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GIULIA NOTARANGELO

 

Alla Corte dei Borgia, ovvero Sancia d’Aragona

 

Quante “corti dei Borgia” sono disseminate nell’universo? Riflettendo e meditando dopo aver concluso questa lettura, forse inconsciamente o forse volutamente da me diluita nel tempo (un paio di mesi), non posso non considerare il fatto che ogni giorno ciascuno di noi che opera ed agisce in microcosmi esistenziali si trova, volente o nolente, prima o poi, sotto mira: proprio come alla Corte dei Borgia!

La vita spesso mi sembra un tiro al bersaglio od anche una corsa ad ostacoli, in un alternarsi delle umane sorti per cui le vittime si trasformano in carnefici e viceversa. L’abilità consiste nel mantenersi in equilibrio come funamboli e nel saper resistere ai venti contrari, fidando nella benevolenza o nella “non belligeranza” di chi ci è di fronte. Così ci si può illudere che dietro i sorrisi e le “assicurazioni”non si nasconda la volontà di nuocere o di far del male.

Ecco perché mi appare paradigmatica la vicenda di Sancia d’Aragona, la Principessa partenopea che, per un gioco del destino o meglio delle alleanze nell’Italia regionale del 1500, si ritrova nuora di un Papa: Alessandro VI, impalmandone il “figlio” Goffredo, e divenendo quindi cognata di Lucrezia e Cesare Borgia.

Il libro degli amori, potrei ridefinire questo romanzo di Jeanne Kalogridis: il libro dell’amore fraterno, il libro dell’amore filiale, il libro dell’amore sensuale, il libro dell’amore proibito, o meglio, illecito.

C’è tutto il repertorio, in questo affresco, in un susseguirsi di scenari immensi e variegati, tra palazzi, giardini, castelli, città, come Napoli, solare e benedetta dall’azzurro del mare, o Roma, festosa e ricca di verde, ma anche ambigua e piena di ombre, con quel Tevere che tra le sue acque limacciose custodisce fatti e misfatti della classe dirigente dell’epoca.

La Kalogridis , studiosa  americana dal cognome che ricorda vagamente l’antica Grecia, non fa che aggiungere un altro tassello alla mia lettura “sistematica” del Diario segreto prima e della Biografia di Lucrezia ( la Duchessa ) poi, mettendo in bilico il piedistallo su cui l’avevo collocata, non dando credito alle malignità, e confidando nella sua buona fede e nel  suo candore, spesso disarmanti.

In questo romanzo Lucrezia diviene comprimaria delle vicende di Sancia d’Aragona, la cognata-sorella. Sancia la guerriera, Sancia l’incrollabile, Sancia l’indomita. « …Non sarei mai diventata come gli uomini ai quali somigliavo, ma piuttosto come quelli che amavo», dirà la giovane Principessa, poco prima di conoscere il suo futuro da una strega.

La sua indole emerge sin da quando, bambina, lei, figlia naturale di Alfonso II d’Aragona, ne infrange i divieti, anzi ne sfida la severità, violando i segreti degli appartamenti del nonno-re Ferrante e subendo poi le conseguenze, cioè la giusta punizione da parte dell’inflessibile genitore. La peggiore, l’unica che l’avrebbe fatta soffrire era quella di stare lontana dall’adorato fratello Alfonso, quell’Alfonso di Bisceglie che si troverà come lei ad incrociare il suo destino con quello dei Borgia in una combinazione di matrimoni che legano strettamente le due famiglie: Borgia ed Aragona, entrambe di origine spagnola.

Alla Corte dei Borgia è un forziere con tanti cassetti, un “diario stagionale”. Parte dall’autunno del 1488 e si chiude con l’estate del 1503, quando muore improvvisamente papa Alessandro, “Sua Santità”, come lo chiamava, con non velata ironia, la bella nuora. Quindici anni di vita di madonna Sancia che trascorre la sua adolescenza a Napoli, nel Sud, con una breve parentesi a Squillace - dopo il matrimonio con Goffredo, divenuto, grazie a lei, Principe di quelle terre -  per poi approdare alla Corte dei Borgia, nella Città Santa.

Il romanzo si apre con la rappresentazione del miracolo di San Gennaro «l 19 settembre dell’anno di grazia 1488», visto dagli occhi di Sancia ancora bambina e prosegue con la rassegna delle sue marachelle, tra cui la scoperta, un po’ raccapricciante, della “camera dei morti” del nonno Ferrante. Queste tinte forti nel descrivere fatti ed ambienti  continueranno con il racconto della sua visita, qualche anno dopo, ad una strega, in un antro fuori città, per conoscere il futuro.

Fin dalle prime pagine ci sentiamo immersi in un contesto ricco di fede, ma anche di superstizione, in una piccola reggia meridionale, non eccessivamente sontuosa. Già promessa ad un nobile napoletano, Onorato Caetani, Sancia, ad appena quattordici anni, si ritrova nella corte dei Borgia grazie ad un matrimonio combinato per “rinsaldare i legami” tra lo Stato Pontificio e Napoli. Dapprima “sconvolta”, riuscirà a farsene una ragione, ad accettare le decisioni della sua famiglia ed ad affilare le sue armi di seduzione e di ostinato coraggio.

Come già era avvenuto per il “museo degli orrori” di nonno Ferrante, nulla viene omesso nella narrazione della sua storia con Onorato; così sarà anche per la sua prima notte di nozze con l’undicenne Goffredo Borgia, neo Principe di Squillace, a cui assistettero - era questa la regola per le Case regnanti - sia suo padre, Alfonso II, che un inviato del Papa, il cardinale Borgia “di Monreale”. Tutto viene raccontato con naturalezza e senza cedimenti. Tutto diventa palese nel bene e nel male, nel lecito e nell’illecito.

Nel Diario segreto, come anche nella Biografia di Lucrezia (Borgia), traspariva un certo riserbo - da parte della voce narrante - che trattava  con studiata cautela i momenti più delicati. Era come se la penna si auto-filtrasse,  nettandosi da ogni sozzura. C’era anche, specie nel Diario segreto, un continuo discredito delle voci che circolavano su Lucrezia e sui  suoi rapporti con  il padre e con il fratello Cesare.

Nel “diario stagionale” di Sancia invece, il vaso di Pandora appare del tutto scoperto. Ciò che la maldicenza affermava, viene esibito, ostentato, come se si volesse dar credito a tutte le voci che circolavano. Sancia non fa sconti e non giustifica nessuno, tanto meno se stessa; lo vedremo persino quando narrerà la sua tormentata storia con Cesare.

Si manifesta sempre nella sua fierezza, ma anche nelle sue debolezze, nei suoi peccati, come nella sua vitalità che la porta a non arrendersi mai; finisce così per rendere  un po’opaca ed ambigua la figura di Lucrezia. Di lei metterà in evidenza il doppiogioco e la “prevedibile imprevedibilità”, soprattutto quando ci narrerà il tragico epilogo dell’esistenza del marito: il suo amato fratello Alfonso.

Una multiforme, indefinibile Lucrezia, questa; ci fa pensare ad Uno, nessuno e centomila, di pirandelliana memoria.

Lo stesso atteggiamento Sancia terrà nei confronti del suocero Alessandro VI, “Sua Santità”; di lui farà emergere, oltre che l’amore, più o meno discutibile, per la sua numerosa prole, la spregiudicatezza, il venir meno alla parola data, nonché la dissolutezza. E non diversamente Sancia si comporterà con Cesare, dapprima ammirato ed amato, poi temuto ed odiato (dopo la morte di Alfonso). Goffredo, suo marito, sarà forse l’unico, pur nella sua indole debole e gentile, a restare immune dai misfatti della sua famiglia.

E poi c’è la canterella, veleno dal nome soave, quasi un personaggio occulto e silenzioso, che apre questo libro e come un fil rouge attraversa la storia dei Borgia: una storia di “arrivi e dipartite”, di “ascese e discese”, una storia che spesso divora i suoi artefici.

Chi di male ferisce, di male perisce”, pare sussurrarci questo libro e soprattutto il destino del papa Alessandro VI che da “avvelenatore” diventa vittima del suo stesso sistema.

Insolito davvero, il mio percorso di lettura: da un diario segreto ad una biografia, fino ad un romanzo che vede sempre coinvolti i Borgia. Il mio è forse un non voler abbandonare la storia di una famiglia, prima soltanto guardata con diffidenza e poi forse anche un po’ “ammirata” per la sua spregiudicatezza, per quel suo funambolismo esistenziale cui accennavo all’inizio della mie riflessioni… Non posso non ammirare la fierezza della giovane Sancia che sopravvive a tante tempeste, non ultima la “dorata prigionia“ a Castel Sant’Angelo, né smetto di stupirmi di fronte alla facilità con cui  l’orizzonte politico dell’epoca ricorreva alle azioni più scellerate.

Un po’ meno, forse, dovrei meravigliarmi del doppiogiochismo e del camaleontismo, di quel “qui lo dico e qui lo nego…” che purtroppo caratterizza anche i nostri piccoli orizzonti  quotidiani.

è un  male trasversale, comune a tutte le epoche, e connota più o meno tutti i personaggi di questa appassionante vicenda. è il gioco perpetuo della vita: lo “schiva e fuggi” o “lo schiva e cambia cartello”?

  

Giulia Notarangelo

   

 

 

 

  

 

 

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