingresso è caratterizzato da un lungo muro, in alcune parti munito di contrafforti e forato da una serie di aperture di epoche diverse poste nel secondo ordine. Sul prospetto principale che guarda la sottostante piazza è collocata la bifora citata di epoca trecentesca, due finestre e il portale di un balcone con stipiti e mensole in pietra riferibili agli interventi di ristrutturazione seicentesca. La parte ovest del castello ricorda la prua di una nave. Sul piano di calpestio roccioso si trova, nella parte posteriore, la chiesa formata da tre vani in successione secondo l’asse ovest-est. In origine l’asse doveva essere quello nord-sud; è presente infatti un altare con nicchia circolare posto di fronte l’ingresso attuale. Per la grande eterogeneità delle strutture e per la loro irregolare distribuzione spaziale, si descriverà di seguito partitamene ciascun elemento costitutivo. Attualmente l’ingresso al castello è caratterizzato da una rampa gradonata realizzata negli anni ‘70 con pietrame locale calcareo-siliceo. Si accede tramite una passerella in calcestruzzo che ha sostituito il ponte levatoio dell’edificio medievale di cui sul prospetto sono visibili le mensole di sostegno e le lunghe feritoie dove scorrevano gli argani. Oltrepassato il portale ogivale, vi è un primo vano con volta in pietra ricostruita recentemente (2000); segue un secondo vano coperto anch’esso da una volta di mattoni di cotto; la pavimentazione è ricavata direttamente sulla roccia.
Sul corpo dell’ingresso sono presenti due sale prive di copertura e di uno dei muri perimetrali. La sala più ampia è dotata di tre aperture poste sulla facciata sud, risalenti ai lavori di ristrutturazione del sec. XVII. La sala minore è decorata dalla bifora trecentesca posta sulla facciata che guarda il borgo. Alla stessa quota delle stanze ora descritte, scavate nella roccia, si estende per circa 100 m verso est un ambiente ipogeo con copertura piana; costituiva la cavallerizza del castello. Seguono le prigioni e infine due vani di servizio, un tempo abitazioni. Alcuni piloni di roccia che sostenevano la volta dell’ipogeo sono stati demoliti intorno agli anni ‘50 e in seguito sostituiti con pilastrini in blocchi di pietra intonacati. Nella parte mediana dell’ambiente si apre un corridoio che conduce all’esterno tramite la “porta falsa”. Accanto al luogo ove erano le celle della prigione si nota, ricavata nel masso, una cappa di aspirazione tronco-conica funzionale ad un focolaio. Le cisterne scavate nella roccia sono localizzate all’interno di una stanza che si affaccia sul cortile del castello. La raccolta delle acque meteoriche avveniva attraverso una serie di canalette di convogliamento. La chiesa posta sul lato ovest è stata interamente ricostruita sui suoi ruderi. Presenta una successione di 3 vani disposti secondo l’asse est-ovest; si notano tracce della pavimentazione seicentesca in formelle di terracotta smaltata dismessa in occasione della recente ricostruzione (1995). A fianco della cappella, sul lato ovest, sono collocati altri due ambienti, anch’essi ricostruiti: il primo presenta un accenno di scala ricavata all’interno del muro perimetrale, il secondo presenta due forni in pietra e terracotta e una serie di “fornelli”. Nell’ala ovest abbiamo ancora una serie di ambienti ipogeici comunicanti tra di loro, posti al di sotto del piano di calpestio. Nello spazio antistante la chiesa, sul piano di calpestio si notano dei fori, circolari alcuni, ellittici altri, protetti da ringhiere di ferro che corrispondono ciascuno ad un vano rupestre posto in basso. La parte più occidentale del castello è occupata da una serie di quattro sale con pavimento e parte dei muri perimetrali ricavati nella roccia, il resto edificato. Il primo ambiente, il più grande, presenta due fori che corrispondono ad altrettanti ambienti sottostanti scavati, presumibilmente, in epoche remote. Dalla seconda stanza si accede alla superiore terrazza tramite una scala in ferro».
http://www.iccd.beniculturali.it/medioevosiciliano/index.php... (da S. Lo Pinzino S., Sperlinga, in Castelli medievali di Sicilia, Palermo 2001, pp. 210-213)
Tavi (ruderi del castello o Castiddazzu)
«Questo rudere di castello è situato sul pizzo Castellaccio a meno di 2 km. ad ovest dell'abitato di Leonforte, a m. 543 s.l.m., sulla sponda destra del ramo superiore del fiume Dittaino (torrente Crisa) ed è raggiungibile mediante la strada provinciale Leonforte-Calascibetta. Forse esistente già nel periodo bizantino come avamposto fortificato della città di Henna, divenne in seguito un elemento di difesa sia per gli arabi che per i normanni. La sua data di costruzione non è precisabile. Del castello, comunque, si ha qualche traccia per la prima volta attorno alla metà del XII secolo. Nel 1497 prende investitura per Tavi Belladama, moglie di N. Melchiorre Branciforti e da questa data rimane feudo della famiglia fino all'abolizione della feudalità. Con la fondazione di Leonforte, il castello andò incontro alla distruzione, in quanto perdette ogni importanza cedendo le sue prerogative al palazzo Branciforti edificato in città. Di questo castello rimangono solo alcuni resti: una notevole cinta muraria che a tratti si confonde con la linea naturale delle rocce su cui il castello è ubicato, due grandi cisterne scavate nella roccia e un locale dalle medie dimensioni dotato di volta a botte lunettata».
http://www.comune.leonforte.en.it/Ufficio_Turismo/Guida%20ragionata/Escursioni/Castello_Tavi.htm
«Di questo grande complesso fortificato ben poco rimane: nella zona certo esisteva un edificio preesistente alla conquista normanna che si potrebbe attribuire ipoteticamente ad età greca per alcuni avanzi di mura a grandi blocchi squadrati sovrapposti senza malta, visibili sotto l'Ospedale di Sant'Andrea. Il castello sorgeva nell'area della cattedrale, compreso nel recinto fortificato esterno del complesso, cinto da mura turrite impostate sui cigli dei dirupi. Non sussistono tracce del castello medioevale documentabili nell’attuale configurazione, anche se alcuni storici ipotizzano che il campanile della cattedrale sia una torre superstite del castello normanno, rimaneggiata nel XVI secolo. Tale convinzione, se può essere sostenuta da una analisi tipologico-stilistica, non è però supportata né da documenti storici certi, né da uno studio scientifico di analisi condotto sulle murature. Uno studio metodologico, con rilievo dell’edificio e analisi stratigrafica e tipologica delle murature, potrebbe dare notizie sull’originale impianto medioevale. Si conserva inoltre memoria del nome di quattro porte della città: quella “di Ram” individuata all’estremità ovest della rocca, quella “del Bajuolo” rivolta a nord ed attigua al palazzo comunale, quella “del Paradiso” che doveva essere accanto alla cattedrale e, la quarta, quella “di San Nicola” documentata da Malaterra nel passo relativo al trasporto della salma di Giordano, figlio del conte Ruggero, per portam S. Nicolai».
http://www.iccd.beniculturali.it/medioevosiciliano/index.php?it/112... (da A. Accardi, Troina, in Castelli medievali di Sicilia, Palermo 2001, pp. 214-15)
Troina (mulini ad acqua medievali)
«Nell'ambito dell'attuale territorio di Troina e località limitrofe ad esso, si possono osservare, ancora oggi, una serie di edifici che, un tempo, costituivano le strutture deputate alla molitura del grano e dei cereali in genere. Tali opifici, alimentati dall'acqua fluviale o di sorgente, per tipologia e caratteristiche strutturali, risalgono quasi tutti al periodo medievale; in effetti, la struttura ed il funzionamento dei mulini ad acqua dei secoli XIV e XV non differiva di molto da quelli presenti nei secoli successivi, fino alla loro scomparsa avvenuta, definitivamente, subito dopo il secondo conflitto mondiale quando l'energia del vapore prima e l'elettricità dopo, sostituiranno definitivamente quella idraulica. Da indagini topografiche effettuate in tutto il territorio, è emerso che buona parte di questi edifici si trova ubicata lungo il fiume Sopra Troina, al confine nord Troina-Cesarò, a pochi chilometri dal centro abitato. Una menzione di mulino ad acqua, presente già nel medioevo, si riscontra in un diploma normanno del 1082, riferito alla Chiesa di Troina, alla quale il Conte Ruggero, con il ripristino del vescovato, assegna dei possedimenti. Nell'elenco dei beni, infatti, figura un mulino, del quale si sconosce il luogo dove potesse sorgere, e dieci villani: "et decem villanos in Civitate Troinae, et unum molendinum in flumine...". La tradizione orale identifica questo mulino con un rudere sito in contrada Amoruso. Idrisi, viaggiatore arabo del XII sec., nel descrivere i fiumi presenti nel territorio di quest'area, accenna alla presenza di mulini idraulici. Per una documentazione e descrizione più chiara e completa dei mulini presenti nel territorio di Troina, bisogna giungere al XIV secolo. Da documenti riguardanti un certo Filippo de Samona, proprietario di terreni e di mulini nel vasto territorio troinese, si possono ricavare alcuni spunti sulla ubicazione e conduzione degli stessi opifici. In tali documenti, oltre ai tenimenta terrarum posseduti dal de Samona, vengono citati diversi mulini collocati lungo la fiumara di Troina, detta flomaria magna, lungo il corso, cioè del fiume Sopra Troina: Mulino di contrada Torre, Mulino di contrada de Barda, definito molendinum magnum, Mulino di contrada de Ponte e Mulino di contrada Chappas de Franco; per quest'ultimo viene citata pure una torre, una casa ed un fondaco. ... Dei mulini ad acqua, esistono ormai solo dei ruderi: l'unico elemento strutturale ancora visibile è l'acquedotto».
http://win.lafrecciaverde.it/n72/articolo4/articolo4.htm (a cura di Nicola Schillaci)
Villarosa (palazzo Ducale dei Notarbartolo)
«Costruito nel 1762 per volere del Duca Notarbartolo, era inizialmente una residenza di campagna, successivamente e sino ai primi dell’Ottocento vi fù dislocata la civica amministrazione feudale. L'edificio figura tra le prime abitazioni civili di Villarosa. Costruito prospiciente alla piazza centrale, quasi in asse alla facciata della Chiesa Madre, proprio a rappresentare schematicamente la ben definita posizione tra il potere feudale e quello ecclesiale e il ruolo di predominio sul territorio e i suoi abitanti. Attualmente l'antico palazzo nobiliare non gode di buona salute, fatiscente, tanto da essere ormai da tempo dichiarato inagibile, al punto, da rendersi necessaria una vera e propria puntellatura del prospetto principale con tubi innocenti, quella che un tempo era il centro della potestà feudale a Villarosa, avendo ormai perso ogni splendore, ogni pregio, privo di qualsiasi attrattiva, sembra attendere ormai con mestizia l'inevitabile crollo (a meno di un urgente intervento di restauro)».
http://rete.comuni-italiani.it/wiki/Villarosa/Palazzo_Ducale
Zeno (fortilizio non localizzabile)
«Fortilicium Zeno, non localizzato con esattezza ma da porsi verosimilmente presso Agira. Il fortilizio è attestato unicamente alla metà del XIV secolo. Da Cosentino (1886) apprendiamo che nel 1355 (nov. 3) re Federico IV ingiunge all'universitas di Agira di assegnare, come già ordinato dal defunto re Ludovico, una certa somma di denaro a Ruggero Pernici di Aidone il quale aveva restituito all'universitas il fortilicium chiamato Zeno già occupato dai nemici della corona».
http://www.castelli-sicilia.com/links.asp?CatId=73
©2012