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       REPORTER - «DENTRO» LA PUGLIA

a cura di Marco Brando


 


Il castello di Monopoli

  

Dopo Torre Canne, ecco Monopoli. è la prima cittadina barese che s’incontra venendo da Sud. La costa è diventata rocciosa. Ma a segnare l’ingresso nel Barese è anche, appunto, il barese: inteso come dialetto e accento, molto diversi da quelli, percepiti da Leuca fino a Ostuni. Pure qui gli "indigeni" avvertono subito il forestiero del fatto che «il dialetto parlato a Bari non si capisce», vantando le qualità della propria cadenza: tuttavia il suddetto forestiero stenta a capire gli uni e gli altri, se davvero parlano il proprio amato idioma, in cui si nota solo lo stagliarsi, ecumenicamente, della classica «O» contratta. D’altra parte - qui come altrove nella variegata Italia dei campanili, ma forse con una leggera insistenza in più - la questione del dialetto è un fatto di principio: ognuno rivendica il primato di parlare quello più elegante, riferendosi alla «lingua» dei paesi vicini con qualche spocchia.

Nell’impossibilità di vantare radici locali e non capendo, altrettanto ecumenicamente, alcun dialetto della zona, possiamo solo dare credito a tutti e non capire (quasi) nessuno. La città ci accoglie con un lungomare in allestimento e la sua periferia arroccata sulla scogliera: sul bordo di una piccola insenatura un paio di vecchi cartelli avvertono che il terreno è franoso e che è pericoloso, anzi vietato, sostare. In realtà il messaggio non è chiaro: è pericoloso stare sopra la scarpata o sotto, nella spiaggetta?

Il rischio non cambia granché, a causa dell’inesorabile forza di gravità. Tuttavia forse l’ambiguità consente di far finta di niente; e poi non c’è scritto «è severamente vietato », con l’avverbio che, come ama ricordare Enzo Biagi, solo in Italia viene spesso usato per sottolineare che in altri casi qualcosa può essere blandamente vietato. Cosicché il blando divieto viene digerito dalle frotte di bagnanti assiepati sotto la potenziale frana con beata spensieratezza: c’è chi prende il sole, che si tuffa, chi nuota, chi fa merenda. Non lontano una coppia, ai margini della scogliera, si bacia. Poco dopo la strada s’imbatte nella mole del castello di Monopoli, ben tenuto, proteso verso il mare, oltre le case. Pare che blocchi la strada; e un tempo di certo serviva anche a questo scopo. Però ci si può inoltrare nel centro storico della cittadina, che è bellissimo. Entrarci con l’auto pare un pochino uno sfregio a quelle antiche strade incassate nel borgo. Ma non è vietato, neppure blandamente. Così ci s’insinua tra famiglie sedute al fresco sull’uscio, panni stesi, vicoli che si diramano come le dita di una mano, col mare che compare e scompare tra archi e finestre.

Morale? Il centro storico di Monopoli meriterebbe di essere conosciuto meglio dai turisti, ma non se ne incontra neppure uno. Scarsa pubblicità? Può darsi. Di certo i centri storici di molte cittadine rivierasche baresi sono forse i più belli della Puglia ma non sono altrettanto conosciuti, neppure dai pugliesi. Il tour, da queste parti, raggiunge al massimo Polignano a Mare e Trani. Luoghi meritevoli, certo; ma il fascino di paesi meno, o per nulla, visitati - come Monopoli, Giovinazzo, Molfetta - pare proprio un patrimonio non adeguatamente sfruttato per rendere più interessante e gradevole il soggiorno da queste parti. Peccato.

Monopoli lascia spazio alla zona balneare di Capitolo, forse una delle uniche aree balneari in provincia di Bari attrezzata per favorire un turismo che non sia solo quello «a corto raggio » di pugliesi e lucani, ma anche di respiro nazionale e internazionale; tanto più che da qui sono facilmente raggiungibili, nell’entroterra, la valle d’Itria con i suoi trulli e le grotte di Castellana. Qualche camper tedesco o francese s’incrocia. La litoranea raggiunge ben presto Polignano a Mare: il seduttivo borgo antico a strapiombo sull’Adriatico e la fama di Domenico Modugno ne fanno una meta, come dicevamo, abbastanza nota. Tuttavia anche qui si lamenta un calo del turismo: i ristoranti, all’ora di pranzo, sono quasi vuoti e non è un buon segno, in agosto per giunta.

Comunque, di certo Polignano è un paese romantico, da cartolina. E, infatti, se ci sono pochi turisti, si materializzano invece coppie di sposi ovunque, inseguite da fotografi, cameramen e parenti. Non c’è scalinata (decorata spesso dalle poesie di un poeta locale), muro con vasi di fori, balconcino sul mare, scorcio di scogliera, in cui non s’incoccino coppie appena sposate: impegnate in pose così plastiche che più plastiche non si può, con occhi che si guardano languidi e il bouquet in bella mostra. Se il Comune decidesse di far pagare un pedaggio agli sposi che scelgono Polignano per loro album di nozze potrebbe anche riempire le casse, alla faccia dell’austerità governativa. Ma oggigiorno ci mancherebbe una tassa sui matrimoni, in stile medievale. Meglio non infierire. Intanto ci sono buoni nuotatori che si danno da fare proprio nello specchio d’acqua di fronte agli sposi e alla Cala Porto, che è in via di consolidamento, con gli operai al lavoro sospesi tra il mare e la roccia. Cala Paura - malgrado il nome - è un’oasi, anche se affollata, tra piccole case bianche, barche colorate e bagnanti dall’aria domestica. Subito dopo San Giovanni con la sua abbazia, un altro gioiellino poco noto.

Pochi minuti d’auto e spunta Mola di Bari: pare una copia in piccolo del capoluogo, con la gente che prende il sole sul molo. Da qui in poi inizia il lungo, lunghissimo, tratto di litorale pugliese compreso nel territorio del Comune di Bari, da Torre a Mare fino a Santo Spirito, passando per le spiagge cittadine di Torre Quetta e Pane e Pomodoro, a Sud, e quelle del quartiere San Girolamo (San Francesco e Trampolino) a Nord. In tutto, oltre 35 chilometri, un record. Torre a Mare ha l’aria del paese vero e proprio, con una bella piazza rifatta accanto alla torre e un piccolo lido con pontile e ragazzini. La frazione è preceduta da un agglomerato cementizio non troppo attraente, dove sopravvive qualche villetta liberty e in cui si stagliano il Lido del Carabiniere e un misterioso fortilizio che appartiene, leggiamo, al «Distaccamento di Torre a Mare della III Regione Aerea - zona militare»: in verità entrano ed escono famiglie in tenuta balneare.

Non è finita. Usciti da Torre a Mare c’è il Lido della Polizia di Stato, lindo e pulito. Di certo, da queste parti - almeno d’estate - non mancano presidi delle forze dell’ordine. Il borgo è «presidiato » pure da una gradevole statua in bronzo, che rappresenta un tipo nudo in procinto di infilzare una piovra. L’altro anno, in occasione dell’inaugurazione da parte del sindaco, qualcuno disse che il tipo aveva proprio la faccia dell’allora primo cittadino, Simeone di Cagno Abbrescia. Malgrado le smentite, a ben guardare, il sospetto resta. Con questo dubbio superiamo una curva per sbattere (metaforicamente, non vorremmo fare danni) contro i palazzacci di Punta Perotti, l’ecomostro che tutti c’invidiano. A forza di vederlo e sentirne parlare, un giorno forse ne avremo pure nostalgia. Sulla spiaggia di Torre Quetta, malgrado l’amianto e i relativi divieti, alcuni ragazzi s’apprestano a praticare il surf a vela. "Pane e pomodoro", lido redivivo purché non piova e le fogne non debordino, è un tripudio di tuffi e lazzi.

Superata la Fiera del Levante, davanti alla quale nella notte si consuma il rito del polpo alla brace sulle bancarelle, comincia con la serie di lidi per baresi che continueranno a Palese e a Santo Spirito. O meglio: Santo Spirito sarebbe il lido dei bitontini, cui una volta la frazione apparteneva: i quali sono pure un po’arrabbiati perché tutti dicono che il Comune di Bari, consapevole dell’infiltrazione di extra-comunali (e pure di qualche extracomunitario), incassa le tasse ma non ricambia con adeguati servizi. Di certo, molte case e i tanti residence sono popolati da cittadini di Bitonto: e altri ne giungono la sera, per concedersi la classica passeggiata estiva. Emiliano, pensaci tu… Al sindaco, per riuscire a toccare la sensibilità dei santospiritesi (si dirà così?) in caso di comizio, potrebbe essere utile sapere che tre dei pilastri dei fan di Santo Spirito sono: numero uno, la gelateria sovrastata dalla scritta "Qui si gode", che compare pure in alcune foto d’epoca esposte in un bar vicino, a testimonianza del fatto che da queste parti si godeva già almeno negli anni Venti (per altro, lo testimoniano anche alcune belle ville d’epoca incastrate tra le imprese dell’edilizia post anni Sessanta); numero due, il vergalone, nome attribuito ad uno scoglio, la cui punta affiora appena al centro del porticciolo e che è stato meta di generazioni di bagnanti; numero tre, il profumo del mare, da queste parti garantiscono sia più intenso che altrove (in effetti, una sniffata pare confermare la teoria), forse grazie ad un tipo d’alga. Dopo Santo Spirito il Comune di Bari finisce. E si entra in quello di Giovinazzo, il cui bel centro storico è stato restituito negli ultimi anni all’antico splendore.

    

    

©2006 Marco Brando; articolo pubblicato su «Corriere della sera - Corriere del Mezzogiorno» nell'agosto 2004. 

      


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