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       LA MEMORIA DIMENTICATA

a cura di Teresa Maria Rauzino



Corsa contro il tempo per recuperare i nastri che stanno scomparendo. Le nastroteche private chiedono fondi per i restauri. Appello di Giovanni Rinaldi: «Il territorio di Capitanata risulta sempre il più ricco, ma, come sempre, il più disastrato per la mancanza di attenzione da parte di Enti e Istituzioni». Eppure anche Giovanna Marini ha affermato che: la perdita di questi archivi corrisponde «al bombardamento di un museo».

  

Centinaia di canti contadini scolorano. Il tempo cancella le voci da vecchi nastri magnetici come un affresco del quale, tra poco, non si distingueranno profili. Accade negli archivi musicali privati costruiti generosamente dagli anni Settanta in poi da ricercatori che hanno percorso la Puglia registrando e annotando la memoria. Appunto. L'esercizio della memoria è gravoso in una regione che, spesso, sembra temerlo. Eppure, ha avuto in dono una tradizione musicale (difficile trovarne di così riconoscibili nelle altre arti) costruita dal popolo, di voce in voce, di decennio in decennio. 

«Tra cinque o sei anni sparirà tutto», denuncia il foggiano Giovanni Rinaldi. Il suo archivio può essere considerato tra i più imponenti, frutto di un'accuratissima ricerca sul campo condivisa con Paola Sobrero tra il 1974 e il 1980 in 23 comuni dell'area del Tavoliere (Gargano, Subappennino Dauno e Capitanata). Lavoro prezioso in una zona che lo è altrettanto per il conflitto di classe nelle campagne dal quale fu percorso all'inizio del Novecento e, poi, negli anni Cinquanta. 

La ricerca contiene un repertorio di canti politici e sociali, anarchici, religiosi e di pellegrinaggio, fino ai canti della comunità albanese. «Abbiamo fatto un lavoro pionieristico che trent'anni fa si è servito di sistemi di registrazione all'avanguardia - spiega Rinaldi- solo per questo ne rimane una traccia apprezzabile, ma la qualità dell'audio si è già dimezzata. Il nostro lavoro è stato sottovalutato e, adesso, andrebbe assolutamente salvato. Ma in Puglia nessuno sta ad ascoltarci». Per il momento, a tendergli la mano è stata la Cgil nazionale. «Certo, gli enti locali mi hanno sostenuto quando si è trattato di organizzare eventi come lo spettacolo Braccianti o il progetto di un documentario con Alessandro Piva, ma il problema è più complesso. L'interesse non è paragonabile a quello che ha suscitato il movimento salentino».

Difficile conservare i materiali (che spesso sono fotografici, come le due immagini che pubblichiamo in questa pagina, e video). Difficile farli pubblicare. La situazione riguarda anche altri archivi fondamentali, come quello su centinaia di canti polivocali salentini registrati da Luigi Lezzi negli anni Settanta, all'inizio di quel folk revival, ispirato da Rina Durante, che portò da queste parti ricercatori appassionati, come Giovanna Marini, sulle tracce dell'importante lavoro di recupero compiuto a partire da metà anni Cinquanta da Alan Lomax, Ernesto De Martino e Diego Carpitella. Sempre Lezzi ha continuano a recuperare canti per tutti gli anni Ottanta.

Sulla tradizione dell'organetto di Villa Castelli, nell'alto Salento brindisino, hanno compiuto ricerche Gian Domenico Caramia e Mario Salvi. Del problema degli archivi abbandonati si occupano in Salento personaggi come Luigi Chiriatti che da qualche anno ha preso a pubblicare autonomamente le registrazioni con l'etichetta Kurumuny. Lo stesso fa Roberto Raheli con l'etichetta Aramirè o Salvatore Villani, in Gargano, con l'associazione Taranta.

«Mentre si spendono centinaia di migliaia di euro per i grandi eventi nessuna istituzione s'impegna a recuperare e rendere fruibili al pubblico gli archivi sonori, un patrimonio inestimabile che senza un progetto organico di salvaguardia rischiano di andare perduti», denuncia l'operatore culturale Vincenzo Santoro, esperto di musica tradizionale. «Che ne pensano di questo piccolo problema i candidati alle elezioni regionali? Perché in altre regioni, come il Piemonte, esistono leggi regionali che sostengono la musica popolare con la creazione di archivi e il sostegno alla ricerca e alle pubblicazioni?», si chiede Santoro.

Difficile da immaginare possibili risposte e, forse, più facile mettersi all'ascolto di questi meravigliosi canti che parlano di noi con la più grande schiettezza possibile. E, alcuni dei più antichi, non sono conservati in Puglia. Sono dall'altra parte dell'Oceano, in America, nella Alan Lomax Foundation, ad esempio, pubblicati recentemente nel volume sul Salento dedicato dalla collana Italian Tresury del celebre folklorista. La Puglia si ascolta anche negli archivi dell'Istituto Ernesto De Martino di Sesto Fiorentino, in quello di Roberto Leydi in Svizzera o nell'archivio dell'Accademia di Santa Cecilia, come nella Discoteca di Stato e nelle Teche Rai. Bisognerà recuperare e catalogare anche la memoria lontana. Prima o poi.

 

L´intervista (di A.G.)

La cantautrice Giovanna Marini: «Ho iniziato dal Gargano e dal Salento. Sono melodie imperdibili».

Giovanna Marini, perché nel '68 scelse la Puglia per cominciare la sua ricerca musicale sul campo?

«Incontrai il mio amico Diego Carpitella al Conservatorio di Roma e gli manifestai la mia intenzione. Fu molto chiaro. La prima cosa da fare, mi disse, è andare assolutamente sul Gargano e in Salento. Aveva ragione, ho trovato un patrimonio incredibile, in quegli anni quasi completamente inesplorato».

Cos'ha di speciale?

«Musicalmente la Puglia è una regione che fa parte di una linea che parte da Benevento e arriva a Lecce. Lungo questo tracciato si trovano alcuni dei più singolari motivi melodici italiani. Senza contare l'impressionante caso della musica terapeutica, composta di pizziche e tarantelle, davvero unica in Italia. Si va dal Gargano con i brani di Andrea Sacco ripresi da Roberto De Simone, al Salento che ha una doppia lingua (il salentino e il griko) e, soprattutto, contempla l'utilizzo di una scala rovesciata come nei modi musicali greci. Particolare, questo, che interessa molto i musicisti».

Da queste parti c'è il reale rischio che alcuni importanti archivi privati vadano perduti.

«Ma scherziamo? Non si può, è come bombardare un museo. Il documento musicale fa meno impressione se rischia di andare distrutto ma è altrettanto importante. Sembra meno grave perché non lo si conosce. La Pietà di Michelangelo è paragonabile al bellissimo canto "Lu povero Antonuccio", bisognerebbe cominciare a capirlo».

Occorre, dunque, maggiore divulgazione.

«Assolutamente sì. Se tutti sapessero il valore delle testimonianze griderebbero allo scandalo. Non è possibile anche perché stiamo parlando di una sorgente di studi destinata a chi deve scrivere altra musica dopo. A chi ci si dovrebbe rivolgere per ispirarsi se non ai padri? È un passaggio fondamentale che non va in alcun modo trascurato».

  

  

  

©2005 Antonella Gaeta, “la Repubblica”, 3 marzo 2005, pagina XI - Bari Cultura.

     


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