Sei in: Mondi medievali ® Castelli italiani ® Marche ® Provincia di Ancona

ANCONA, LA CITTADELLA

a cura di Fabio Mariano (Istituto Italiano Castelli - sezione Marche)

scheda    cenni storici    video


 

In alto: la Cittadella in una foto di Flaviano Fava, Ancona (http://web.tiscali.it/anconafoto). In basso: un'immagine del 1920 ca., con la Cittadella ancora libera dalle alberature che oggi ne limitano la visibilità che era invece peculiare di una struttura difensiva militare.

  clicca sulle immagini in basso per ingrandirle

Ancona

 

La Cittadella ed il Campo Trincerato in una planimetria di Ancona del 1859  Particolare  Particolare


       


Epoca: XVI secolo, su preesistente impianto.

Conservazione: buona.

Come arrivarci: con l'autostrada A-14 o con la strada statale 16.

    

Cenni storici.

Della più antica fortificazione anconitana sul colle dell'Astagno si ricorda solo il nome "la Guardia", forse un semplice torrione, che venne sostanzialmente rifondato ed ingrandito a cassero dai Malatesta dopo il 1348, assieme a quello sul Colle dei Cappuccini. Si ha notizia che, su istanza della locale comunità, questa fortificazione sull'Astagno venne in parte demolita sotto Gregorio XI (1370-1378). Dal 1381 venne denominata Rocca di S. Caterina, da una chiesetta limitrofa poi demolita con la costruzione della Rocca sangallesca. Il cronista Bernabei narra che nell'assalto di Carlo Malatesta alla città (7 ottobre 1414) esisteva una torre di guardia detta di S. Caterina, probabilmente parte della vecchia rocca. Nel 1519 di questa fortificazione ancora medievale vennero risarcite le mura dall'ingegnere militare cortonese Egidio de' Pistori, e forse collegandole alla cinta muraria terranea della città, lungo l'asse nord-sud fra l'Astagno e il colle dei Cappuccini, dove stava scavando fossati. Il cardinale Bibbiena, nel 1521, vi fece aggiungere un gran bastione.

In un disegno preliminare di Antonio da Sangallo jr. (Firenze, G.D.U., 1020A r.) si nota l'indicazione probabile di queste preesistenze: «Bastioni vechi, Santo Spirito, cisterna», oltre ad inequivocabili topònimi che localizzano con certezza il progetto in Ancona: porta di Santo Pietro, porta del Calamo. Il disegno risale senz'altro ai primi studi dell'architetto (cfr. F. Mariano, Architettura militare del Cinquecento in Ancona. Documenti e notizie dal Sangallo al Fontana, Ed. Quattroventi, Urbino 1990) per l'adagiamento possibile della fortezza sul colle ed al suo collegamento con la preesistente cinta urbica orientale, qui bene indicata.

L'invio di Antonio da Sangallo in Ancona per un primo sopraluogo sul terreno fu notificato dal papa Clemente VII Medici il 19 gennaio 1532. L'invio dell'architetto fiorentino era stato preceduto da fitti contatti fra la comunità ed il papa che aveva accompagnato la proposta della nuova rocca e di un presidio di trecento soldati con l'assicurazione di accollarne la spesa alla Camera Apostolica.

Gli Anconitani risposero entusiasti inviando i primi giorni del 1532 il nobile Galeazzo Fanelli come oratore a Roma per concordare i termini del programma. Nella primavera lo seguirà Ludovico Grazioli, spedito dal Consiglio con il dono di un modello di cera raffigurante la città perché gli architetti del papa potessero più agevolmente approntare il progetto. Il Sangallo tornò a Roma dal sopraluogo riportandone numerosi schizzi e disegni e rilievi, suoi e dei suoi collaboratori Bartolomeo de' Rocchi e Antonio Labacco. Il primo disegno geometrico del Sangallo, approntato dal Labacco, comportava uno schema più simmetrico di quello poi realizzato: una sorta di punta a forma di lancia, seguita da un corpo a trapezi con baluardo poligono in coda (Firenze, G.D.U., 723A). Un disegno più realistico, e probabilmente lo schema definitivo ( Firenze, G.D.U., 1526A v.), presenta già le tipiche doppie bastionature "a forbice", poi realizzate, ed il baluardo del Giardino, con le sole varianti di un maggior volume sia del Cavaliere a Basso che della Campana, che appare qui molto più appuntita verso nord-ovest e la marina, soluzione poi tralasciata forse a causa dell'instabilità delle rupi.

Dopo la sua visita in città, nel marzo del 1534 - con una cittadinanza oramai sottomessa dal colpo di mano del 19 settembre 1532 che aveva soggiogato la città al Legato pontificio, l'aretino Benedetto Accolti, cardinale di Ravenna al prezzo pattuito di 19.000 scudi - Clemente VII si rese cosciente del luogo e del lavoro in corso d'opera ed ordinò l'ampliamento della fortificazione, che gli sembrò evidentemente ancora inadeguata ai nuovi compiti "statali" da lui assegnati al porto dorico. La targa con l'iscrizione apposta sulla porta d'ingresso alla Rocca con la data 1533 (e non 1534, come sinora mal ripetuta) deve ritenersi un furbesco omaggio servile dell'Accolti (che di lì a poco sarebbe stato processato) al papa per apporre il suo discusso nome su questa grande opera ancora agli inizi, e non può evidentemente riferirsi alla conclusione dei lavori, come d'altronde chiaramente si legge: construen[da].

Avrebbe potuto bastare l'accorta osservazione del luogo prescelto - a completo dominio del costruito - perché ci si accorgesse che l'intento del papa era quello di sottomettere e non di difendere la città dai Turchi, ma la comunità sembrò invece lieta che tale opera si compisse a casa sua ma a spese altrui. Clemente disse agli oratori che avrebbe voluto fare di Ancona "una piccola Venezia" avvolgendo di lusinghe il Grazioli che se ne era tornato a casa ben contento.  Si può presumere che i lavori di sterro - che occuparono centinaia di terrazzatori ed un migliaio di addetti, la distruzione di orti e vigneti, comportarono la demolizione di 50 edifici, comprese chiese e conventi - iniziassero sin dall'estate del 1532, guidati con mano ferma dal Sangallo assistito dai suoi fidati costruttori fiorentini, Sigismondo e Gianfrancesco Bruni.

Si lavorava «con furore» di giorno e di notte «et feste grande et pichole» a cavar fossi, drizzare palificate e squadrare trincee, modificando sensibilmente l'orografia del sito che avrebbe coinvolto nella sua estensione definitiva (col Campo Trincerato) un quarto della superficie urbana. Dopo la prima sfuriata edificatoria, necessaria al tracciamento del complesso, la presenza del Sangallo - preso dai molti altri gravosi cantieri - si affievolì e di ciò se ne lamentava il Legato papale.

Alla morte di Clemente gli successe il romano Paolo III Farnese, ed evidentemente l'architetto fiorentino dovette risentirne. Il papa, nel 1534, chiese pareri per la fortezza di Ancona all'insigne architetto militare Pier Francesco Florenzuoli da Viterbo che godeva ampia fama e stima. Da alcune lettere spedite dai sovrastanti anconitani a Roma fra il 1536 e il 1537 si viene a sapere che il Florenzuoli aveva dato disegni per il rinnovamento di tutto il circuito fortificato della città «a distesa»: in sei luoghi sulla cinta terranea con baluardi e grandi bastioni, più in cinque luoghi sulle fortificazioni «da la marina», nel Rivellino del porto, nell'Arsenale, a S. Primiano, ai baluardi di S. Agostino e del Lazzaretto (vecchio); inoltre al «baluardo de la roca [...] secondo el disegnio de M° P. Francesco, avendolo inanti no se pò errar si altri volesse».

La presenza del Florenzuoli, figura ancora poco valutata, va quindi tenuta in debito conto per la configurazione finale della Rocca d'Ancona, anche in aperta contrapposizione col progetto iniziale del Sangallo, che dovette evidentemente sopportarne il confronto: «...sendo venuto qui M° Antonio Sangallo biasma le cose de M°. Pier Francesco, et maxime che'l baluardo de la banda verso el Calamo non ha fianco». Si tratta, in questa lettera del 12 ottobre 1537, del baluardo detto "della Punta" che difendeva l'attacco della cinta terranea alla Rocca, che effettivamente mostrava allora una dimensione minore di quella allungata visibile oggi, dovuta alle modifiche ordinate da Urbano VIII e detto poi infatti "Barberino". Ma il disparere del Sangallo (seppure ripreso circa un secolo dopo) non dovrebbe aver sortito modifiche al progetto del Florenzuoli se, nel 1545, in una lettera da Ancona al cardinal Farnese, delegato ai lavori anconitani, si afferma essersi costruite cortine sopra la porta di Capodimonte e che «...mò s'è messo mano all'altra che va fino al baluardotto che fé fare M° Pier Francesco da Viterbo». Se ne deduce che non solo il Florenzuoli, forse deceduto a quella data, aveva non solo progettato ma anche eseguito il baluardo della Punta.

Con Bolla papale del 28 maggio 1536 Paolo III riconferma il Sangallo come soprintendente ai lavori della fortezza anconitana, opera che l'architetto seguirà saltuariamente alternandovi svariati altri incarichi militari (a Firenze, Roma, Castro, ecc.,) senza citare quelli civili, finché nel 1538, il 13 gennaio, non verrà dal papa definitivamente richiamato a Roma per completarne le mura ed iniziare il suo progetto per il nuovo S. Pietro.

Fra il 1538 ed il 1540 rimarranno a lavorare nel cantiere della Rocca molte delle maestranze fiorentine lasciatevi dal Sangallo, inclusi parenti e collaboratori. è del 2 aprile del 1540 la nomina a direttore dei lavori dell'architetto senese Giambattista Pelori, con una provvigione di 25 scudi mensili. Con presenze alterne egli lavorerà alla Rocca, ed alle mura, sino al 1545, impostandone forse per primo l'embrione concettuale del suo ampliamento a sud-est con l'enorme Tenaglia bastionata. Sotto il pontificato di Giulio III, troviamo come «Ingegnero Generale di Santa Chiesa» un giovane architetto militare di belle speranze: l'urbinate Francesco Paciotto. In Ancona nella primavera del 1550, egli rileverà la non corrispondenza dei lavori del Pelori agli aggiornati criteri della difesa bastionata, della quale lui stesso sarà uno dei più brillanti teorici e realizzatori, con ben 14 fortezze progettate in tutta Europa. Sul suo parere, e probabile disegno, si demolirà e ricostruirà quanto già edificato esternamente alla Rocca. Nel 1560 abbiamo la breve direzione di Pellegrino Tibaldi, impegnato in Ancona anche sul fronte civile e pittorico. 

Sotto il pontificato di Pio IV (1559-1565) abbiamo notizia del sopraluogo alla fortezza dell'urbinate Bardassarre Lanci. Nel marzo del 1562 sarà la volta del cortonese Francesco Laparelli, nella veste di revisore delle rocche dello Stato. Il Laparelli loderà quanto sino allora fatto nella fortezza ma lamenterà, nella sua relazione al papa, i lati deboli sul fronte terraneo verso sud-est (cioè verso la Tenaglia).

Le minacciate mire dell'ammiraglio turco Kelim sul ricco Tesoro conservato nella Basilica lauretana spinsero, nel 1566, Pio V a nominare il colonnello alessandrino Cesare Guasco Commissario generale delle fortezze pontifice, il quale collaborò in Ancona anche con l'ingegnere durantino Cipriano Piccolpasso. Questi, dal 27 ottobre di quell'anno, fece allargare con fascine il lato verso la Tenaglia. Nel 1567 l'architetto anconitano Giacomo Fontana dichiara di aver fortificato in terra, per Pio V, la Tenaglia «designata dal Cavalier Paciotto», confermandoci l'ipotesi di essere stata quest'ultima di suo originario progetto, e inoltre di aver fatto un modello in legno del Campo Trincerato. Sempre il Fontana ci informa che il papa Gregorio XIII (1572-1585) fece incamiciare in muratura la fortificazione della Tenaglia della Rocca. Nel 1571 il Fontana incontra il Paciotto in Ancona, mostrandogli la sua pianta della città con la nuova fortificazione e gli riferisce i vari pareri espressi su di essa da vari condottieri ed architetti militari: Giacomo Lanteri, Giulio da Thiene, Guidubaldo II, Ottaviano Farnese, Marcantonio Colonna e di Filippo III. Il Fontana aiuterà quindi il Paciotto a piantarla, facendone nuovo modello e disegni da inviare al papa ed al Duca di Urbino. 

Pur fra mille traversie tecniche e snervanti ritardi amministrativi il Paciotto riuscirà con energia e pazienza a condurre a termine il ciclopico progetto del nuovo vasto circuito bastionato, a cinque baluardi, ampio quattro volte la Rocca sangallesca, che vi veniva inglobata a cavaliere dell'angolo orientale entro il 1575. Vi fu allora posta la targa commemorativa con lo stemma della famiglia urbinate del Paciotto.

Dalla Relazione del 1588 dell'architetto anconitano Giacomo Fontana a Sisto V, possiamo individuare la configurazione della Rocca alla fine del XVI secolo. Essa era costituita da un corpo poligonale sul quale si proiettavano agli esterni sette bastioni, a varie quote e di varia forma Partendo in senso orario abbiamo, dal quadrante nord-est: la Tenaglia, la Punta (poi Barberino); sud-est: il Giardino; sud-ovest: il Cavaliere a basso (poi Gregoriano); nord-ovest: la Campana, la Forbice, la Guardia.

In relazione alle parti della Rocca attribuibili al Sangallo, sulla scorta delle notizie conosciute e dei suoi disegni, possiamo senz'altro attribuire a lui la soluzione della "forbice", con le cortine piegate a doppio risvolto concavo-convesso fra i baluardi, atta ad evitare tiri delle cannoniere di reciproco danno, soluzione qui ripetuta due volte sul fronte settentrionale (Forbice e Tenaglia) e che compare già nei suoi disegni citati. Parimenti suo è il tipo della cannoniera "a campana": struttura trapezia ad arco depresso, di sezione interna troncopiramidale e cornice a becco di civetta, che compare nelle forbici e (a doppia luce) nel bastione che ne deriva il nome (testimoniandone il carattere innovativo); anche questo dettaglio compare sui suoi disegni (Firenze, Gabinetto Disegni Uffizi, 1502A). Suo dovrebbe essere anche il gran baluardo del Giardino, elemento qualificante e strategico - caput di tutto il complesso - per essere rivolto verso la strada di Posatora, allora il principale accesso alla città. Anch'esso appare ben individuato dal Sangallo fin dai primi disegni. Meno certo il baluardo della Punta che - come abbiamo visto - il Sangallo disconosce e che andrebbe attribuito all'intervento del Florenzuoli. Dubbio anche il Cavaliere a Basso, struttura strategicamente e formalmente debole che, peraltro, dalle mappe disponibili sembra realizzata fra il 1569 e il 1588. 

Resta da porre l'accento qui, del Sangallo, sulla potente intuizione plastica dell'insieme, organicamente "ammorsato" all'orografia del sedìme e la sapiente ed intuitiva individuazione strategica del luogo (parte essenzialmente progettuale nell'architettura militare), nei modi a lui consueti. 

Tutto ciò rende la Rocca di Ancona una fortificazione anticipatrice ed originale nella sua logica militare inclusiva, che non rinuncia né alla stringente "concretezza" dell'approccio quattrocentesco di un Francesco di Giorgio né al "disegno" che, pochi anni più tardi, renderà un tema progettuale così drammatico oggetto di superflua esercitazione trattatistica.

L'aggiunta alla Rocca d'Ancona del Campo Trincerato - che, inglobandola, la renderà una vera "cittadella" militare - costituisce, assieme alla sangallesca Rocca Paolina di Perugia, uno dei più vasti ed innovativi progetti militari del secolo.

   

Da: F. MARIANO, L’Architettura nelle Marche. Dall’Età classica al Liberty, Nardini editore, Firenze 1995).

  

 

 

©2003 Fabio Mariano. I video non sono stati realizzati dall'autore della scheda.

   


  su  Marche  provincia di Ancona

Home