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DE CASTRO VENANDI CUM ARTIBUS  a cura di Falco, Girifalco e Metafalco

di Girifalco

Chi mi aspetto di vedere davanti o dietro (dipende dai punti di vista) la biglietteria di Castel del Monte? Quali volti potrei incrociare e quanti ne potrei immaginare? Quali occhi, quali tratti somatici, quali espressioni, quante combinazioni potrebbe formulare la mia testa, potrebbe animare la mia fantasia? Sicuramente ben poche se confrontate a quella marea di gente che valica il portale ad est di Castel del Monte. Proprio quel portale su cui si legge il nome dell’imperatore Federico (con anche II), in cui si iscrivono figure umane somiglianti a quelle disegnate da un certo Leonardo (anni dopo) e incise ora sul disgraziato euro italiano (che coincidenza, anche il nostro castello è sulla nuova moneta, ma su quella più piccola e fastidiosa di un centesimo! Sarà questo il destino dell’opera più problematica del più famoso anticristo?).

Gente alta, minuta, piacevole allo sguardo o irritante a pelle, disponibile, curiosa o distratta; quali umori sono portati tra queste mura? Quali sacrifici, quali aspettative riempiono le fessure delle pietre calcaree, l’area delle stanze? Quale odore si respira? Cosa prevale? L’umidità invernale che, attraversando strati di indumenti, solletica la salute? O forse l’odore acre (o meglio, la puzza) del sudore estivo o delle scampagnate post-pasquali condito da litri di vino o birra gustati ai piedi di questo maniero, castello-non castello, poggio di caccia, emblema federiciano? E ovviamente quali suoni, quali sensazioni avvertirei entrando in una giornata qualunque, in un’ora qualunque, eccetera?

Vado ed esploro.

Innanzitutto la fila, la queue; i tedeschi messi come gli indiani, i gruppi degli italiani, invece, vanno all’assalto, nel chiasso, nella calca (che, se non c’è, viene creata apposta).

Prima di entrare nel castello bisogna pagare, quanto?

Poco forse, ma possibile che non ci siano sconti, riduzioni per poliziotti, carabinieri, artisti, suonatori, dottori o  associati di associazioni varie?      

«Pagano i bambini?». «No». Finalmente! Che contentezza, che sollievo per le famiglie che possono risparmiare qualcosa mentre sgranocchiano patatine globalizzate o taralli, o noccioline, o junk food locali.

Ma tutto questo poi, per vedere cosa? Un castello? Certo, o forse non è tutto così ovvio, visto che c’è chi improvvisa un segno di croce (!), chi lo contempla in maniera più convinta, come qualche anziano che, entrando nella prima sala, più buia e più fresca dell’esterno, riconosce il clima della religione.

E come porsi nei confronti di questo monumento?

Ci si copre il costume da bagno d’estate, ci si riposa d’inverno (ovviamente ignari della citata umidità)?

Ma come mai non ci sono mobili, armature, cantine, mummie, prigioni e prigionieri (come nelle ricostruzioni da luna park)? Come mai, visto che non c’è niente, questo castello è così famoso?

Beh, si sa, l’arte è cosa da colti e quindi, mentre i bambini sperano invano, nell’indifferenza dei genitori, di incontrare principesse e cavalieri, gli adulti si apprestano a passeggiare come se fossero in un parco o per una strada senza vetrine ingioiellate.

E non importa che ci siano mostre o pannelli in ansiosa impazienza di essere letti, si reclama subito il costo del biglietto alla luce della garanzia commerciale del “soddisfatti o rimborsati”.

I più furbi, di stampo locale, fanno finta di entrare, guardano come funziona il tutto (cioè capiscono che si paga) e con “stile” decantano che è più interessante e bello il panorama esterno, così free).

C’è chi inizia a fare domande, chi dimostra curiosità ed interesse o chi in realtà vuole solo vagliare la qualità del prodotto.

«Dov'è il paese “del Monte”?». Non c’è mai stato...

«Allora, hanno distrutto il borgo medievale che c’era prima?». -Non c’è mai stato...

«Dov’è il ponte levatoio? Da dove si affacciava Federico II? Con quale moglie ha dormito qui?».

La storia si fa romanzo, la realtà leggenda, gossip, pettegolezzo, curiosità popolare.

E poi, «dov’è il segreto del castello? Dov’è la magia? Dov’è il trono? Dov’è la verità?». Rimango interdetto perché mi chiedo quali siano state le fonti di queste domande. Sono forse considerazioni personali, fraintendimenti, oppure invenzioni del momento? Possibile che non abbiano letto nulla prima di fare tanta fatica per arrivare qui? E, se hanno letto, cosa hanno letto?

Si cerca quindi ciò che non c’è dicendo che c’è ma non si vede (come la nebbia di Totò), perché è, paradossalmente, più facile da trovare.

Cercano quello che altri hanno immaginato, inventato per loro.

Cercano disperatamente il contenuto di un tesoro senza rendersi conto di essere appena entrati nello scrigno più prezioso che, da più di 750 anni, cerca di sussurrare la sua verità nel chiasso delle chiacchiere.

   

©2003 Girifalco, anche per la seconda foto; la prima è di Luigi Bressan

 


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