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       LA MEMORIA DIMENTICATA

a cura di Teresa Maria Rauzino


 


La copertina del volume.

      

Concretizzare uno studio sui costumi e sugli usi delle famiglie aristocratiche o borghesi può assumere una configurazione preponderante nel corollario della specialistica del settore, attraverso l’analisi capillare dei documenti e dei manufatti appartenuti ad una o più famiglie.

è con quest’obiettivo che Maria Pia Pettinau Vescina e Roberta Orsi Landini, autrici del volume intitolato Segni di storie private. Segni di storia. Abiti a Palazzo Jatta (Claudio Grenzi Editore, Foggia 2005, pp. 104, ill. b/n e colori, euro 35,00), hanno deciso di concretizzare la loro idea, guardando l’apparato manifatturiero presente nel Palazzo Jatta in Ruvo di Puglia da ogni angolazione, da esperte di storia del tessuto e del costume, con all’attivo un bagaglio di conoscenze che parte dall’Ateneo leccese per la prima, da Palazzo Pitti di Firenze per la seconda.

In quarta di copertina si legge: «La famiglia Jatta di Ruvo di Puglia, residente nell’omonimo palazzo, noto per le straordinarie collezioni del suo museo archeologico privato, oggi Museo Nazionale, custodisce un nucleo tessile di vesti maschili e femminili, accessori di moda e arredi collocabili tra il XVIII ed il XX secolo, provenienti dalle famiglie Jatta e Bonelli.

Gli esemplari settecenteschi, perfetti ed intatti (alcuni dei quali mai indossati), testimoniano della ricercata eleganza del costume aristocratico in Puglia e nell’Italia meridionale, e di una raffinata tecnica sartoriale che coniugava i dettami dell’ultima moda con accorgimenti e peculiarità che li caratterizzano nel coevo panorama internazionale di riferimento al quale essi vanno comunque stilisticamente assimilati.

Il libro vuole essere un’indagine, lungo il filo della storia delle due famiglie, che ricostruisce possibili rapporti tra cose e personaggi; piacevole per un pubblico colto e curioso, utile per gli specialisti che possono al contempo usufruire di schede tecniche analitiche e approfondite».

Abito femminile, 1765-1770, Uggiano la Chiesa, chiesa di Santa Maria Maddalena.

Ma perché proprio Palazzo Jatta diventa teatro di uno scenario inconsueto d’arte e tradizione? La famiglia Jatta, i cui esponenti fecero parte della borghesia pugliese delle professioni, furono collezionisti d’opere d’arte, di reperti archeologici, in massima parte ceramiche vascolari di provenienza apula, attinti ad un bacino che interessa l’area di Ruvo di Puglia, Canosa, Egnatia, Gravina e la Puglia messapica.

Il possesso di tali e tanti reperti farà sì che la famiglia possa aprire un museo nella stessa città che per generazioni ha visto i suoi esponenti tra i governatori.

Ma al di là di quello che la famiglia Jatta ha rappresentato per Ruvo di Puglia, c’è il fatto che oggi il Palazzo, che ospita il Museo, fatto edificare nel 1840 su progetto dell’arch. Luigi Castellucci (1798-1877), progettato con l’intento di essere adibito a sede museale, conserva numerosi manufatti tessili.

Tra i tanti matrimoni contratti dalla famiglia Jatta, anche con la locale aristocrazia, spicca il nome dei Bonelli, già a loro volta imparentati con i Giudice Caracciolo, i Pignone del Carretto ecc., che proseguono l’intento degli Jatta: quello di custodire e collezionare i manufatti archeologici e opere d’arte.

Con questa finalità va intesa anche la custodia degli abiti appartenuti agli esponenti della famiglia. La cospicua collezione manifatturiera aggiunge un ulteriore tassello agli studi condotti sulla storia del tessuto, della moda e del costume in Puglia.

 

A sinistra: sottoveste maschile, 1750-1760. A destra: copricapo.

In tale collezione, infatti, non mancano esempi di capi d’alta moda risalenti alla prima metà del XIX secolo, come la parte consistente di questo nucleo tessile-abbigliamentario, che scandisce gli avvicendamenti generazionali della famiglia barlettana dei Bonelli fra la metà e la fine del Settecento. Certamente la famiglia, come spesso accadeva, destinava gli abiti dismessi alla servitù che, in questo senso, diventava ricettacolo di un riciclaggio forzoso, ritenuto indispensabile, di abiti ed oggetti di ogni tipo appartenuti ai “padroni”.

Le autrici, inoltre, non trascurano di ricostruire la storia degli abiti illustrati nel testo, la provenienza, la destinazione successiva, con una catalogazione puntuale e dettagliata riferita alla tipologia dei tessuti e quanto altro occorra a descriverne perfettamente l’uso.

Non manca un accenno alla storia delle famiglie protagoniste della kermesse, genealogia compresa, che con pazienza certosina viene evidenziata alla fine del testo. Un dovizioso apparato iconografico completa il volume.

è senz’altro, questo, un libro che offre numerosi spunti di riflessione, un testo che arricchisce il patrimonio bibliografico specialistico del settore.

     

  

©2007 Lucia Lopriore

   


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