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di Lawrence M.F. Sudbury

   

Britannia RomanaSi è altrove (1) scritto che la cultura celtica mantenne le proprie connotazioni e portò a compimento le proprie linee evolutive unicamente nelle Isole Britanniche. 
Ciò è senza dubbio vero per quanto riguarda buona parte dell'Irlanda e per la Scozia settentrionale, ma per l'area che oggi conosciamo come Inghilterra, la situazione fu radicalmente diversa e, per ragioni storiche che esamineremo, questa remota regione dell'Impero divenne uno dei più formidabili esempi di fusione di due culture completamente estranee, quella “civilizzata” romana e quella “barbarica” di stampo germanico, in una unione il cui risultato fu, quasi in una sorta di epitome di processi analoghi intercorrenti un po' in tutta Europa, ben maggiore delle sue parti componenti. 
Proprio come esempio di tali processi di amalgama storico-culturale è interessante ripercorrere, seppur brevemente, l'evolversi del processo di mescolamento che gettò le basi più profonde della civiltà britannica pre-normanna, a partire dall'invasione romana.

  • ROMA

Probabilmente l'invasione romana della Britannia fu storicamente l'evento più importante mai vissuto dall'isola, non tanto perché la presenza di Roma fu particolarmente rilevante dal punto di vista cronologico, etnico o dell'intensità d'insediamento, quanto perché essa influenzò indelebilmente il susseguente sviluppo Britanno-Celticulturale delle popolazioni residenti da praticamente ogni punto di vista: lingua, sistema di pensiero, architettura urbanistica, amministrazione e religione si svilupparono, anche sotto altre dominazioni successive, sulla base del seme gettato da Roma nei 400 anni del suo pur vacillante “imperium” albionico. Soprattutto, fu l'esempio della gloria di Roma che perdurò nell'animo britannico addirittura fino a tutto il periodo vittoriano (2).
Prima della conquista romana, la Britannia era essenzialmente una mappa piuttosto disordinata di tribù celtiche che si erano sovrapposte a pre-esistenti popolazioni forse autoctone (anche se sulle loro origini sono state fatte le ipotesi più disparate, da agganci con la mitica Atlantide a legami con civiltà pre-minoiche), i cosiddetti “Blue Men”, di cui oggi sappiamo davvero pochissimo (
3). Come tipico della cultura celta, queste tribù non riconoscevano alcun organismo superiore al clan di appartenenza e solo la presenza romana diede un vero senso di unità nazionale agli abitanti dell'isola.

Caio Giulio CesareEppure, nonostante gli esiti seguenti, le ragioni di base che portarono all'arrivo delle legioni imperiali sull'isola furono, come spesso accade, tutt'altro che autorevoli. Sostanzialmente, l'invasione della Britannia faceva comodo alle carriere politiche di due uomini: Giulio Cesare e Commio, re degli Atrebati. 
Nel 55 a.C., Cesare aveva appena vinto i Galli ed era alla ricerca di una scusa per non fare ritorno a Roma, il cui ambiente gli poteva essere quantomeno ostile, mentre Commio era appena stato spodestato da Cunobelino, re dei Catuvellani, e si era rifugiato in Gallia. L'incontro tra i due ebbe come conseguenza per il generale romano l'idea di creare una sorta di stato fantoccio sotto le ali dell'aquila, allora ancora repubblicana, guadagnandosi la gloria di una vittoria oltre il “grande oceano” e le ricchezze derivanti dal saccheggio di una terra che riteneva piena d'argento e di bottini.
La sua prima spedizione, comunque, mal progettata e organizzata frettolosamente, non fu certo un grande successo: con sole due legioni, Cesare potè fare poco più che allontanarsi dal suo punto di sbarco a Deal e vincere una piccola battaglia che impressionò più il senato romano che le tribù britanne. Fu più fortunato l'anno seguente, quando, sbarcato di nuovo, questa volta con cinque legioni, riuscì a reinsediare Commio sul trono atrebatico, ma, ugualmente, ritornò in Gallia insoddisfatto e pressoché a mani vuote, lamentandosi in una lettera a Cicerone che, in fin dei conti, la Britannia non offriva né l'argento né il bottino sperato (
4).

Impeatore ClaudioL'avventurismo militare di Cesare, in ogni caso, fece da apripista al secondo grande tentativo di sfruttamento della Britannia, questa volta da parte dell'imperatore Claudio. Anche in questo caso, le ragioni dell'invasione avevano carattere strettamente personale: Claudio era da pochissimo diventato imperatore con un colpo di stato e, avendo bisogno di consolidare il proprio potere ammantandolo di prestigio militare, colse la palla al balzo quando Verica, successore di Commio, si rivolse a lui lamentandosi che il nuovo re dei Catuvellani Carataco gli aveva sottratto il trono. 
Così, nel 43 a.C., Claudio inviò quattro legioni nell'isola. Approdate nei pressi di Richborough, le legioni, al comando del giovane generale Vespasiano, si spinsero verso il fiume Medway, dove incontrarono la fiera resistenza delle tribù ivi stanziate, che, però, furono vinte soprattutto grazie all'impeto degli ausiliari gallo-celti aggregati alle legioni (ad ulteriore riprova dell'assoluta mancanza di senso di coesione e di gruppo etnico che caratteValli di Adriano e Antoninorizzò tutta la storia celtica). A questo punto, Vespasiano marciò verso ovest, schiacciando ogni possibile ostacolo alla sua avanzata e aprendo la strada all'arrivo dall'Italia di Claudio, che entrò in trionfo a Colchester, capitale catuvellana, vi fece costruire un tempio contenente una sua enorme statua bronzea, vi stabilì una fortezza militare e, dopo soli 16 giorni di permanenza, lasciò la Britannia al suo destino e alle truppe imperiali.

Furono, comunque, necessari altri trent'anni per conquistare il resto dell'isola (con l'esclusione delle Highlands scozzesi, che non furono mai occupate) e i rimanenti 350 anni di occupazione per mantenerla all'interno dell'impero, contrastando la guerriglia locale, le frequenti invasioni di Piti e Scoti dal nord (contro le quali Adriano fece costruire il famoso Vallo che da lui prende nome e, successivamente, Antonino fece erigere il suo poco più a settentrione) e i costanti tentativi (poi riusciti) di sbarco di popolazioni germanico-scandinave (5).

  • "MELTING POT" BARBARICO

Lavori di sterramento di ex-legionariIl sistema delle province romane si basava essenzialmente su due fattori: il culto imperiale e la raccolta delle tasse. Per il resto, Roma aveva ben poco interesse su come cittadini, alleati e popoli sottomessi vivessero. Di fatto, in Britannia, tra l'altro, di veri romani ne arrivarono ben pochi. I soldati delle legioni stanziali erano per lo più Batavi, Traci, Mauritani e Sarmati: dopo 25 anni di servizio “coloniale” veniva loro garantita la cittadinanza imperiale e un pezzo di terra da coltivare. Fu anche per questa ragione che la convivenza tra questi neo-romano-britanni e la popolazione locale fu, sostanzialmente, meno difficile di quanto spesso si immagini (anche se mai totalmente pacifica): la resistenza locale si concentrava sulle legioni ben più che su questi ex-legionari divenuti coloni di una terra dove, per la scarsa densità abitativa, sembrava esserci posto per tutti. Ad ogni buon conto, i neo-coloni svilupparono, come naturale, la tendenza ad edificare le proprie dimore nei pressi dei forti in cui avevano servito e fu essenzialmente per questo che le città sorsero soprattutto in zone militari come Colchester (da Colonia Castri, cioè “colonia dell'accampamento”) o Chester (da Castrum, cioè “accampamento”)(6).
VindolandaCome si vivesse in questi nuovi villaggi è ancora oggi leggibile grazie alla scoperta nello scavo di Vindolanda, presso il Vallo Adriano, di tutta una serie di tavolette di corrispondenza redatte da ex-ufficiali ed ex-legionari della “Nona Batavica”e databili attorno al 95-115 d.C. Questi reperti ci parlano di una vita piuttosto solitaria, monotona e dura, con rapporti spesso non violenti, ma complicati con i celti (un soldato arriva addirittura a definirli spregiativamente “britanculi”, più o meno “piccoli tozzi britanni”).(
7) Sostanzialmente, in ogni caso, la loro vita di “provinciali” non era così dissimile da quella di ogni ex coscritto dell'impero e di ogni contadino italico. A poco a poco, alcuni cominciarono ad arricchirsi e a ricostruire su suolo britannico le ville (in alcuni casi con bagni, piccole terme e magari una “mansio” per gli ospiti) che forse avevano visto in Italia, nella Narbonense o nelle città prefettizie del sud, come Londinium: è un processo che ha grande impulso soprattutto a partire dal III secolo d.C., un periodo in cui i contrasti con i celto-britanni sembrano essere completamente sopiti, anche grazie ad abilissime manovre di sincretismo religioso attuate dai prefetti locali, che erano riusciti a fondere il culto imperiale e della Triade Capitolina con il Pantheon celtico pre-esistente (8).

L'unico grande problema di Roma in Britannia aveva avuto luogo già molti anni prima, attorno al 60 d.C., con la famosa “rivolta di Boudica”, un evento storico che è interessante analizzare, più che per la sua entità (davvero modesta nell'ottica imperiale), perché permette di capire meglio quali fossero i termini del dominio romano nelle province albioniche.
In effetti, come praticamente ovunque all'interno dei suoi estesissimi confini, Roma controllava la provincia corrompendo le sue élite locali, a cui venivano date cariche pubbliche, potere e ricchezze. A loro volta, tali élite imparavano il latino, vivevano in ville di stile romano, arrivavano addirittura a romanizzare i propri nomi, BoudicaEra un “do ut des” in cui la nobiltà britannica otteneva uffici e prebende in cambio dell'impegno a ridistribuire parte di tali benefici tra i suoi concittadini così da “romanizzarli”. Tra l'altro, un sistema di questo genere era utile anche all'imprenditorialità romana: i “nuovi ricchi” britanni spendevano insensatamente, gareggiando tra loro in “romanità” e molti banchieri latini (inaspettatamente tra loro troviamo anche Seneca) si arricchivano alle loro spalle, prestando denaro a tassi altissimi.
In questo quadro, quando Prasutago, re degli Iceni, morì, lasciò in eredità all'imperatore (di cui era tributario) metà del suo regno, sperando che sua moglie Boudica avrebbe continuato a vivere negli agi gestendo l'altra metà. Sfortunatamente, l'imperatore del tempo, Nerone, non era tipo da dividere qualcosa con nessuno e il procuratore imperiale locale, Deciano Cato, sapendolo, provvide ad incamerare tutto il regno, incluse le ricchezze reali, prelevate da un manipolo di centurioni che risposero all'accenno di resistenza di Boudica frustandola e stuprando le sue figlie.
Naturalmente gli Iceni, umiliati, si rivoltarono, seguiti da altre tribù dell'Anglia orientale con problemi simili, e puntarono direttamente su Colchester, mentre il governatore Svetonio Paullino era a Anglessey per sedare una piccola sollevazione di druidi con il grosso della legione. Difesa da soli 200 uomini della Nona, la città venne rasa al suolo (seguita da Londra e Verolamio) e Deciano Cato dovette rifugiarsi in Gallia. All'accorrere delle truppe di Paullino, comunque, nonostante in seguito Tacito descriva la repressione della rivolta con toni epici, le truppe di Boudica vennero immediatamente sbaragliate: la regina si suicidò e Paullino provvide a sostituire Cato con il più morbido gallo romanizzato Classiciano. 
In fondo, dunque, anche questa rivolta non fu nulla di eroico, ma nacque essenzialmente dalla eccessiva “romanizzazione” dei costumi britannici e da calcoli politici che proprio da Roma erano passati in Britannia.(
9)

CostantinoUna idea piuttosto comune è che la Britannia fosse per Roma una provincia di scarsa importanza e di nessun profitto. In realtà le cose non stanno esattamente così: indipendentemente dal fatto che, quando intorno al 360 Giuliano utilizzò gli approvvigionamenti britannici per sfamare la Germania, la provincia insulare non risultò poi così poco redditizia, di fatto fu proprio la sua perifericità (con le sue tre legioni stanziali) a renderla importante come terreno di prova per futuri grandi politici e imperatori. Così fu per Vespasiano, per Agricola (che, a detta di Tacito, non conquistò la Scozia solo perché fermato dagli ordini imperiali dell'invidioso Domiziano) (10), in parte per Adriano, per Settimio Severo e, soprattutto, per Costantino il Grande, la cui storia “britannica” è emblematica: non a caso, quando suo padre Costanzo Cloro morì a York, fu in Britannia che il nuovo imperatore fu acclamato e fu con le truppe britanniche che, scendendo in Italia, conquistò il potere (11).

Ma la Britannia era anche molto lontana da Roma e difficile da difendere in un momento inOnorio cui tutto l'impero stava franando. Fu per questo che, quando nel 410 d.C. le “civitates” britanniche inviarono una lettera all'imperatore Onorio chiedendogli aiuto contro le orde di Sassoni che stavano invadendo l'isola, questi rispose con una lunga missiva il cui senso era, in parole povere, “arrangiatevi”. I romano-britanni si erano sempre "arrangiati", ad esempio nel 259, contro il cosiddetto Impero gallico o nel 184 contro Carausio, ma questa volta il nemico era troppo forte e il rifiuto imperiale segnò la fine dell'influenza romana sull'isola e l'alba di un nuovo periodo storico (12).

  • ANGLO-SASSONI: GUERRIERI FEROCI O COLONI PACIFICI?

Rappresentazione dei Sassoni nel film "King Arthur"In effetti, il termine “Anglo-Sassone” è relativamente moderno e si riferisce a quei gruppi di coloni che, provenienti dalla Sassonia e dalla penisola dell'Anglia nell'odierno Schleswig-Holstein, si insediarono in Britannia, progressivamente abbandonata dalle legioni romane, all'inizio del V secolo. Non erano gli unici popoli di ceppo germanico che si stavano muovendo verso l'isola: Iuti e Frisoni stavano facendo la stessa cosa, ma Angli e Sassoni assunsero da subito la supremazia e iniziarono una progressiva opera di erosione della cultura romana presente, ad esempio sostituendo gli edifici in pietra con le loro case in legno e utilizzando la loro lingua (che divenne poi la base per il moderno inglese) nell'amministrazione (portarono con sé anche la loro religione, ma essa, dopo l'arrivo di Sant'Agostino nel 597 venne quasi immediatamente abbandonata), instaurando un dominio che durò per più di 600 anni, fino all'invasione normanna del 1066 (13).

Spesso, basandosi sulle tradizioni orali dei poemi epici celti e sassoni (14), si ritiene che l'invasione anglosassone sia stata terribilmente cruenta, ma le testimonianze archeologiche ci parlano di un quadro molto più pacifico. Sebbene i signori delle diverse aree lottassero effettivamente per il controllo territoriale, a livello rurale appare piuttosto chiaro che gli insediamenti sassoni si allocarono in zone marginali nei pressi di precedenti insediamenti romano-celtici e che i due gruppi impararono molto presto a convivere senza grandi problemi. A livello cittadino, in ogni caso, vi fu una decadenza, ma tale decadenza era già iniziata ben prima della Edifici in stile sassonelettera di Onorio e dell'invasione sassone, verso la fine del IV secolo, quando l'aristocrazia urbana, sia per evitare responsabilità civiche che per risparmiare sulle folli spese di manutenzione dei grandi palazzi pubblici, si era gradualmente andata ruralizzando. D'altra parte, la zecca imperiale aveva smesso di inviare sesterzi verso il 370 e, con la mancanza di monete e la conseguente decadenza artigianale, le città avevano sempre più perso la loro ragion d'essere. Naturalmente, l'abbandono delle città fu un processo lento e disomogeneo: in alcune città, soprattutto quelle costruite attorno ad antiche abbazie (St. Albans, Lincoln, Londra), si tentò di mantenere uno stile di vita romano lungo almeno tutto il V secolo, ma in gran parte dei centri si provvedette ad un largo riutilizzo delle aree amministrative per usi più consoni allo stile di vita germanico (ad esempio, molte terme divennero depositi di legname) (15).

Penetrazione sassoneIn definitiva, l'effetto più importante dell'invasione sassone fu solo una grande paura iniziale da parte dei britanno-romani, che si affrettarono a rioccupare e restaurare antichi forti di Roma, temendo saccheggi e massacri che, con tutta probabilità, non vi furono: praticamente nessuna area mostra reperti archeologici relativi a incendi e devastazioni e le prove effettuate sul DNA degli abitanti delle zone più direttamente Artùoccupate dai Sassoni mostrano una tale mescolanza di elementi di origine celtica e germanica da far pensare che la vita quotidiana dei più continuò assolutamente immutata, mentre solo la nobiltà lottò, semplicemente per mantenere i propri privilegi .
è da questa lotta che nacquero figure semi-mitologiche (ma certamente con un fondo di realtà effettuale) come quella di Artù (
16): mentre gli Anglosassoni occupavano il sud-est della Britannia, alcuni nobili romanizzati tentarono di resistere e mantenere l' “ordo romanus” nelle loro aree, ma il dominio di Roma era finito e le loro vicende sono oggi talmente inestricabilmente intrecciate alle leggende popolari e letterarie che lo storico deve fermarsi.

   
    

NOTE:

   

(1) L.Sudbury, I Celti: padri d'Occidente, www.storiamedievale.net, febbraio 2008.
(2) P. Salway, Roman Britain, Oxford Paperbacks, Oxford 2000, pp. 8-21.
(3) J.Cannon, The Oxford Companion to British History, OUP, Oxford 2001, pp. 28-37.
(4) P. Salway, Roman Britain, citato, passim.

(5) Ivi , pp. 284 ss.
(6) J. Balck, A History of the British Isles, Palgrave Macmillan, Londra 2003, pp. 126 ss.
(7) A.K Bowman, Life and Letters on the Roman Frontier, British Museum Press, London 1998, p. 89.
(8) R. Hutton, The Pagan Religions of the Ancient British Isles: Their Nature and Legacy, Wiley-Blackwell, Birmingham, 1993, pp. 311 ss.
(9) G. Webster, Boudica:
The British Revolt Against Rome AD 60, Routledge, Londra, 2000, passim.
(10)  P.C. Tacito, De vita et moribus Iulii Agricolae.
(11) R. Michael, K.e O. Frey, The Complete Chronicle of the Emperors of Rome, Thalamus Publishing, N.Y. 2005, passim.

(12) P. Salway, Roman Britain, citato, pp. 336 ss.
(13) J.Campbell, E.John, P.Wormald, The Anglo-Saxons, Penguin, Londra 1991, passim.
(14) In particolare il Beowulf.
(15) B.Sykes, Saxons, Vikings, and Celts: The Genetic Roots of Britain and Ireland, Norton, Londra 2007, passim.
(16) Anche se non è chiara la reale esistenza di un Arthur (anche se un certo Artorus pare essere realmente esistito) è confermato che popolazioni native celtiche si unirono al fine di arrestare l`espansione occidentale degli anglo-sassoni, cosa che in effetti si protrasse per quasi cento anni.

    

    

©2008 Lawrence M.F. Sudbury

     


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