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       LA MEMORIA DIMENTICATA

a cura di Teresa Maria Rauzino


 


 
 

I presepi allestiti nei palazzi nobiliari di Napoli erano qualcosa di unico. La meraviglia delle scene costruite con ricchezza di particolari, la plasticità dei volti dei pastori, attiravano un pubblico numeroso e di ogni estrazione sociale, suscitando nei visitatori “diletto e meraviglia”. Il tutto con una ricchezza inaudita di sete e stoffe, gioielli, ori ed argenti che dovevano dimostrare lo status socio-economico del nobile casato che allestiva il presepe.

Le cronache della «Gazzetta di Napoli» citano a più riprese, durante il periodo austriaco (1707-1734), la visita dei Vicerè ai presepi napoletani. è singolare apprendere che il più celebre presepe in città era quello di Emanuele Pinto, principe di Ischitella (FG). In un articolo è riportata la notizia che l’ultima Viceregina austriaca «vi andò preceduta da un drappello di guardie tedesche ed accompagnata da alcune dame. Il principe e la principessa d’Ischitella la ricevettero ai piedi della scala ed era con loro anche l’architetto del presepe, Desiderio de Bonis».

Il principe Francesco Emanuele Pinto era quindi un raffinato collezionista di presepi. Ne aveva di ogni materiale e disposti in ogni stanza della sua dimora napoletana. Gli allestimenti, fatti eseguire nel suo palazzo a Chiaia nella prima metà del Settecento, dovettero essere qualcosa “di inusitato” anche per un pubblico avvezzo a questo genere di “sacre figurazioni”, al punto che ancora alla fine del Settecento ne restava memoria. Nel Natale del 1733 ne aveva diretto l’allestimento proprio il citato architetto Desiderio de Bonis, un artista oggi quasi sconosciuto, ma che fu il più quotato “specialista” del genere.

La più autorevole delle fonti antiche sulla storia del presepe, Pietro Napoli Signorelli, alla fine del Settecento, lamenta la progressiva dispersione e gli smembramenti già in atto delle collezioni presepiali napoletane antiche, tra cui quella un tempo appartenente ai Pinto: «Sontuoso e magnifico in tutte le sue parti era il presepe che vedevasi in casa del principe d’Ischitella, lodandosi con ispecialità l’eccellenza de’ pastori lavorati dà più celebri scultori e la pompa e la ricchezza indicibile del corteo dei magi e la gloria che componevano un tutto per ogni riguardo eccellente. Ma tutto è terminato né credo che alcun frammento più sussista di così splendida suppellettile».

Il fatto che il principe Pinto, fin dal 1765, sia stato costretto ad impegnare i gioielli dei Magi e gli ori delle popolane del suo presepe denota la natura precaria delle imponenti costruzioni presepiali che erano nate, più che dalla devozione natalizia e da scopi religiosi o mistici, per la funzionale esigenza di consolidare, attraverso l’ostentazione, il prestigio personale raggiunto dalle grandi famiglie napoletane.

Nel corso dell’Ottocento, molti presepi furono progressivamente smembrati e i Perrone, grandi appassionati di presepi (Antonio fu tra i fondatori della letteratura ad esso dedicata), ne acquisteranno i migliori esemplari, una parte dei quali diede vita alla Raccolta Perrone, oggi custodita nel Museo della Certosa di San Martino.

Lo storico Gian Giotto Borrelli, in un volume del Consorzio CAPAN e della Camera di Commercio dal titolo Pastori e Presepe napoletano (Elio de Rosa editore, Napoli 1998) ricorda che nello sterminato inventario (apprezzo) dei beni del Principe, redatto a Napoli nell’ottobre del 1767, pochi giorni dopo la sua morte, compaiono undici presepi di ogni dimensione e materiale, dal legno di bosso intagliato alla cera modellata, dallo stagno dipinto alla terracotta.

Ad un certo punto del documento si riporta la seguente notazione: «In tre stanze consecutive è piantato il Presepe grande con tutti i pastori». Probabilmente era quello composto dalle “figure” acquistate dal principe nel 1743-44 per l’ingente somma di oltre 2.000 ducati».

Ma la notizia più interessante è che i redattori dell’inventario reperirono in un altro ambiente del palazzo, precisamente «nel camerino dove dormono le Donne detto de’ Pastori», una serie di oggetti che oggi suscitano grande curiosità. Si trattava di gruppi di figure e di pezzi di scenografie custodite in casse: «una carrozza ricca a due cavalli con un Cardinale dentro, e Vescovi, una stanza con moltissimi personaggi in piccolo di creta, che fanno diverse azioni” (forse un bozzetto per un presepe), un Baroccio a quattro cavalli tinto di verde con un Cavaliere di Malta dentro, un volantino a due cavalli con due volanti alli lati, e servidori dietro con la livrea di Policastro, e li cavalli sono di capezza di moro, un carro con due botti sopra, e due personaggi, e due bovi, un milordo a cavallo».

Vi erano inoltre scene che riproducevano «una cella del Monistero di S. Chiara con diversi personaggi, e ornamenti, la guglia di S. Gennaro di sovero [sughero] colorito, un ospitio con diversi personaggi, e sua cappella, un monistero di campagna con vari personaggi, e sua cappella» e così via. I pezzi citati nell’inventario del 1767 dovevano far parte, probabilmente, del presepe più antico ideato dal de Bonis, e che non aveva trovato posto in quello montato successivamente nel palazzo dei Pinto.

Emanuele Pinto morì indebitato nel 1767. I suoi creditori sequestrarono il feudo di Peschici e concorsero sul feudo di Ischitella.

Oltre alla passione per i presepi, il Principe nutrì quella per l’arte ed il giardinaggio: fu un vero esteta.

Lasciò sul Gargano notevoli palazzi ed opere artistiche di indiscutibile valore.

Nel 1714 restaurò l’antico castello di Ischitella (oggi Palazzo Ventrella), arricchendolo con una facciata monumentale e con finestre elegantissime; vi aggiunse alcune stanze al primo piano ed innalzò il secondo piano. Nel 1735 restaurò il castello di Peschici, che ancora oggi è possibile ammirare per la posizione a picco sulla Rupe e per l’imponenza della costruzione.

In Campania, il giardino di Palazzo Pagano di Quadrelle (Avellino) conserva ancora oggi gli elementi originari (la geometria, le fontane, il confine murato, le specie botaniche) voluti dal Principe di Ischitella, che ne fu il feudatario. Ha un’estensione di 3500 mq.

Il patrimonio botanico oggi esistente comprende lecci plurisecolari accanto a bossi, mirti, lauri, pervinche, palme e vari alberi da frutta. Il disegno del giardino è caratterizzato da variazioni rispetto alla regolare geometria: il recinto murario e i due viali principali non determinano quattro settori uguali, ma quattro trapezoidi che sembrano “simulare” la prospettiva.

Lo studio di questo giardino ha interessato, di recente, esperti di livello internazionale, dopo la presentazione nel 1993 del progetto pilota di conservazione del patrimonio architettonico europeo.

     
               

©2006 Teresa Maria Rauzino. L'articolo è stato pubblicato, con qualche variante, dal «Corriere del Mezzogiorno» (edizioni Campania e Puglia) allegato al «Corriere della sera» del 9-12-2005. 

    


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