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LA CASA EDITRICE

Gabriella Piccinni, I mille anni del Medioevo, Bruno Mondadori editore, Milano 1999.

Questo manuale, con un linguaggio piano e diretto, insegna a differenziare le molte facce del Medioevo, a districarsi in mezzo alle opinioni di storici che illustrano diversamente medesimi fenomeni, a sfatare una lunga serie di luoghi comuni distinguendo il Medioevo della fantasia, della letteratura, quello proposto dai mezzi della comunicazione di massa da quello della realtà, a rimediare ai diffusi errori di prospettiva riconoscendo i differenti significati che, se riferite al passato, assumono, rispetto ad oggi, parole come libertà, democrazia, crociata, borghese: a prendere coscienza che passato e presente non sempre si somigliano.
La narrazione degli eventi è condotta partendo dalle fonti documentarie, narrative e archeologiche, segue un andamento cronologico e si concentra sul continente europeo e le aree che con esso sono entrate in relazione, quelle sulle quali si era dispiegata la civiltà latina antica, punto di riferimento concettuale per la nascita stessa dell’idea di Medioevo.

ANDREA ZORZI

 

I mille anni del Medioevo

 

di Gabriella Piccinni

 

 

   

Negli ultimi anni si assiste a una vera e propria proliferazione editoriale della manualistica di livello universitario, anche in ambito storico, e medievistico in particolare. Anticipando le profonde riforme dei percorsi didattici che, in un quadro non sempre chiaro e privo di incertezze, attendono ancora la loro attuazione, la pubblicazione sempre più intensa di guide, manuali, sintesi introduttive, antologie di fonti, è un segnale del crescente disagio in cui versa la didattica universitaria italiana, e di quella delle discipline umanistiche in particolare, stretta, come appare, tra la crisi scolastica della formazione secondaria superiore e le esigenze di periodico aggiornamento degli strumenti di base alle più recenti acquisizioni della ricerca. In questo panorama, il manuale pubblicato da Gabriella Piccinni si caratterizza per alcuni elementi di originalità.

Il "Lettore Modello" è programmaticamente individuato nello "studente al suo primo ingresso in un'aula universitaria dove si tiene una lezione di storia medievale" (p. XV). Uno studente la cui idea di Medioevo - ritiene l'A. - non appare per nulla neutra, ma latrice di un confuso concentrato di fantasie eroiche e di luoghi comuni acquisiti attraverso i mezzi di comunicazione di massa (il Medioevo della fantasia, della letteratura, del cinema, della televisione e ora - aggiungerei - della stessa internet) e ormai preponderanti rispetto alle nozioni e alle conoscenze sul passato che dovrebbe impartire una scuola, viceversa, sempre più sbilanciata sull'insegnamento del Contemporaneo. Si tratta - in una significativa convergenza tra studiosi di orientamento e di gusti storiografici diversi - di quello stesso Medioevo di streghe, cavalieri e orde selvagge che anche Giuseppe Sergi, nel recente profilo su L'idea di Medioevo. Tra senso comune e pratica storica, Roma, Donzelli, 1998 (e in contributi risalenti agli anni ottanta), ha individuato come il sempre più diffuso modello culturale con il quale gli storici del Medioevo devono crescentemente confrontarsi, in primo luogo nella loro funzione di docenti.

Da qui la scelta dell'A. di puntare a sfatare quei luoghi comuni attraverso una combinazione - felice negli esiti - di forte attenzione alla documentazione e all'ambiguo significato che hanno assunto oggi parole-chiave come "libertà", "crociata", "borghese", etc., e di discernimento tra le diverse posizioni interpretative degli studiosi, il cui richiamo si intreccia spesso all'esposizione degli eventi. La trama è quella - ortodossa nella manualistica - della narrazione cronologica degli eventi, ma questi "mille anni del Medioevo" sono assunti come un lungo periodo dalle molte facce e interpretati nella pluralità delle componenti, e non in una chiave predominante - come è invece, per esempio, in un altro recente strumento di base quale il Dizionario enciclopedico del Medioevo, diretto da André Vauchez e Claudio Leonardi (Roma, Città Nuova, 1998-1999, 3 voll.), che privilegia, nella scelta delle voci, l'Europa delle cristianità medievali e dei popoli dell'Oriente che vennero con esse in contatto, a scapito degli aspetti economici e sociali e, sostanzialmente, anche delle istituzioni politiche.

Le aree prese a riferimento sono qui invece l'Europa e le regioni mediterranee e orientali entrate in relazione con i popoli del nostro continente, quelle cioè su cui si era dispiegata la civiltà latina antica, punto di riferimento concettuale per la nascita stessa dell'idea di Medioevo. L'esposizione della storia dei mille anni "segnati dall'appannarsi degli antichi splendori" (p. 3) è articolata in cinque partizioni cronologiche che rispecchiano, con un certo equilibrio, i vari periodi presi in esame.

La prima parte (pp. 1-57) - Alle origini del Medioevo (III-VIII secolo) - prende l'avvio dall'età tardo antica per illustrare in cinque capitoli la crisi del mondo romano (III-V secolo), l'enuclearsi di un'Europa multietnica dei romani e dei barbari (V-VI secolo), la propagazione del cristianesimo e delle prime Chiese, la continuità imperiale latina nelle fogge orientali di Bisanzio (V-VII secolo), e la nascita di due Italie, longobarda e bizantina (VI-VIII secolo), e si conclude sulla scelta della Chiesa di Roma di legare il proprio destino all'Europa dei franchi. I riferimenti ai perduranti dibattiti storiografici sulla crisi tardo antica e sulla periodizzazione, sono parchi e risolti, semmai, nell'attenzione alle differenti cronologie e in una trama di continui richiami alle acquisizioni che vengono ora, crescentemente, dall'archeologia.

La seconda parte (pp. 59-138) - L'Islam in espansione e l'Europa feudale - si articola invece in tre capitoli cronologici e due tematici. Nei primi, la sintesi muove dal sopraggiungimento degli arabi nelle aree dei grandi imperi bizantino e sassanide, e dalla ridefinizione politica e religiosa dell'Oriente fra Bisanzio e l'Islam (VI e X secolo), per poi analizzare la svolta romano-germanica dell'Europa carolingia (VIII-IX secolo) e le ultime invasioni fino alla rinascita germanica dell'Impero degli Ottoni (IX-X). Qui il richiamo storiografico centrale è alla nota tesi di Henri Pirenne nel suo Maometto e Carlomagno, e alla rivisitazione interpretativa che ne ha dato Giovanni Tabacco, sottolineando la libertà d'azione di cui godettero i franchi nel vuoto politico generato dal ritirarsi di Bisanzio di fronte all'invasione musulmana. Il capitolo successivo è dedicato alla società feudale, ed è uno dei più riusciti nell'intento dell'A. di intersecare ai temi classici di ogni manuale argomenti emersi nella ricerca più recente: espliciti sono pertanto i riferimenti alle questioni storiografiche relative al concetto di nobiltà (muovendo dalla discussione della nota tesi di Marc Bloch), alla costruzione del sistema feudale (nella teoria della società che Georges Duby ha definito come "specchio del feudalesimo"), alla pluralità delle esperienze feudali (dalle aree mediterranee a quelle dell'Europa del nord), alla diffusione dell'incastellamento (col richiamo del modello elaborato da Pierre Toubert e poi vagliato dalle ricerche archeologiche degli ultimi anni), all'attenzione a distinguere il sistema feudale da quello dei poteri signorili. L'ultimo capitolo è invece dedicato alle continuità e alle sperimentazioni dell'Occidente europeo: l'Europa delle curtes, e quella delle grandi aziende e delle piccole proprietà, ma anche l'Europa "senza città", dalla contrazione del commercio ai primi segni di ripresa.

La terza parte (pp. 139-248) - La crescita dell'Occidente (XI-XII secolo) - è la più ampia dell'intera sintesi, e quella in cui emergono con nettezza gli interessi storiografici e le scelte interpretative dell'A. Degli otto capitoli che la compongono, ben quattro sono dedicati alle "svolte" che si produssero intorno al Mille: la crescita demografica (di cui si richiamano le difficoltà a individuarne le cause); l'espansione agraria e i diffusi miglioramenti delle tecniche agricole (in paragrafi in cui si dispiegano le competenze specialistiche dell'A.); i nuovi rapporti di proprietà e di potere nelle campagne (con un'efficace esemplificazione, anche grafica, sulle ricerche archeologiche e storiche condotte in anni recenti sul castello di Rocca San Silvestro nella Maremma pisana dei Della Gherardesca); la rinascita della vita urbana (con una ricognizione delle discussioni del concetto di città e del termine "borghese"); il rilanciarsi dei commerci, per vie d'acqua e di terra, nel Mediterraneo e nel nord dell'Europa, attraverso lo snodo delle fiere di Champagne (che assume con sicurezza la convenzionalità della dizione di "rivoluzione commerciale" coniata da Roberto S. Lopez). Alle evoluzioni politiche sono invece dedicati due asciutti capitoli: l'uno alle autonomie cittadine, e alla nascita dei comuni in area Provenzale e nell'Italia del nord e del centro; l'altro ai regni e agli imperi, a partire dalla scansione introdotta dai normanni, a mezzo il secolo XI, in Inghilterra e nel Mezzogiorno d'Italia, per finire con il generale rafforzamento delle istituzioni monarchiche.

Gli ultimi due capitoli sono invece i più originali, per il taglio che li caratterizza, e meritano una riflessione specifica. Nel primo, l'A. interpreta nella chiave culturale delle "grandi idee universali", sia le inquietudini spirituali che portarono al rinnovamento dell'esperienza monastica e alla riforma gerarchica della Chiesa, sia il progetto di restaurazione dell'autorità imperiale avviato dal Barbarossa. Non può non colpire, la scelta - senz'altro originale in ambito manualistico - di non dedicare un capitolo specifico ma di risolvere in non più di una dozzina di pagine l'illustrazione della riforma della Chiesa nel contesto più ampio della rinascita culturale che nel secolo XII avrebbe visto ritrovare un ruolo agli intellettuali. Non, dunque, un capitolo intero, a fronte invece, nelle parti successive della sintesi, di capitoli dedicati alla Chiesa teocratica di Innocenzo III, al cristianesimo evangelico degli ordini duecenteschi, ai fermenti della cristianità tra Tre e Quattrocento. È questo il segno più evidente non solo della laicità di visione che caratterizza questa sintesi - in cui al cristianesimo è riconosciuto il ruolo di strumento tra i principali della costruzione dell'identità politica e culturale delle società medievali in cui si diffuse, mentre la Chiesa e le chiese sono analizzate innanzitutto in quanto istituzioni di potere -, ma anche della gerarchia di importanza che l'A. ha inteso riconoscere agli eventi e ai fenomeni del millennio. Lo scarto, anche rispetto alla manualistica più recente, è evidente. Basti pensare - per restare nel campo dell'editoria laica - al capitolo riservato a Il papato: riforma, primato e tentativi di egemonia nel manuale a più voci di Storia medievale della Donzelli (Roma, 1998: l'autore della 'lezione' è Glauco M. Cantarella).

Elementi di originalità caratterizzano anche il taglio assunto nell'ultimo capitolo della terza parte - significativamente titolato: In partibus infidelium -, che è attento a riprendere i risultati delle ricerche più recenti. Il tema delle crociate non vi è risolto quale aspetto dell'espansione della cristianità, come in altri manuali - per tutti, in Giovanni Tabacco e Grado G. Merlo, Medioevo, V-XV secolo, Bologna, Il Mulino, 1981, pp. 366-379 -, ma ricondotto a un campo più ampio di relazioni culturali tra le religioni monoteistiche che riconoscono in Gerusalemme la città santa. Ecco allora affiancati, sul piano espositivo, l'Occidente percorso da incessanti fenomeni di pellegrinaggio e da fiammate di antigiudaismo, e l'Oriente musulmano in sommovimento, al cui interno si venne rapidamente formando l'Impero selgiuchide, come fenomeno di acculturazione islamica da parte delle tribù turche. L'A. affronta così la questione storiografica dell'idea di crociata e delle interpretazioni datene dagli storici, sottolineando l'attualità del tema. Un bel paragrafo, dedicato all'antigiudaismo e alla storia degli ebrei riconduce - in fine, e improvviso - il percorso del sapere dal passato medievale alle atrocità del Novecento.

La quarta parte (pp. 249-357) - "L'età d'oro": il Duecento e il primo Trecento - è invece la più articolata (dieci capitoli) quanto anche la più concentrata temporalmente. Lo spazio dedicato a poco più di cento anni di storia, e il titolo stesso conferito alla loro trattazione, esprimono anch'essi una valutazione interpretativa: è questo secolo lungo a segnare, secondo l'A., l'apice dello sviluppo della storia medievale. Sono così ripresi gli aspetti della crescita delle città (una crescita anche culturale, come segnala un paragrafo dedicato allo sviluppo delle università), delle campagne (con la stagione dei nuovi contratti agrari) e dei commerci (è l'età del banchiere mercante e del primato italiano, oltre che della nuova cosmologia dell'aldilà, con la comparsa del Purgatorio studiata da Jacques Le Goff), che giungono al loro massimo sviluppo. Due capitoli giustappongono poi l'apogeo del potere monarchico del papa (che si nutrì anche dell'estensione del concetto di crociata, dell'avvio della repressione sistematica del dissenso ereticale, e delle persecuzioni degli ebrei), alle inquietudini, agli ideali di povertà e ai fermenti di rinnovamento che continuavano ad attraversare la società cristiana, e che si incanalarono nel cristianesimo evangelico di Domenico di Guzmán e di Francesco e di Chiara di Assisi, e nell'attività degli ordini mendicanti. Al tramonto dell'Impero, incarnato dall'ultima grande figura di Federico II, logorato dal conflitto col papato e con i comuni italiani, fa invece da contraltare l'ascesa delle monarchie europee, che ora assumono un carattere nazionale (un'altra parola di cui l'A. richiama le ambiguità). Un ampio capitolo è poi dedicato alle "tante Italie" che fiorirono nel corso del Duecento (a cominciare dal pluralismo politico dei comuni, delle signorie e dei regni), con pagine, non usuali nella manualistica, dedicate anche alle attività di servizio in città, e al lavoro delle donne (che conobbe proprio allora un primo riconoscimento). Completano la sezione - intessuta quasi in ogni capitolo da una trama di richiami alle interpretazioni storiografiche classiche e alle ricerche più recenti (il cui sviluppo impetuoso negli ultimi decenni ha caratterizzato la storiografia medievistica) - una ricognizione evenemenziale dei grandi mutamenti politici di fine secolo, una finestra sui mondi esterni (l'agonia di Bisanzio, l'ascesa dei turchi ottomani, e l'unificazione dei popoli asiatici per opera dei mongoli, che favorì i contatti con l'Occidente cristiano), con un bel paragrafo dedicato alla scoperta dell'Asia da parte dei primi mercanti italiani, e le pagine che annunciano la "crisi" demografica, economica e sociale del secolo XIV.

La quinta e ultima parte (pp. 359-434) - La "fine" del Medioevo: il Tre e Quattrocento - accompagna in sei brevi capitoli il lettore verso la "fine" del Medioevo, che l'A. individua nella generale ripresa (demografica, agricola, urbana) che dalla metà del secolo XV invertì le tendenze negative avviate nella prima metà del XIV. Riemergono anche in questa sezione, nella gerarchia espositiva e nell'approfondimento storiografico, le opzioni interpretative dell'A. Alla crisi demografica del Trecento, e alle tensioni sociali che si aprirono nelle città e nelle campagne, è dedicato il capitolo d'apertura, che si chiude con un ricco bilancio delle discussioni storiografiche che hanno interpretato il tema sin dagli anni trenta del Novecento. I fermenti della cristianità che caratterizzarono il passaggio tra Tre e Quattrocento, dalle eresie costitutive delle nuove identità nazionali (Wyclif e Hus) allo scisma della Chiesa d'Occidente, fino all'avvio della caccia alle streghe (un tema che l'A. enuclea a dignità di paragrafo, ponendo la questione della misoginia), sono poi anteposti al capitolo dedicato al consolidamento delle istituzioni politiche europee in senso monarchico e statale (e in cui la dibattuta questione della genesi dello Stato moderno, che pure ha dato luogo a posizioni storiografiche spesso contrapposte, con importanti riflessi sul presente, è sostanzialmente taciuta). All'Italia alla fine del Medioevo è infine dedicato - prima dell'ultima finestra sulle aree orientali e asiatiche e le pagine di congedo sulla fine del periodo - un capitolo forse tra i meno riusciti, che alterna una succinta descrizione delle evoluzioni politiche a una dettagliata descrizione del processo di produzione di tessuti di lana a Firenze, un richiamo al "sistema dell'equilibrio" a un esiguo paragrafo sull'Umanesimo e il Rinascimento.

Corredano il volume, un'appendice bibliografica, l'indice dei nomi, e un corredo cartografico. La Bibliografia (pp. 435-454), condotta in forma ragionata e aggiornata alle pubblicazioni anche recentissime, è ben equilibrata tra esigenze di informazione e suggerimenti per approfondimenti. Un neo vistoso è costituito invece dalla carte (19, molto schematiche, alcune approssimative), che non appaiono all'altezza del testo. È questa, d'altra parte, una delle caratteristiche della nostra editoria (come riflesso, per altro, della stessa storiografia), che sottovaluta spesso l'importanza euristica della cartografia storica e dell'analisi spaziale dei territori. Il contrasto è particolarmente evidente, per esempio, al confronto tra le accurate carte della rete urbana italiana, tratte dal volume di Maria Ginatempo e Lucia Sandri (L'Italia delle città. Il popolamento urbano tra Medioevo e Rinascimento, secoli XIII-XVI, Firenze, Le Lettere, 1990), e qui riportate alle pp. 428-430, e la sostanziale inutilità di carte redatte invece al modo della n° 19 (L'Italia nel XIV secolo). L'indice dei nomi rivela infine l'ambizione di sguardo e la poliedricità di interessi dell'A.: accanto ad Artù si trova anche Bob Dylan, accanto a Giovanna d'Arco ecco Roberto Rossellini e Carl Theodor Dreyer, mentre Carlo Collodi è richiamato nella stessa pagina di Giovanni Boccaccio, insieme a Pinocchio e Calandrino. Una curiosità: il primo personaggio citato nella sintesi è Romolo Augustolo (p. 8), l'ultimo Topolino (p. 434). Solo una coincidenza, o un allusione alla statura dei personaggi che sembrano incorniciare l'epopea medievale?

I mille anni del Medioevo di Gabriella Piccinni è dunque una sintesi che ha il pregio della non neutralità interpretativa, esplicita nelle scelte e sicura nell'esposizione. Vi traspaiono gli interessi storiografici dell'A. per la storia demografica, economica e sociale, per quella delle campagne e delle città, per gli aspetti materiali della vita quotidianità, e per la storia della mentalità e delle donne - per la storia, vale a dire, della "gente viva e concreta che ha popolato le città, i castelli, i villaggi e i campi dell'Europa medievale" (p. XVI). Aspetti, questi ultimi, che, in un manuale, assumono ancora caratteristiche di originalità. Ma le predilezioni dell'A. non vanno a scapito dell'esposizione degli altri temi. La materia, come si è cercato di illustrare, è organizzata con sistematicità e coerenza cronologica, la sua presentazione segue un'impostazione problematica. È questa, dunque, una sintesi destinata a sicuro successo - anche per il linguaggio piano e diretto con cui è scritta - per un approccio iniziale, chiaro e criticamente fondato, allo studio del millennio medievale. E che si candida autorevolmente a diventare uno dei manuali di riferimento per la didattica di base nei percorsi riformati della futura formazione universitaria.

Andrea Zorzi

 

 
  LA CASA EDITRICE
 
  Nuova edizione del volume: Il Medioevo, Bruno Mondadori editore, Milano 2004.
 
  Il manuale non è sempre simpatico agli studenti che lo devono studiare. Questo testo, sufficientemente agile e per questo adeguato alla nuova didattica universitaria, insegna la storia medievale con un linguaggio piano, diretto e piacevole, portando all’interno della narrazione donne e uomini, anziani e bambini, dotti e ignoranti, signori e contadini, re e sudditi, santi ed eretici. Vale a dire la gente viva e concreta che ha popolato le città, i castelli, i villaggi e le campagne dell’Europa medievale. Il Medioevo ha molte facce e questo manuale insegna anche a districarsi in mezzo alle opinioni di storici che illustrano diversamente medesimi fenomeni, a distinguere il Medioevo della fantasia, della letteratura e quello proposto dai mezzi della comunicazione di massa da quello della realtà, a prendere coscienza che passato e presente non sempre si somigliano.
 
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