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LA CASA EDITRICE

Carolly Erickson, Maria Antonietta, Mondadori, 1996, pp. 461.

«Una biografia di Maria Antonietta, che ci restituisce una figura di donna moderna e complessa, superando la sua immagine convenzionale di ottusa e altera vittima della Rivoluzione francese, di aristocratica viziata e viziosa. Maria Antonietta fu in realtà una delle molte donne sacrificate alla ragion di Stato. Figlia dell'imperatrice Maria Teresa d'Austria, andò sposa appena adolescente al giovane e maldestro Luigi XVI re di Francia. Circondata dalle trame di una corte corrotta e prigioniera di un'etichetta soffocante, la giovane regina cercò consolazione nelle eleganze eccentriche e nei divertimenti più costosi, rendendosi odiosa ai sudditi perseguitati dalle tasse e dal malgoverno. Ma aveva molte buone qualità, un carattere positivo, un'intelligenza e una capacità di decisione maggiori di quelle del re, una nobiltà d'animo che comunque, al crollo della monarchia, non le risparmiarono mesi di prigione e infine la ghigliottina. Sullo sfondo della sua storia, gli ultimi anni convulsi dell'Ancien Regime e gli esordi violenti della Rivoluzione».

NEL SITO:
Una regina “ritrovata”: Maria Antonietta di Francia
Una solitudine abitata. Chiara d'Assisi
Da monaca a regina e mamma: Costanza d'Altavilla
L'ora di tutti. Un attualissimo romanzo di Maria Corti
Idealizzazione, mistificazione o agiografia di un Imperatore?
Le donne nell’Italia medievale. Secoli VI-XIII

GIULIA NOTARANGELO

 

Maria Antonietta: eroina dell’assolutismo o martire della “regalità”?

 

 

«Non vedo l'ora di sapere, quante tracce di "verità" (quella appunto dei documenti) abbia lasciato in questo possibile e fascinoso diario....»: con queste parole chiudevo la mia recensione al romanzo Il diario segreto di Maria Antonietta della Erickson.

Tracce di verità ce n’erano! E tante! Ora posso affermarlo, dopo aver letto la biografia della stessa autrice che risale agli anni ’90. E’stata una lettura davvero piacevole che ha confermato la mia impressione su questa “eroina dell’assolutismo” così grande nella sua tragicità. Anche qui, e questa volta sono i documenti a parlare, risalta la sua inadeguatezza, il suo essersi trovata in un gioco più grande di lei. Nulla viene nascosto e su nulla si indulge: sia la  storica che la scrittrice scavano a fondo nella personalità della regina.

Tra le fonti più citate ci sono gli scritti di Madame Campan e le lettere dei comprimari di questa tragedia “annunciata”.

La dettagliata descrizione del palcoscenico (regale e non) e dei suoi attori fa da cornice e ci consente di addentrarci in un mondo passato, per certi aspetti attuale, con i suoi vizi, le sue miserie; è  un contrappunto continuo con l’ austerità della Corte austriaca da cui Antonietta proveniva. Sono due universi opposti eppur complementari, due orizzonti-simbolo di un’ Europa “ancien regime”, ma anche aperta alle mode, soprattutto francese, inglese e poi americana.

è questo un caleidoscopio che affascina e coinvolge nella sua variegata eleganza e nella sua ricchezza di particolari di riti protocollari (si pensi alla cerimonia del lever dei reali) e di vita quotidiana: scopriamo così, ad esempio, che nel ‘700 esisteva il gioco d’azzardo, ed  era addirittura uno dei passatempi preferiti dalla regina e dai cortigiani.

Un aspetto che sconcerta è che tutto quanto accadeva nelle “somme stanze” veniva deformato e alterato, divenendo spesso  argomento di chiacchiere e pettegolezzi che sfociavano nella libellistica; si creava così una sorta di opinione pubblica ante litteram, fervida nella fantasia e nelle elucubrazioni intorno alla regina, “l’autrichienne”, la straniera. Proprio lei che si trova costretta dall’augusto consorte a divenire sua  consigliera o addirittura reggente, lei che aveva un’indole leggera e superficiale, inadatta perciò a sostenere il peso di regole e di un’ etichetta troppo rigida come quella della corte di Versailles.

Assistiamo qui allo sbocciare di una regina e di un re che re non voleva e forse non poteva, per indole, essere. è una crescita, quella di Maria Antonietta, che conosce diverse fasi: passa dall’intento di migliorare se stessa attraverso l’istruzione ed una certa autodisciplina ad un lasciarsi portare o meglio, travolgere da consiglieri interessati e dall’adulazione dei cortigiani. Ciò che colpisce tuttavia è la sua solitudine di fondo ed una certa tendenza alla malinconia che non l’abbandonerà fino alla fine.

Il fascino degli ambienti, i riti, le cerimonie ufficiali descritte nei dettagli ed in maniera elegante: tutto concorre a formare un’ immagine di una donna che sarebbe potuta anche divenire un mito: quello di una giovane regina al di sopra «dei formalismi e delle cautele che ci si sarebbe aspettati dal suo elevatissimo rango».

è un’ evoluzione–formazione di una nobile fanciulla che da delfina “volenterosa” diventa  regina con la “testa piumata”, secondo la moda del tempo.

L’autrice ci presenta il tessuto di una fitta rete di relazioni, contestualizzando comportamenti ed atteggiamenti, altrimenti incomprensibili. Si rimane incantati di fronte allo sfarzo, alla grandiosità degli scenari, alle luci–ombre della Corte, alla folla dei parassiti–cortigiani, al lusso ostentato e scacciapensieri, ma anche di fronte alla sporcizia, all’incuria ed alla mancanza di controllo da parte dei domestici, più attenti all’etichetta che a sorvegliare chi stazionava e bighellonava per gli immensi corridoi o negli angoli bui di Versailles.

Luigi appare coerente nel suo affetto verso il popolo, ma anche nella sua apatia fiduciosa, in quel suo lasciar fare, in quel farsi portare dagli eventi. Antonietta è pervicace nel suo attaccamento alla “regalità” per diritto divino e  nella sua chiusura verso il “democratico” ed il nuovo, a meno che non si tratti della  moda futile e vacua che riguardava parrucche e cappelli,  vestiti e gioielli. Assistiamo anche alla progressiva  costruzione di un castello di dicerie attorno alla Corte ed alla regina e la Erickson ce ne mostra spesso l’infondatezza a colpi di documenti.

Ferma appare Antonietta nel suo essere regina per diritto divino, fermo anche Luigi nel suo candore, di “amico e padre del popolo”, assediato in un primo momento dalla Corte e dalla regale consorte e poi da quei suoi “figli” ribelli: i suoi sudditi che lui sperava prima o poi sarebbero rinsaviti.

La positività di Maria Antonietta emerge, durante il “soggiorno” coatto alle Tuileries, nell’affrontare con dolce pazienza la folla e tutti quegli spettatori “muniti di biglietto di ingresso” a cui era stato consentito di osservarla durante le sue passeggiate nel parco. Risaltano il suo altruismo, la sua generosità ed il suo amore materno anche per il “vivaio” dei figli adottivi.

Sullo sfondo e sfumata la presenza del conte Fersen rispetto al ruolo di primo piano nel “Diario segreto”. Nella biografia, inoltre, la “lettura” dei documenti  instilla più di un dubbio sulla veridicità della sua relazione con la regina. Emerge, tra i comprimari, Mirabeau, il mirabile doppiogiochista, ora diavolo tentatore, ora angelo liberatore.

Biografia e romanzo presentano una diversa angolazione prospettica di una medesima realtà: nella prima si presta maggior attenzione agli ambienti, nel secondo ai sentimenti che vengono enfatizzati e dilatati. Lo stile è sempre lo stesso ed evidenzia una rigogliosità espressiva, una minuzia descrittiva, una messa a fuoco di tutti gli intrighi, le macchinazioni e gli ostacoli in cui la protagonista  si imbatte durante il suo cammino. Non ultimo, l’affare della collana di diamanti, truffa abilmente congegnata dalla criminale fantasia di un’ arrampicatrice sociale.

La Corte di Versailles viene vista ed analizzata prima e dopo il 1789. L’autrice non dà eccessivo peso alle malelingue. Antonietta rimane sempre seducente, affascinante, dolce e ferma pur nei suoi ideali prerivoluzionari. Luigi ci fa sorridere quando vuole evitare ciò che era successo a Carlo I Stuart in Inghilterra, o quando si dichiara “padre della Rivoluzione”; in lui c’è sempre quella inerzia e quella schifiltosità per il sangue che lo porteranno ad affrontare con “coraggio passivo” un popolo ormai senza freni. In un simile contesto appare inevitabile la fuga della famiglia reale che non sarà  finanziata, come mi era parso di intendere dai manuali di Storia, da potenze straniere ed amiche dei sovrani, bensì dal conte Fersen e dall’ Ordine dei Cavalieri di Malta.

Stupisce il contegno dei familiari di Luigi, coeredi al trono, di quegli infidi parenti “emigranti” ed usurpanti il titolo di re (mi riferisco ai fratelli del re ed al conte di Orleans) ed ancor più sorprende scoprire che le monarchie straniere fino al 1791 non avevano mostrato molto interesse per la Francia.

Singolare e amara  appare la parabola al contrario percorsa da Luigi: da re per diritto divino a “primo funzionario pubblico”, da “rappresentante del popolo”  a sovrano destituito. Re e regina diventano così “vittime” degli eccessi e delle intemperanze della  Rivoluzione. Su di loro e sulla servitù fedele si riversa tutta la violenza popolare alimentata dalla illegalità imperante e dalle vicende di una guerra che pur aveva conosciuto fasi alterne.

La dignità di Antonietta e di Luigi di fronte alla morte fanno dell’una un’eroina del conservatorismo, e dell’altro un “eroe” romantico dell’amore per il popolo. Commovente, atroce ed ingiusta mi appare la fine della regina, che affronta il patibolo come una martire della sua “regalità”. Vittima della Ragion di Stato o agnello sacrificale sull’altare delle alleanze militari in un’Europa di fine ‘700?

Posso dire di volerle un po’ di bene?

     

  

Giulia Notarangelo

   

 

 

 

  

 

 

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