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GALATONE, CASTELLO
(ex palazzo marchesale Belmonte Pignatelli)
a cura di Giuseppe Resta
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pag. 1 - pag. 2 scheda cenni storici i documenti analisi delle fonti iconografiche genesi del castello la torre il Rinascimento e il palazzo barocco l'età contemporanea
Il lato restaurato del castello.
Veduta d'assieme del castello.
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La
torre è di forme prismatiche platoniche: tronco piramidale la base e
cubica la parte finale al primo piano; pochissime le concessioni ai
vuoti nella piena cortina muraria.
Le
forme sono quelle scarne e funzionali dell’architettura militare
romanica, unica concessione decorativa il cordolo posto alla fine
della scarpa; forme, a causa delle grandi superfici piane, non adatte
a resistere ai colpi delle armi da fuoco pesanti. La struttura era
quindi concepita come difesa passiva. Solo alcune caditoie
assicuravano un contributo di difesa piombante. La guarnigione di
stanza nella torre non doveva nemmeno disporre di arcieri, né tanto
meno di balestrieri, mancando assolutamente di feritoie arciere e
balestriere.
Le
stesse forme sono riscontrabili anche nel torrione di Mesagne,
l'unico a pianta quadrangolare del locale castello, per alcuni, fatto
costruire nel 1062 da Roberto il Guiscardo e rinforzato con due
torrette verso il 1430 dagli Orsini del Balzo.
Altre
spiccate analogie si ritrovano col torrione tozzo e quadro,
anch’esso con scarpa pronunciata, che appartiene alla parte tardo
sveva del castello federiciano di Oria o, ancor più, a quello del
castello costiero di Villanova
presso Ostuni. Altra similitudine formale, già precedentemente
esplicitata, si riscontra nella torre angioina inglobata nel castello
cinquecentesco di Copertino. Come appare nei dipinti
cinque-seicenteschi, conservati nei templi galatei, già
precedentemente confrontati, e nella descrizione dell’Apprezzo
della terra di Galatone del 1734, la torre era dotata di merlatura e
di quattro garitte d’angolo, in pietra.
Un’attenta
osservazione dei corsi terminali della torre, attualmente, lascia
intravedere delle risarciture e l’innesto murario appartenuto ad
alcuni gattoni lapidei che sorreggevano degli apparati a sporgere
murari dotati di piombatoie, ora demoliti.
Fino
alla fine dell’Ottocento, la Torre era contornata da un fossato e da
un vallo, come pure tutte le mura cinquecentesche.
Al
piano terra ospitava le carceri. Quest’ultimo piano inizialmente era
raggiungibile solo dalla scaletta, ancora esistente, inserita
all’interno della muraglia sud. Dopo si aprì una porticina sul lato
ovest, a fianco di quella esistente attualmente verso il lato
dell’arco d’ingresso. Il
piano superiore era raggiungibile solo attraverso il ponte levatoio, a
singola trave, di cui si vede ancora chiaramente la sagoma negli
incassi murari sul lato ovest, accanto alla postierla superiore.
Questa passerella poggiava sicuramente su di un battiponte, sito su di
un torrino, ora trasformato dalla costruzione giustapposta del
monumentale portone degli Squarciafico,
munito dalla lapidea scala a chiocciola interna, che solo durante i
recenti restauri è venuta alla luce; quella stessa scala che è molto
simile a quella del “Cappellone” angioino della Lizza di Alezio.
In
epoca ottocentesca, aperta la larga breccia sulla piazza, ancora oggi
usata come porta d’entrata della torre, il piano terreno ha svolto
funzioni di stalla (si vedono
ancora le mangiatoie ricavate nel pieno della muraglia) e locanda.
Fu quasi sicuramente nello stesso periodo che si aprirono a forza le
due finestre strombate verso l’interno poste sul lato est.
IL
RINASCIMENTO e il Palazzo Barocco
Dopo
un lungo periodo di vuoto documentario, ritroviamo nel 1407 Galatone e
Fulcignano ceduti, dal regno di Napoli, ad Ottino
De Cariis, detto il Malacarne. Costui, ai tempi
della regina di Napoli Giovanna II e delle guerre tra Angioini ed
Aragonesi, sostenne dure lotte con il comandante di ventura Giacomo
Caldora e con Giovanni Antonio Orsini, principe di Taranto.
Fu
a causa di queste guerre che si ebbe un primo serio danneggiamento
delle mura trecentesche.
Alle
guerre tra Angioini ed Aragonesi segue un lungo periodo di demanialità
della Terra di Galatone durante il quale l’Orsini, ristabilita la
pace in terra d’Otranto, ricostruì ed ampliò le fortificazioni
direttamente o attraverso i suoi vassalli. Quasi sicuramente in questi
anni si ha la riedificazione, l'ampliamento ed il racconciamento
totale delle mura. A Galatina fu fatta la stessa operazione nel 1556.
Nella seconda metà del XV secolo i paesi del Salento diventano premio
di guerra, elargito, dal re di Napoli Ferdinando I, a quei condottieri
che l’avevano appoggiato nella lotta contro gli Angioini. Veglie fu
donata a Bernardo Castriota il 5 agosto del 1557, con atto del Notar
Bove.
Nel
1486, ai tempi dell’umanista galateo Antonio De Ferrariis, a
Galatone si ha l’avvento del marchese macedone Giovanni Granai
Castriota, giunto in Salento, dopo la rivolta albanese contro la
penetrazione ottomana degli anni 1443-48, al seguito di Giorgio
Scanderbeg.
A
lui risale uno stemma araldico con l’arme
dei Castriota su di un architrave in pietra leccese,
posta al piano primo del corpo centrale del palazzo, rinvenuto al di
sotto di uno spesso strato d’intonaco nei recenti restauri. Ciò
testimonia che il braccio frontale prospettante il cortile è
d’origine cinquecentesca.
Proprio
al piano sottostante la predetta finestra con lo stemma, è stata
scoperta recentemente una scaletta interna, ricavata nello spessore
del muro. Di questa scala si ha menzione nell’Apprezzo quale
«cataratta per cui si calava nella cucina descritta nell’angolo
del cortile». Nonostante i pesanti rimaneggiamenti arrecati alla
struttura dai monaci, si è riuscito ad individuare, in queste stanze,
che dovevano fungere da cucina di palazzo, sia un camino che uno
scarico d’acquaio.
La
costruzione di questo braccio del palazzo dovette comportare la
demolizione della scala esterna in pietra e gradi in leccese,
anch’essa rinvenuta nelle tracce murarie scoperte nel corso dei
recenti restauri, che, dall’angolo interno posto in fondo a destra,
portava sul ballatoio porticato che consentiva l’accesso al piano
primo. Da questa posizione fu spostata verso l’angolo destro del
cortile, dove sopravvisse sino agli anni cinquanta.
Il
ballatoio scomparso è ora facilmente intelligibile attraverso le
inserzioni murarie rinvenute. Gli andamenti delle arcate, i gradini in
leccese troncati nel pieno del muro ed i piani di calpestio sono
facilmente individuabili. Si deduce una tipologia ad arconi che ebbe
larga fortuna, spesso usata nell’architettura militare (corte
interna del Castello di Copertino) così come nell’edilizia
rurale fortificata (cortile interno della Masseria Morige Grande a
Galatone).
Finito
il tempo dei Granai Castriota, a Galatone sono insediati gli
Squarciafico, dal 1556 fino al 1588, della nobiltà mercantile
genovese. Nobili e banchieri, gli Squarciafico investono i guadagni
delle loro imprese commerciali e bancarie nell’acquisto di Galatone,
Copertino e altri centri come Leverano, Veglie, Lequile.
Avidi
ed espansionisti, potenziano il palazzo di Galatone, dotandolo
dell’attuale portale d’ingresso. La costruzione del nuovo portale
monumentale ridimensiona l’importanza del ponte levatoio e del
fossato attorno alla torre. Ciò dimostra, come in precedenza
illustrato, che incominciano a venir meno nel castello i presupposti
delle rigide protezioni militari: da questo periodo l’edificio cessò
la sua funzione militare-feudale per assumere sempre di più quella
signorile- padronale. Nonostante questo si notano sul portale tre fori
per schioppi. Probabilmente si devono agli Squarciafico anche le opere
d’accrescimento del palazzo sul lato di Via Castello. Quel lato dove
si formano i nicchioni, recentemente scoperti, atti a permettere la
vendita delle derrate prodotte dal feudo direttamente sulla piazza
antistante. Inizia la dinastia Uberto, gli succede nel 1562 il figlio
Stefano maritato a Vittoria Doria, ed a questi, nel 1567 il figlio
minore Giulio Cesare, che ha per tutori la zia Livia Squarciafico ed
il marito di lei Galeazzo Pinelli.
Dal
1588 il feudo ed il castello passano a Cosimo Pinelli, figlio di Livia
Squarciafico.
Furono
Cosimo Pinelli e sua madre Livia Squarciafico a far erigere a Galatone,
tra il 1599 e il 1600, sulle prime propaggini delle Serre Gallipoline,
la chiesa ed il Convento di S. Francesco affidandolo ai frati
cappuccini. Anche qui si nota lo stemma
a sei pigne incastonato nel frontale. All’interno vi è la cappella
sepolcrale della Famiglia Pinelli. Vi sono sepolte Caterina, figlia di
Cosimo; Nicoletta, nipote di Cosimo, figlia di Galeazzo Pinelli e
Giustiniana Pignatelli; Anna Ravaschieri Caracciolo, moglie del nipote
di Cosimo, Cosimo junior, figlio di Galeazzo.
Cosimo
si sposa con Nicoletta Grillo, anch’essa della nobiltà genovese. Da
questa avrà un unico figlio maschio: Galeazzo Pinelli.
A
Cosimo Pinelli, nel 1602, succede Galeazzo Francesco Pinelli
coadiuvato dalla madre Nicoletta Grillo. Alla successione di questi
viene redatto un inventario dei beni consistenti anche in: «uno
castello cum diversi membri; sala, camera, torre, cortiglio, stalle,
cantine, giardene, et altri membri, con puzzo seu trozza, cisterne
tre, sito dentro la terra di Galatone». Sempre al
fortunato periodo tra gli Squarciafico ed i Pinelli devono ascriversi
quelle «...rovine di un’antica Gallaria, che era ornata
con statue di pietra, di cui tuttavia ne apparono le vestiggia»,
di cui si fa menzione nell’Apprezzo.
La galleria, sita al piano primo del Palazzo, all’epoca dell’Apprezzo
è già estremamente malandata, ma la succinta descrizione rimanda
alla tipologia di galleria presente nel palazzo Castromediano a
Cavallino, dove soffitti affrescati con le costellazioni ed i simboli
dello zodiaco e statue allegoriche di altezza superiore alla naturale
rendono trionfante l’esemplificazione architettonica ed artistica
del sapere dell’epoca.
Intanto
Cosimo junior Pinelli impalma la marchesa Anna Ravaschieri Caracciolo
(che abbiamo trovato sepolta nella cappella della chiesa di S.
Francesco ai Cappuccini) traendola dal convento ove è rinchiusa. Con
lei concepisce nove figli. Il secondo di questi, Gaetano, gli succederà
(il primogenito, Galeazzo Antonio, fu interdetto dalla successione
perché “fatuo”).
Agli
sventurati maschi di casa Pinelli, nel 1722, succede finalmente la
figlia di Oronzo Anna Francesca Pinelli, principessa di Belmonte,
duchessa di Acerenza, marchesa di Galatone, Veglie, Leverano, contessa
di Copertino, sposata con il marchese Antonio Pignatelli, generale
dell’impero.
Sono
i Pinelli-Pignatelli, e non altri, che fabbricano, negli anni a
cavallo fra il Cinquecento ed il primo decennio del Seicento, la
facciata monumentale dalle finestre e dai balconi sontuosamente
decorati, la sala sulla piazza all’angolo del piano primo, detta
“del principe”, e la scala monumentale con le finestre di facciata
sfalsate. Tutte queste realizzazioni architettoniche sono opere
baroccheggianti, tipiche del Seicento salentino, sia
nell’impostazione compositiva sia nel decoro esterno ed interno.
Questo
decoro, sovrapponendosi, nelle finestre, a metope e triglifi di
partitura classica, raffigura ritratti in bassorilievo ed
interpretazioni stilizzate dei Pinelli (le pigne) e dei
Pignatelli (le pignatte di coccio), ritratti di cavalieri in
cimieri da parata, e mascheroni sputaracemi, teste di vitelli
inghirlandati, trionfi e festoni di fichi, melograni, alloro ed
acanto. Si fa sfoggio, dunque, di tutta la simbologia iconografica di
fecondità e prosperità, con evidenti e marcate allusioni sessuali (il
fico maturo, il melograno spaccato) e di prolificità
naturalistica e classicheggiante (la
pigna dai molti semi, il vitello inghirlandato). Va però
ricordato che tutta questa simbologia beneagurante non salverà i
Pinelli dal tracollo finanziario.
Sullo scudo araldico, posto in cima alla caratteristica parasta angolare del palazzo, si legge lo stemma coronato ed inquartato che riporta le armi degli Squarciafico (la ruota crociata), dei Pinelli (le pigne), dei Grillo (il grillo), dei Pignatelli (le pignatte) e dei Ravaschieri di Belmonte (le bande diagonali). Quest’ultimo blasone ci svela che, all’epoca del completamento della lesena d’angolo già era avvenuto il matrimonio tra Cosimo junior Pinelli-Pignatelli e Anna Ravaschieri. Tutte queste realizzazioni architettoniche sono opere baroccheggianti, tipiche del Seicento salentino, sia nell’impostazione compositiva sia nel decoro esterno ed interno.
Nel
1743 il Castello è vittima di un terremoto. Una parte del Palazzo
Marchesale risulta danneggiata. La si ricostruirà in forme più
semplici negli anni successivi a spese di Francesca Pinelli. Nel 1748
qui si celebrerà il matrimonio della figlia a testimonianza che la
ricostruzione doveva essere già terminata in quella data.
Il
controverso periodo feudale ha termine, ma solo burocraticamente, il 4
agosto 1804 con il conte Giuseppe Pignatelli. Ma torre e palazzo
rimangono di proprietà dei Belmonte sino al 1927, anno in cui la
marchesa Anna Granito di Belmonte ne fa dono all’ordine dei Frati
Minori Terziari dell’Addolorata, i cosiddetti Monaci Spagnoli.
A
loro rimane sino al 1981, quando il palazzo fu acquisito dal Comune di
Galatone. Nel lungo periodo in cui il Palazzo è rimasto in proprietà
dei Monaci Spagnoli, si sono fatti continui lavori ed interventi di
riadattamento e edificazione. Bisognerà aspettare la metà degli anni
’70, la cultura di massa ed il folklorismo, per incominciare a veder
ridestato l’interesse per le tradizioni e l’antico patrimonio
culturale popolare ed urbano. è
infatti nel 1969 che si restaura la torre, liberando la base dalla
rimessa che insisteva sull’odierno giardinetto dedicato ad Antonio
De Ferrariis. Di questi ultimi anni sono i lavori di restauro e
consolidamento che permetteranno un uso convegnistico-culturale
dell’intero complesso. I lavori, già avanzati, completeranno
l’opera nel 2006.
©2004 Giuseppe Resta. La prima foto riquadrata, di Meliorfoto, è tratta dal sito www.panoramio.com.