I Celti sono probabilmente il popolo (o meglio
          l'insieme di popoli di origine comune) più antico in cui ogni europeo
          possa riconoscere la propria origine. 
           Tra
          il 900 ed il 400 a.C., il loro dominio si estendeva dal Ponto
          alla Britannia e dal Mare del Nord alla penisola iberica. Eppure, su
          questo grande insieme di genti accomunate da simili strutture sociali,
          da una religione pressoché comune e da lingue dello stesso ceppo, il
          silenzio dei libri di scuola è inspiegabilmente quasi totale. 
           
          Sicuramente gioca  molto l'immagine di
          barbarie e primitivismo (in realtà per nulla confacente al vero) che
          certa cultura illuminista ha attribuito a tutte le popolazioni
          estranee alle civiltà ellenico-romane del Mediterraneo, una immagine
          solo parzialmente riabilitata dal romanticismo (incluse le teorie,
          spesso più fantasiose che scientifiche, della Irish
           Renaissance)
          e che ha fatto sì che solo da pochissimi anni, anche sull'onda di
          mode culturali quali quella della Next
          Age, che, pur con una certa approssimazione, hanno voluto
          vedere nella cultura celtica una sorta di antesignana dell'ecologismo
          e dello spiritualismo naturalistico, si sia cominciato ad effettuare
          seri studi antropo-storici sulle popolazioni celtiche. 
           
          Di fatto, però, questo silenzio, questa "mistericità" che
          ancora avvolge alcuni tratti della cultura più importante
          sviluppatasi nell'Età del Ferro, è, in gran parte, un frutto proprio
          di tale cultura, che non solo prediligeva, ma addirittura imponeva una
          trasmissione unicamente orale del proprio sapere. Il risultato è che
          ciò che conosciamo lo dobbiamo  praticamente solo a fonti
          scritte da "stranieri" venuti in contatto con i Celti, da
          Cesare (1) a Strabone (2),
          da Tito Livio (3) a Cassio Dione
          (4), e non ai Celti stessi e
          che, dunque, pur con i grandi passi avanti dovuti a numerose recenti
          scoperte archeologiche, per ricostruire la maggior parte della storia
          dei Celti, praticamente tutta quella che precede il VI secolo, ci
          dobbiamo affidare unicamente a supposizioni. 
           
          
          
        
        Proviamo
        a tracciare una linea evolutiva sulla base delle attuali conoscenze e
        delle teorie più diffuse. 
        Abbiamo già detto che l'origine comune dei Celti è indoeuropea, ma non
        abbiamo alcuna idea di quale fosse il nome che essi attribuivano alla
        loro razza (sempre ammesso che si riconoscessero in un ceppo comune e
        non unicamente nelle tribù o addirittura nei clan in cui erano divisi):
        la parola "celtico" ha origine dal greco  keltai
        usata dai Focei di  Marsiglia per denominare questi
        "barbari" con cui erano venuti a contatto. 
        Sappiamo con certezza che la loro principale area di stanziamento
        intorno all'inizio del I millenio a.C. doveva essere nell'Europa
        centrale, tra la Boemia e la Baviera, ove i Celti entrarono in
        contatto con la  cosiddetta "Cultura di Unetice", legata
        alla lavorazione dei minerali ed alla pastorizia (5). 
         
        Resta, però, ancora da capire come e quando fossero giunti in
        quest'area e, in quest'ambito, le ipotesi sono numerose.   Secondo
        alcune teorie (6), verso l'inizio
        del IV millennio a.C.doveva esistere nella zona baltica una civiltà,
        che potremmo definire proto-celtica e che alcuni, senza alcuna prova
        effettiva, dipingono come  "atlantidea", già
        notevolmente progredita, con una cultura religiosa già fortemente
        sviluppata in senso unitario e con  una certa esperienza nella
        navigazione. La capacità di spostamento di questi proto-celti e il loro
        avanzamento scientifico sarebbero, secondo gli assertori di questa
        ipotesi, provate dalle costruzioni megalitiche dei menhir della Bretagna
        (Carnac), dell'Irlanda, del Galles e dell'Inghilterra (Stonehenge), che
        dovevano avere come scopo la guida agli astri, in cui tali popolazioni
        credevano. 
         
        A seguito di cataclismi  e carestie, questo primo nucleo celtico
        sarebbe migrato verso Europa centrale, Grecia
        (dove avrebbero distrutto le culture achea e micenea), Anatolia, Palestina 
        ed Egitto, divenendo noto come Popoli
        del Mare: solo l' Egitto riuscì a respingere la loro invasione,
        la cui coda sarebbe stata rappresentata dai Dori che si stanziarono in
        Grecia ed in Egeo. è, in effetti, probabile che i Dori fossero un
        popolo di ceppo celtico, ma, alla luce di numerosi studi (7),
        sia una identificazione dei Popoli del Mare con nuclei celtici, sia una
        loro "discesa" da nord sono, in realtà, quantomeno dubbie. 
        
          
           Secondo
          un'altra teoria (8), ben più
          accreditata, tra il 3000 e il 2500 a.C., tre popolazioni indoeuropee:
          i Kurgan della zona del Volga - alto Mar Caspio, i Transcaucasici del
          Caucaso e i Nordpontini della zona del Mar Nero, tutte di origine
          indo-europea, si sarebbero mescolate e avrebbero proceduto ad una
          migrazione di massa che avrebbe coinvolto l'Anatolia (in cui sarebbero
          entrati in contatto con gli Ittiti), la Mesopotamia (in cui si
          sarebbero mescolati agli Arii), la Grecia Micenea e l' Europa centrale
          (contatto con la cultura di Unetice in Boemia). 
          La coda di questa migrazione
          orientale ebbe forti contatti con gli Sciti che, attorno all'800 a.C.,
          si diffusero in Mesopotamia (dando luogo alla cultura caldea e in
          seguito a quella assira), in Anatolia (in cui erano già presenti
          Frigi, Lidi e Pontini), in Grecia, in Italia (dove, dal 900 a.C.,
          erano presenti gli Etruschi e, ancora prima, i Liguri e gli Italici )
          ed in Europa centrale. Dagli Sciti i protocelti mutuarono molte
          usanze, dall'uso delle tombe a tumulo, all'allevamento del cavallo,
          ritenuto sacro, dal rito di tagliare e conservare la testa del nemico
          a protezione della propria capanna, alla suddivisione in classi
          sociali, ove aristocratico era colui che possedeva più cavalli. 
           
           Due
          teorie radicalmente differenti, dunque. Entrambe, però, non danno
          conto  della origine primaria della razza. Una  terza
          ipotesi (9), basata su studi etno-storici e
          recentemente sviluppata, sembra colmare tale lacuna. Come già altrove
          accennato (10), alcuni studiosi (11),
          basandosi sulla presenza di particolari cromosomi (specificamente
          quelli che provocherebbero il colore rossiccio dei capelli) lungo una
          sorta di "scia" migratoria da est a ovest, hanno ipotizzato
          una origine celtica nella zona settentrionale dell'India, un loro
          passaggio con lunga permanenza, intorno al IV millenio a.C.,
          nell'odierno Afghanistan e una successiva migrazione (forse dovuta a
          inaridimento del territorio o alla pressione di altre popolazioni)
          occidentale che avrebbe portato i protocelti a ridosso degli Urali (e
          ci riagganciamo, qui, alla seconda ipotesi proposta).
          
              
        
           Quali che siano state le origini più remote
            di questo ceppo etnico, fu in Europa centrale, intorno al 700 a.C.,
            nella zona del Salzkammergut (Salisburgo e Carinzia), e fino al 450
            a.C., che si sviluppò la prima vera cultura celtica, quella di Hallstatt,
            resa fiorente dal commercio del sale e basata prevalentemente su due
            classi sociali legate  all'aristocrazia
            guerriera e al popolo dedito alla pastorizia. La fine della cultura
            di Hallstatt, dovuta probabilmente a conflitti interni, con nuovi
            ceti che aspirano al potere e soppiantano la vecchia aristocrazia hallstattiana (12),
            segna l'inizio della  cultura di La
            Tene (450 - 50 a.C.), sviluppatasi sul lago di Neuchatel  e
            caratterizzata, oltre che da una spettacolare attività artistica,
            soprattutto dalla nascita di una forte rete di commercio di massa e
            dalla conseguente nascita di una protoborghesia (13).
            Dalla zona tra  basso Rodano e alto Danubio, a  partire già
            dal 700 circa a.C., principalmente per ragioni demografiche di sovrappopolamento, la loro espansione interessò le isole
            britanniche (già raggiunte da una prima ondata precedente) e la
            penisola iberica (Celtiberi)
            e, successivamente, l'Italia settentrionale e i territori dei
          Balcani, in cui vennero a contatto con l'impero di Alessandro Magno
            e svolsero attività di mercenari, mentre una parte ritornò verso
          l'Asia Minore (Galati) (14).
  
             Particolarmente
            interessante è il fatto che la doppia migrazione verso l'odierna
            Gran Bretagna mostra una nettissima evoluzione di questo popolo tra
            900 e 500 a.C.: la prima ondata migratoria fu legata a popoli di
            lingua gaelica, che, forse partiti dalla Spagna settentrionale,
            approdarono in Irlanda, Scozia e Isola di Mann e svilupparono una
            lingua denominata Celtico Q,
            poiché al posto della lettera k
            si utilizzava la lettera q;
            la seconda migrazione fu caratterizzata da popoli britannici, che
            partiti dal Belgio, in piena età lateniana, dunque nella massima
            fase dello sviluppo socio-economico, colonizzarono Inghilterra,
            Galles e Cornovaglia, sviluppando il Celtico
            P, poiché la k era
            sostituita da p (ad esempio,
            cavallo, in indoeuropeo ekuos
            divenne equos in gaelico e epos
            in britanno). La mutazione consonantica q-p non fu che una delle
            differenze tra le popolazioni delle due ondate: le prime vivevano in
            fortificazioni, le seconde in villaggi ed è probabile che la
            migrazione dei secondi spinse i primi verso zone più lontane (non a
            caso il termine "gaelico"
            deriva dalla parola "gwyddel"
            che significa "selvaggi"
            e fu attribuita, nella seconda migrazione, dai Gallesi agli avi
            degli Irlandesi della prima migrazione) (15). 
            
              
               
               Per
              quanto riguarda, invece, la penisola italica, una prima mescolanza
              tra i Celti e gli Etruschi dell’Italia centro-settentrionale,
              probabilmente del V secolo a.C.,  è confermata da scavi
              archeologici di sepolture che fanno pensare a frequenti matrimoni
              misti fra i due popoli, e soprattutto di oggetti identici a quelli
              ritrovati in area celtica transalpina. Sono reperti significativi
              di una contiguità che venne a crearsi già dal primo momento, e
              forse anche di rapporti non sempre ostili. è
              difficile definire
              le caratteristiche delle prime invasioni; l’unica certezza è
              che i Celti italici mantennero relazioni con quelli d’Oltralpe e
              che la successiva invasione (IV sec.) fu preparata ed eseguita con
              la loro collaborazione. 
              I motivi che spinsero i Celti ad occupare l’Italia sono
              anch’essi oscuri: forse furono attratti dalla fertilità e dal
              clima mite del Meridione, o, più probabilmente, furono costretti
              a spostarsi, come detto, a causa della pressione demografica unita
              alla scarsità di terre coltivabili e ad altri problemi di
              carattere politico e sociale. Verso l’inizio del IV secolo a. C.
              i Celti - o Galli, secondo
              la definizione latina - si stanziarono in Lombardia fino ai
              confini con il Veneto, in Emilia (Anari e Boi), in Romagna (Lingoni)
              e nelle Marche (Senoni), regioni praticamente sottratte agli
              Etruschi e agli Umbri. La presa di Roma (390-386 a. C.) da parte
              di Brenno (in realtà Brennan,
              nome del dio della guerra, era assunto da ogni capotribù in
              battaglia) fu vissuta, secondo le fonti antiche, come un evento
              traumatico e fu  probabilmente per questo che  il fiero
              popolo romano volle giustificare quella sconfitta con la ferocia
              degli aggressori. Oggi, invece, si tende a considerare
              l’invasione celtica non come quella di un’orda selvaggia, ma
              piuttosto di una vasta comunità costretta a lasciare il proprio
              territorio d’origine per problemi di sopravvivenza. E’
              possibile che l'espansione sia poi proseguita verso sud-est senza
              ulteriori grossi traumi (16). 
               
              Il IV secolo segna l'apogeo della grandezza delle tribù celtiche,
              stanziate praticamente ovunque in Europa, come  facilmente
              visibile dando un'occhiata ad una cartina degli stanziamenti del
              periodo.
             
            
              
                
                   
                       
                  
                
                  
                    
                  
                    
                      
                        | 
                           Tribù
                          Galliche stanziate in Europa nel periodo di Cesare: 
                          
                           
                            
                            Gallia
                            (attuale Belgio, Francia e Svizzera):
                            Allobrogi(Vienne); Ambiani (Amiens); Ambiliati;
                            Andecavi o Andi (Angers); Aquitani (Bordeaux);
                            Atrebati (Arras); Arverni (Auvergne); Aulerci
                            Eburovici (Normandia); Ausci (Aquitania); Baiocassi
                            (Bayeux, poi in Pannonia); Bellovaci (Beauvais);
                            Betasii; Bigerrioni(Aquitania); Biturigi (Bourges);
                            Boi (Aquitania, poi in Emilia Romagna, Pannonia e
                            Boemia); Carnuti (Chartres); Catalauni (Chalons);
                            Caturigi (valle dell'alta Durance); Cenomani (Le
                            Mans, poi in Lombardia e Veneto); Ceutroni (valli
                            dell'Isere e dell'Arc); Cocosati (Aquitania);
                            Coriosiliti (Corseul); Diablinti; Edui - Bibracte (Saone
                            et Loire); Elusati (Aquitania); Elvezi ( La Tene);
                            Garonni (Aquitania); Gati (Aquitania); Graioceli
                            (Moncenisio); Lemovici (Limoges); Lessovi
                            (Normandia); Leuci; Lingoni; Mandubi; Mediomatrici
                            (Metz); Meduli (Medoc); Meldi (Meaux); Menapi (Cassel);
                            Morini ( Boulogne-sur-Mer); Namneti (Nantes);
                            Nantuati (Martigny); Nervi (Bavay ); Osismi; Parisi
                            (Parigi); Petrocori (Périgord); Pictoni (Poitiers);
                            Ptiani (Aquitania); Redoni (Rennes); Remi (Reims);
                            Santoni (Saintes); Seduni (Martigny); Segusiavi
                            (Loira); Senoni (Orleans); Sequani (Besançon);
                            Sibuzati (Aquitania); Soziati (Aquitania); Suessioni
                            (Soissons); Tarbelli (Aquitania); Tarusati
                            (Aquitania); Tolosati (Tolosa); Treviri, Treveri (Trier);
                            Tricassi (Troyes); Tungri (Tongeren); Turoni (Tours);
                            Unelli (Normandia); Vangioni (Worms); Veliocassi (Rouen);
                            Vellavi (Ruessium); Veneti (Bretagna); Veragri (Martigny);
                            Viducassi (Vieux); Viromandui (Vermandois); Vocati
                            (Aquitania); Voconzi (Vaison-la-Romaine); Volci. 
                            -
                            Inghilterra,
                            Irlanda, Scozia e Galles: Ancaliti (Hampshire
                            e Wiltshire, Inghilterra); Atecotti (Scozia o
                            Irlanda); Atrebati (Hampshire e Berkshire,
                            Inghilterra); Autini (Irlanda); Belgi (Wiltshire e
                            Hampshire, Inghilterra); Bibroci (Berkshire,
                            Inghilterra); Briganti (Inghilterra settentrionale);
                            Briganti (Irlanda); Cereni (Sutherland,
                            Inghilterra); Caledoni (Invernessshire, Scozia);
                            Cantiaci (Kent, Inghilterra); Carnonaci (Highland
                            scozzesi occidentali); Carvezi (Cumberland,
                            Inghilterra); Cassi (Inghilterra); Catuvellauni (Hertfordshire,
                            Inghilterra); Cauci (Irlanda); Corieltauvi (Leicestershire);
                            Coriondi (Irlanda); Corionotozi (Northumberland,
                            Inghilterra); Cornovi (Caithness, Inghilterra);
                            Cornovi (Cheshire, Inghilterra); Cornovi
                            (Cornovaglia, Inghilterra); Creoni (Argyllshire,
                            Scozia); Damnoni (Strathclyde, Inghilterra); Darini
                            (Irlanda); Deceangli (Flintshire); Decanzi (Ross
                            orientale, Inghilterra); Demezi (Dyfed, Galles);
                            Dobunni (Gloucestershire); Dumnoni (Devon,
                            Inghilterra); Durotrigi (Dorset, Inghilterra);
                            Eblani (Irlanda); Epidi (Kintyre, Inghilterra);
                            Gangani (Irlanda); Gangani (penisola di Lleyn);
                            Erpeditani (Irlanda); Iberni (Irlanda); Iceni (East
                            Anglia, Inghilterra); Lugi (Sutherland orientale,
                            Inghilterra); Magnazi (Irlanda); Manapi (Irlanda);
                            Novanzi (Galloway, Inghilterra); Ordovici (Gwynedd,
                            Galles); Parisi (East Riding, Inghilterra); Regnensi
                            (Sussex, Inghilterra); Robogdi (Irlanda); Segonziaci
                            (Inghilterra); Selgovi (bacino superiore del Tweed,
                            Inghilterra); Setanzi (Lancashire, Inghilterra);
                            Siluri (Gwent, Galles); Smerzi (Sutherland
                            meridionale, Inghilterra); Tassali (Aberdeenshire,
                            Scozia); Trinovanti (Essex, Inghilterra); Vacomagi (Banffshire,
                            Inghilterra); Velabri (Irlanda); Veniconi (Strathmore,
                            Inghilterra); Vennicni (Irlanda); Vodie (Irlanda);
                            Votadini (Lothian, Scozia). 
                            -
                            Italia
                            settentrionale: Anari (Emilia); Boi (Emilia);
                            Carni (Carnia); Cenomani (Brescia); Anari (Oltrepò
                            Pavese); Graioceli (Moncenisio); Insubri
                            (Lombardia); Lingoni (Ferrara); Orobi (tra Como e
                            Bergamo); Salassi (Aosta e Canavese); Senoni (dalla
                            Romagna ad Ancona);Taurini (Torino); Vertamocori
                            (Novara) 
                            -
                            Europa
                            centrale: Anartii (Ungheria); Arabiati (Illiria);
                            Boi (Repubblica ceca, Slovacchia, Ungheria e
                            Germania); Cotini (Slovacchia); Eravisci (Ungheria);
                            Ercuniati (Illirico); Osii (Slovacchia); Scordisci
                            (Croazia, Serbia); Taurisci (Norico). 
                            -
                            Spagna e
                            Portogallo: Arevaci; Asturi; Cantabri;
                            Carpetani; Celtiberi (Spagna); Cineti (Algarve,
                            Portogallo meridionale); Calleci (Portogallo e
                            Spagna); Lusitani (Portogallo); Vaccei; Vardulli. 
                            -
                            Turchia:
                            Galati.
                            
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            Come poté accadere, dunque, che un insieme
            di popolazioni così vasto e, come vedremo meglio nella seconda
            parte di questa breve ricognizione, così socialmente strutturato
            sia sul piano delle relazioni interne che delle questioni
            politico-economiche internazionali, potesse essere sconfitto da un
            popolo molto più piccolo come quello romano? 
            La risposta a questa domanda risiede essenzialmente in due soli
            concetti: unità e organizzazione militare. 
             In
            primo luogo, si è in precedenza detto che è assolutamente
            scorretto parlare di un "popolo celtico": sia dai racconti
            degli storici romani che dagli scarsi documenti scritti celtici
            pervenutici (soprattutto da cronache irlandesi) risulta
            assolutamente evidente (17)
            che nessun celta, pur comprendendo di far parte di un vasto gruppo
            etno-culturale, sentisse alcun legame verso il proprio macro-insieme
            di popolazione. I vincoli di fedeltà erano, tuttalpiù, personali
            verso un capotribù (con conseguente vincolo solo tribale), ma, in
            larga parte, unicamente sentiti verso il proprio nucleo familiare
            allargato, il clan. 
            È ovvio che, con queste premesse, fosse praticamente impossibile
            per i celti organizzare alleanze estese in funzione antiromana: solo
            in qualche caso, ad esempio contro Cesare, riuscirono ad organizzare
            qualche forma di unione provvisoria e instabile tra tribù, ma
            furono esperienze limitate sia nel numero che nel tempo, che
            mancarono sempre della coesione necessaria ad affrontare una
            organizzazione sociale come quella romana, che faceva del culto
            patrio una sorta di religione di stato: la società dei Celti,
            sebbene nell’ultimo periodo della sua storia fosse arrivata ad un
            ragguardevole livello di organizzazione, purtroppo rimase sempre
            prigioniera delle proprie divisioni interne. Fu principalmente
            questo, e non la barbarie, l’ignoranza e l’arretratezza di un
            popolo che non aveva nessuna di queste tre prerogative, a
            determinare la loro sconfitta  da
            parte dei Romani che ebbero la meglio prima sulle popolazioni
            insediatesi in Italia Settentrionale (la cosiddetta Gallia
            Cisalpina) e poi, con Cesare, anche su quelle che abitavano
            l’Europa continentale (la Gallia Transalpina). All’epoca delle
            guerre galliche, infatti, molte tribù non videro in Cesare l’
            “invasore”, ma solo un altro potenziale alleato con il quale
            stabilire eventuali intese. Così, anche di fronte ai Romani, le
            tribù celtiche non trovarono una ragione di unione, ma si divisero
            fra quelle che avevano deciso di sostenere Cesare e quelle che
            invece avevano risolto di combatterlo. A parte la breve parentesi
            della ribellione guidata da Vercingetorige, quindi, le varie
            popolazioni celtiche non fecero mai causa comune. Fu questo il
            motivo di base della caduta di quella civiltà che, se solo più
            coalizzata, avrebbe potuto dominare su tutta l’Europa centrale (18). 
            In secondo luogo (ma forse si potrebbe più
            propriamente parlare di un semplice corollario della ragione sopra
            accennata), forse proprio i punti di forza di quello che è oggi il 
            fascino peculiare dell'antico mondo celtico, la sua spiritualità e
            la sua individualità sfrenata, furono gli elementi che portarono al
            suo tramonto quando questo mondo entrò in contatto con la
            disincantata civiltà romana, che viveva agli opposti concettuali:
            alla spiritualità opponeva la prammatica praticità e
            all'individualismo, l'arma più distruttrice e dominatrice mai
            creata: il servizio militare con ferrea disciplina. L'
            individualismo guerriero venne meno al confronto con la fredda e
            calcolata strategia militare, nonostante i Celti fossero più
            numerosi dei romani e impugnassero armi spaventosamente  più
            micidiali. «Se vuoi sapere come i
            Romani hanno conquistato il mondo conosciuto,» afferma il
            grande scrittore fantasy ed esperto di strategie militari David
            Gemmell (19), «la
            risposta è il gladio, la corta spada che usavano. Una lama di 18
            pollici con cui effettui affondi è diversa da una spada di tre
            piedi con cui fai dei fendenti - questo significa che puoi stare
            spalla a spalla su un muro, dove una lama calata di taglio ti
            manterrebbe a sei piedi in ogni direzione dai tuoi compagni. Non
            importa quanto i Celti superassero in numero i Romani, al momento
            del contatto erano tre a uno per i Romani». 
            Così, dunque, la più grande civiltà dell'età del ferro, con la
            sola eccezione di Scozia e Irlanda, venne sottomessa, inglobata
            nell'Impero, colonizzata e romanizzata, snaturandosi e finendo per
            "scomparire" per oltre 2000 anni. 
             
           
        
         
        Note: 
        
          (1) Caio Giulio Cesare, De
          Bello Gallico, passim..
          (2) Strabone, Geografia,
          libri III, IV, VI , VII. 
           
          (3) Tito Livio, Storia
          di Roma, libro V. 
           
          (4) Cassio Dione Cocceiano, Storia
          di Roma, libri LI-LIV. 
           
          (5) C. Renfrew, Archeology
          and Language - the Puzzle of IndoEuropean Origins, Penguin,
          Londra 1989, pp. 208 ss. 
          (6) Ad esempio, J. Layard, I
          Celti - alle radici di un inconscio europeo, Xenia, Milano
          1995, pp. 28-42. 
          (7)
          Ad esempio, L. Melis,  Shardana
          - I Popoli del Mare, CDE, Cagliari 2002, passim e L. Sudbury, Hanebu.
          I Popoli Perduti che Crearono il Mediterraneo, in Hera, dicembre
          2007. 
          (8) P. Berresford Ellis, The
          Celts, Carroll & Graf, Manchester 2003, passim. 
          (9) Ad esempio,  B.
          Cunliffe, The Ancient Celts, Penguin, London 2000, pp. 36-48. 
          (10) L. Sudbury,  BarBar
          o «della genericità»,
          www.storiamedievale.net, gennaio 2008. 
          (11) Tra gli altri, B.
          McEvoy, M. Richards, P. Forster, D. G. Bradley, The
          Longue Durée of Genetic Ancestry: Multiple Genetic Marker Systems and
          Celtic Origins on the Atlantic Facade of Europe, in The
          American Journal of Human Genetics, ottobre 2004. 
          (12) B. Cunliffe, The
          Oxford Illustrated Prehistory of Europe, Oxford O.U.P, 1994, pp.
          250-254. 
          (13) J.Collis, The
          Celts: Origins, Myths, Invention, Tempus, London 2003, passim. 
          (14) P. Berresford Ellis, The
          Celts cit., pp. 112-141. 
          (15) J. Carey, J.T. Koch, The
          Celtic Heroic Age: Literary Sources for Ancient Celtic Europe &
          Early Ireland & Wales, David Brown Book Company, Cardiff
          2003, pp. 81. 
          (16) J. De Galibier, L'epopea
          dei Celti. Storia e Mistero, Keltia, Aosta 1998, passim e  www.celticanapoletana.org. 
          (17) Un'ampia sintesi è
          rinvenibile in J. Carey, J.T. Koch, The
          Celtic Heroic Age: Literary Sources for Ancient Celtic Europe &
          Early Ireland & Wales cit., passim. 
          (18) C.Nicolet,
          Rome et la Conquête du Monde Méditerranéen, tomo I, PUF,
          Parigi 2001, pp. 409 ss. e  www.signainferre.it. 
          (19) Citato in F. Truppi, La
          riscoperta di una civiltà, in  www.celticworld.it. 
                 
          
        
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