Sei in: Mondi medievali ® Storia dell'arte medievale ® Pavimenti musivi figurati 


 

di Luisa Derosa

pag. 2


 Introduzione  -  Le aree culturali: pag. 1 - pag. 2 - Le schede: Bitonto; Isole TremitiBariTarantoOtrantoTraniBrindisiGiovinazzoBibliografia essenziale


 

Roma e l’Italia meridionale

  ROMA SAN CLEMENTE 1 - Roma, San Clemente, chiesa inferiore, mosaico a motivi geometrici (da La pittura in Italia, fig. 669)  Roma, San Clemente, chiesa inferiore, mosaico a motivi geometrici (da La pittura in Italia, fig. 668)  Montecassino, Disegno del pavimento della basilica di San Benedetto (da Gattola 1773), riprod. tratta da Storia dell'arte marciana: i mosaici, a cura di R. Polacco, Venezia 1997, fig. 46  San Demetrio Corone (Cosenza), Chiesa di Sant'Adriano, Mosaico raffigurante lotta tra felino e serpente (da Garzya Romano C., La Basilicata e la Calabria [Italia Romanica 9], Milano 1988, fig. 102).  San Demetrio Corone (Cosenza), Chiesa di Sant'Adriano, Mosaico raffigurante un serpente avvolto in spirale (da Garzya Romano C., La Basilicata e la Calabria [Italia Romanica 9], Milano 1988, fig. 103).  San Demetrio Corone (Cosenza), Chiesa di Sant'Adriano, Mosaico raffigurante una pantera (da La pittura in Italia, fig. 683)

 

Rossano (Cosenza), Santa Maria del Patir, clipeo con centauro che suona  il corno (da Garzya Romano C., La Basilicata e la Calabria fig. 87)  Rossano (Cosenza), Santa Maria del Patir, clipeo con leone (da Garzya Romano C., La Basilicata e la Calabria [Italia Romanica 9], Milano 1988, fig. 89).  Palermo, chiesa di San Cataldo, mosaico a decorazione geometrica (da La pittura in Italia, fig. 681)  Monreale (Palermo), Cattedrale, mosaico a decorazione geometrica (da La pittura in Italia, fig. 679)

 

Per il numero e la quantità dei pavimenti conservati Roma costituisce il centro più importante, anche in considerazione del fatto che l’uso di decorare i pavimenti delle chiese con mosaici prosegue ininterrottamente per tutto il XIII secolo, quando in altre scompare. La caratteristica della produzione musiva romana risiede nella decorazione quasi esclusivamente geometrica, con grandi dischi variamente allineati e intrecciati, pannelli rettangolari inseriti in cornici caratterizzate da minuti elementi policromi di forme e dimensioni geometriche diverse. Sono tutti eseguiti in marmi di vari colori, prevalentemente di reimpiego, con largo uso di dischi di porfido.

La decorazione dei pavimenti risulta, inoltre, strettamente legata alla decorazione di elementi dell’arredo liturgico quali amboni, candelabri, transenne, cibori ecc.., realizzati con materiali e repertori figurativi analoghi, da parte delle stesse botteghe specializzate in questo genere di produzione.

L’origine di questo stile va ricercato nella grande tradizione musiva di epoca mediobizantina confluita nel territorio laziale per il tramite dell’abate Desiderio, il quale fece giungere a Montecassino per l’esecuzione del pavimento musivo della basilica, maestranze bizantine esperte nella lavorazione del marmo, dal momento che, come riportano le fonti, di tale tecnica in Italia si era completamente persa memoria. Tra gli episodi di diretta committenza cassinese ricordiamo la chiesa di Santa Cecilia in Trastevere e quella di San Clemente, legata alla figura di Leone Marsicano, il cronista di Montecassino che, seguendo il programma spirituale di Desiderio, pare abbia fornito non solo il progetto di massima ma anche le maestranze che avevano lavorato nella stessa Montecassino, affinché potessero stabilmente importare nella città papale generi artistici come il mosaico.

Pavimenti eseguiti con la tecnica del sectile secondo la stessa impaginazione decorativa si ritrovano, ad esempio, in Santa Maria Maggiore, nella chiesa dei Santi Nereo e Achille, in San Crisogono, in Santa Maria in Cosmedin.

La ricchezza della città papale era il marmo antico, che veniva recuperato e rilavorato in botteghe specializzate. Queste botteghe di marmisti possono essere considerate le uniche industrie degne di menzione nella Roma medievale. Sin dall’VIII secolo il diritto di dare concessioni per lo sfruttamento di costruzioni antiche spettava al papa. Nel XII e XIII secolo, i diritti di estrazione appartenevano, probabilmente in regime di monopolio, ad alcune famiglie nelle quali la lavorazione del marmo era ereditaria. Da una di queste famiglie, attive nella seconda metà del XIII secolo, deriva il nome “Cosmati”, erroneamente attribuito a tutti i marmorari romani.

Da Montecassino derivano pure i pavimenti di area campana, come quelli della cattedrale di Caserta Vecchia, di Sant’Agata dei Goti, di San Benedetto a Capua e di Sant’Angelo in Formis. Quest’ultima, le cui vicende sono strettamente legate a quelle di Montecassino, presenta un mosaico pavimentale in sectile che utilizza un precedente pavimento antico, riempiendone le lacune. Nella stessa Campania, come a Roma, la decorazione a mosaico sarà ampiamente impiegata fino al XIII secolo negli arredi liturgici.

In relazione all’ambiente campano sono elaborati i pavimenti siciliani, soprattutto quelli realizzati nel periodo normanno a Palermo (Martorana, Cappella Palatina, San Cataldo, Cattedrale) e Monreale. Questi esemplari si distinguono per il largo impiego di dischi di porfido, direttamente importati da Roma. In Sicilia non si trovano, però, le sequenze di cerchi intrecciati tipiche della produzione romana. La decorazione è invece caratterizzata da grandi fasce che si intrecciano a formare figurazioni geometriche squadrate, con linee spezzate di gusto islamico, a volte liberamente disposte sulla superficie, all’interno delle quali sono inseriti i dischi di porfido: segno di un’originale elaborazione locale dei modelli romani e campani.

Un discorso a parte merita la Calabria. In questa regione si ritrovano accanto ad esempi di pavimenti squisitamente bizantini, come quello della cappella degli Ottimati a Reggio Calabria pavimenti romanici figurati come quello di Sant’Adriano a San Demetrio Corone. Quest’ultimo, realizzato in sectile e tessellato e caratterizzato da una vivace policromia, con un largo impiego di pietre locali e marmi di spoglio, esibisce un repertorio decorativo estremamente originale. Tra grandi riquadri marmorei e formelle a disegno geometrico compaiono quattro lastre figurate con animali i cui corpi sono realizzati con un motivo ‘a scacchiera’, alternando tessere quadrate o triangolari colorate e tessere bianche, su un fondo chiaro. Si tratta di un leone e di una serpe affrontati nell’atto di contendersi una preda, e di una serpe dal corpo disposto a spirale, inseriti entrambi su due lastre circolari, e di una pantera e di un’altra serpe dal corpo annodato terminante con due code, su lastre di forma rettangolare.

La raffinatezza del decoro si ricollega al distrutto pavimento della basilica desideriana di Montecassino, dove tra i vari frammenti dell’originale decorazione figura una pantera eseguita nello stesso modo di quella calabrese. In ambedue i casi convincenti confronti possono essere fatti con pavimenti di età mediobizantina, come ad esempio quello della chiesa del monastero greco di Sagomata, dove in un riquadro compare un serpente dal corpo a ‘scacchiera’ con il corpo annodato come quello di San Demetrio. Gli esempi italiani potrebbero dunque derivare da comuni modelli di area greca.

Ancora diverso si presenta il pavimento della chiesa di Santa Maria del Patir a Rossano Calabro, realizzato sotto l’abate Blasio a metà XII secolo. Realizzato interamente in tessellato, si estende lungo il corpo longitudinale della chiesa e accoglie entro quattro grandi medaglioni un liocorno, un centauro, un felino mostruoso ed un grifone in posizione araldica. Motivi ad intreccio e decori vegetali caratterizzano il fondo della composizione. Di questo pavimento, che in origine ricopriva l’intera superficie della chiesa, altri frammenti si conservano nella navata laterale sinistra e all’ingresso dell’edificio, dove sono ancora visibili un cervo ed un centauro. Lo schema di questo mosaico si rifà a quello del pavimento di Taranto, e può quindi essere inserito all’interno di una circolazione culturale caratteristica dell’area ionica.

Abbazia di Santa Maria, Tremiti: particolare del mosaico della navata centrale

 

La Puglia

«Estrema propagine della penisola e punto di convergenza di tutti gli itinerari antichi, la Puglia ha rivestito da sempre il ruolo di cerniera tra il continente e le regioni del Mediterraneo orientale».

La regione sin dall’epoca tardoantica ha conosciuto una grande produzione musiva, di cui le più cospicue testimonianze si trovano a Siponto, Lucera, Canosa, Venosa, Trani e Casaranello. A queste si sono aggiunte, nell’ultimo decennio, in seguito agli scavi archeologici condotti in alcune cattedrali romaniche, le pavimentazioni musive di Barletta, Bitonto, Ruvo, Otranto. Si tratta di pavimenti eseguiti in opus tessellatum con tessere di calcare, terracotta e ciottoli di fiume. Le decorazioni sono essenzialmente di tipo geometrico con l’inserzione di elementi vegetali. Più ricorrenti sono i motivi a pelte, resi con diverse varianti, le composizioni a cerchi accostati, a ottagoni o quadrati, includenti fiori, nodi di Salomone, stelle, meandri e svastiche. Limitati gli inserti figurati, come il pavone, simbolo di immortalità, nella basilica di San Leucio a Canosa.

Si tratta di un tipo di decorazione che si ritrova nelle due sponde dell’Adriatico, nell’Africa settentrionale, in Grecia e nell’area illirica e mediorientale. Legami sono stati anche individuati con le regioni dell’alto adriatico, dalle città di Aquileia, Grado, Parenzo fino a Ravenna.

La loro esecuzione copre un arco cronologico che va dal IV al VI secolo e si lega alla formazione delle prime diocesi, quando un grande fermento costruttivo investì l’intera regione.

Interessante il caso del pavimento musivo rinvenuto nel succorpo della cattedrale di Bari. Variamente datato dal VI all’VIII secolo, esso è legato alla enigmatica figura di un vescovo Andrea, come documenta l’iscrizione che lo accompagna. Presenta motivi geometrici variamente combinati e sul bordo esterno, oltre ad una raffinata decorazione floreale, animali acquatici e pesci. Gli schemi compositivi del decoro geometrico apparentano questo mosaico ad esemplari di ambito adriatico e mediterraneo. In particolare identici motivi decorativi si ritrovano in un mosaico pavimentale della città greca di Patrasso.

Nel corso dell’alto Medievo la produzione di questo genere di pavimenti si interrompe per fare posto ad una decorazione più povera, con tessere di una certa dimensione prevalentemente di tipo calcareo o, più limitatamente, di marmi di recupero, accostati come nel sectile. Le singole lastrine sono tagliate in forma di rombi, triangoli, quadrati o petali allungati disposti secondo trame geometriche di vario tipo. Tra i vari esemplari ricordiamo, oltre a piccoli frammenti rinvenuti a Canosa, i pavimenti di Canne, Trani, e Bitonto. Particolare importanza, per estensione e varietà di motivi, riveste il pavimento della chiesa di Santa Caterina a Bitonto, risalente ai primi decenni dell’XI secolo. Tale tipo di pavimentazione doveva essere molto diffuso in Terra di Bari se esemplari simili sono stati rinvenuti a Bari, nel complesso di Santa Scolastica e nella cattedrale di Ruvo.

Interessante il caso di Bitonto, dove in una fase precedente l’XI secolo il più antico pavimento paleocristiano è restaurato nei punti di maggiore usura con tessere di dimensioni diverse, disposte in filari verticali, orizzontali e diagonali o con tessere di forma esagonale disposte intorno ad un elemento quadrangolare, secondo uno schema che si ritrova anche nei mosaici altomedievali rinvenuti nella cattedrale di Trani. Al di la di una motivazione improntata ad una scelta di gusto, l’inserimento di queste tessere potrebbe indicare che in questa fase si era completamente persa, da parte delle maestranze, la capacità di intervenire con la tecnica del tassellato, sia pure limitatamente a un intervento di restauro.

La città pugliese che conserva il maggior numero di pavimenti in tessere calcaree è Bari. Tra i vari esempi ricordiamo il pavimento del monastero di San Benedetto, fondato nel 978, realizzato accostando piccole tessere quadrate in filari orizzontali e diagonali incorniciate da una bordura o lastrine esagonali disposte intorno ad un elemento romboidale. Coevo a questo pavimento è quello della prima versione della chiesa di Santa Maria del Buonconsiglio ubicata nel cuore della città vecchia. Qui, in relazione alla costruzione di una primitiva chiesa a tre navate divise da pilastri, sono emersi i resti di un preziosissimo pavimento in sectile, unico nella regione, realizzato con piccoli elementi in marmo e in cotto, accostati tra loro, con lastrine quadrangolari o triangolari negli spazi di risulta. I confronti avanzati vanno dall’area egea (basilica di Kourion a Cipro) a quella campana di età longobarda (Chiesa dei SS. Rufo e Carponio a Capua). Ad una più tarda fase di occupazione,   risalente probabilmente all’XI secolo, va ascritto un secondo pavimento costituito da elementi quadrangolari di vari colori disposti a formare quattordici riquadri, con tessere variamente disposte a formare motivi a scacchiera, motivi romboidali, a squame, fiori, oltre che elementi di raggiere che ospitano al centro piccole ruote.

L’ultimo pavimento di età medievale presente a Bari è quello rinvenuto nel complesso conventuale di Santa Scolastica, nella punta settentrionale della penisola su cui sorge la città medievale. Questo pavimento è relativo ad una chiesa altomedievale, identificata con quella dei SS. Giovanni e Paolo citata in un documento dei primi decenni dell’XI secolo. Presenta la consueta decorazione a piccole tessere di varie dimensioni, disposte in filari orizzontali e diagonali, all’interno di grandi riquadri quadrangolari delimitati da cornici. Lungo l’asse centrale dell’edificio, in corrispondenza del presbiterio e della parte occidentale della navata, due pannelli ospitano un motivo centrale a disco.

La produzione di questi pavimenti cessa all’inizio dell’XI secolo. Non è assolutamente chiaro come appena a metà del secolo raffinatissimi esemplari di mosaici figurati segnino l’inizio di una lunga stagione di fioritura di quest’arte che proseguirà ininterrottamente per tutto il XII secolo. Quando la grande arte musiva fa la sua ricomparsa in Puglia mostra già un eccellente grado di specializzazione delle maestranze ed una elevata capacità espressiva. I più antichi esemplari sono quelli di Bitonto, dove un suntuoso mosaico pavimentale, raffigurante un monumentale grifone, è stato rinvenuto nel corso dei recenti scavi sotto la cattedrale romanica, e quello, assai noto, dell’abbazia benedettina di Santa Maria nelle isole Tremiti. Questi mosaici, in linea con quanto avveniva in altre aree della penisola, sono eseguiti con la tecnica dell’opus sectile e del tesselato. Se evidenti sono le analogie tra i due esemplari, innegabili sono anche le differenze tecniche e formali, indicative,probabilmente, non solo di una diversa ideazione ed esecuzione, ma anche di uno scarto temporale. I confronti avanzati dalla critica inseriscono i due mosaici all’interno di una circolazione culturale comune a tutta l’area adriatica, da Cervignano del Friuli a San Niccolò al Lido e al Sant’Ilario di Venezia, da Pomposa fino ai più tardi esemplari di S. Maria Maggiore a Torcello, di S. Zaccaria a Venezia e di S. Stefano di Carrara.

Splendido esempio di pavimento bizantino è quello che ricopre il presbiterio della cripta di San Nicola e parte della base della torre di sud-est e che in origine doveva essere esteso a tutta la superficie dell’aula. Forse appartenute a qualche edificio dell’astù bizantino, costituisce un caso unico in Puglia. Esso documenta, ad una data precoce, la presenza in Puglia di maestranza bizantine esperte nell’arte musiva e costituisce un precedente importante rispetto al fenomeno “cosmatesco” che di li a breve investirà le regioni romano-campane.

Diverso il caso, nella stessa chiesa di San Nicola, nell’area del presbiterio dell’edificio superiore, del pavimento in sectile e tassellato, con l’inserzione di un piccolo elemento figurato, che mostra, ancora una volta, forti legami con l’area dell’Alto Adriatico.

In tutti i casi citati indubbi sono i legami con la coeva produzione scultorea ed anche con i mosaici che decorano le pareti esterne della chiesa di San Benedetto a Conversano, traduzione locale di un tipo di decorazione diffusa nell’XI secolo in aree di influenza bizantina che potrebbe aver avuto in Puglia una diffusione maggiore di quanto oggi si possa immaginare considerando che una decorazione a mosaico di piccole tessere decora anche, all’esterno, il profilo delle monofore della cripta di San Nicola.

Tra i mosaici di maturo XII secolo il più antico è quello della cattedrale di Taranto, eseguito intorno al 1160, come riporta una tarda testimonianza. Se negli schemi decorativi e compositivi questo pavimento mostra indubbi legami con la restante produzione pugliese di età romanica, in particolare con Otranto, per stile e iconografia trova convincenti confronti con il mosaico calabrese di Santa Maria del Patir. I rapporti tra queste due opere suggeriscono un tipo di circolazione culturale caratteristica dell’area ionica che si giustifica in questo caso, sul piano storico, con la presenza, ancora in età normanna, di una forte componente di matrice orientale dovuta alla presenza di numerosi monasteri greci.

Interessante, nel caso di Taranto, la presenza del tema dell’ascensione al cielo di Alessandro Magno, frequente nella decorazione musiva pugliese (altri esempi si hanno ad Otranto e a Trani) ma poco diffusa nel resto dell’Occidente cristiano.

Nello stesso decennio viene realizzato in Puglia il mosaico pavimentale del duomo di Otranto che è, tra i tanti pavimenti medievali italiani, l’unico ad esserci pervenuto in uno stato di completa leggibilità. La varietà di fonti figurative e letterarie, la molteplicità di orientamenti culturali, l’ambiziosità dell’impresa mostrano come la Puglia viva in questo momento una situazione di grande creatività e vitalità. Fortemente percettiva rispetto alle realtà culturali di altre aree e regioni essa mostra, in tutto il suo spessore, la capacità di coniugare elementi della più remota tradizione indigena, giunti a maturazione nel corso dell’XI secolo, con gli stimoli della nuova realtà sociale ed economica che caratterizza la città medievale, principale protagonista della civiltà artistica del XII secolo. Si tratta di fenomeni che a pieno titolo inseriscono la Puglia all’interno della grande stagione del romanico europeo.

La realizzazione del mosaico pavimentale di Otranto dovette generare una grande impressione presso i contemporanei. Lo dimostra il fatto che i successivi mosaici di Trani e Brindisi, ne dipendono interamente. Nel caso di Trani è stato ipotizzato l’intervento dello stesso Pantaleone.

Un caso a parte è costituito dal pavimento della cattedrale di Giovinazzo, sia per l’inserimento di brani figurativi realizzati con ciotoli di fiume, che non trova confronti nella regione, sia per i rapporti con esempi dell’Italia settentrionale, in primo luogo con l’Emilia.

   
   

©2004 Luisa Derosa

 


indietro

  su

 Indice

Home