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       REPORTER - «DENTRO» LA PUGLIA

a cura di Marco Brando


 


Alla ricerca delle «grotte di Dio» nei dintorni di Mottola, mentre Castellaneta non vuole rinunciare al suo divo.

A Castellaneta la statua di Rodolfo Valentino porta fortuna.

   
Si può anche essere fiduciosi nella guida rossa del Touring Club Italiano, che scrive: «Fu abitata fin dalla preistoria», «Mura greche di età ellenistica (IV sec. aC)» e via di questo passo. Però il primo impatto con Mottola lascia perplessi. Invece delle mura ellenistiche si vede un muraglione di condomini e palazzine, precipitato sulla Murgia tarantina. Per ovviare allo choc, il sito www.comune.mottola.ta.it offre una ricca documentazione dedicata al centro storico, alla Murgia dei boschi, alla gravina di Petruscio e alle «grotte di Dio».

Grotte in che senso? Al primo rondò una scritta indica la direzione. Il pomeriggio arroventato dal sole deve averci favorito. Perché in giro - lungo una strada priva d’altre segnalazioni - non c’è anima viva: né turisti né «indigeni» in grado di darci indicazioni. Così - quando ci siamo imbattuti nel cartello, un po’ sbilenco, «Madonna del Carmine » - la sorpresa è stata pure maggiore. Un posto di certo magico, secondo i credenti miracoloso. In una piccola gravina, adattata per ospitare visitatori e pellegrini, c’è questa piccola chiesa bianca, ben tenuta, in parte scavata nella roccia, circondata da rosmarino, piante di capperi, oliveti. Nessuno in giro. Da dove si entra? Un cancello pare chiuso. Finché lo sfioriamo. S’apre. Dentro, in un ambiente fresco, un tripudio di affreschi bellissimi. «C’è nessuno?», proviamo a sussurrare, invano.

Viene voglia di restare qui a lungo. Indisturbati. Con le rondini che volano attraverso le finestre. Il santuario è noto alla gente del posto come «Madonn’ Abbasc’». Durante la Settimana santa cento personaggi in costume svolgono la Sacra rappresentazione. Sembra la grotta sia stata il ricovero del pastore «Chierico Francesco Pietro di Filippo», come recita una lapide. Ebbe una visione miracolosa il 22 aprile 1506. Nella lapide è lo stesso pastore a raccontare, a modo suo: stava «riposando sopra il letto ad ora di vespro voltata la faccia verso la porta dormendo sentendo una voce angelica e vedendo tutta la grotta illuminata di fuoco celeste». La voce: «Sono la Madonna SS.ma del Carmine voglio che fate una cappella in nome mio qua in questo deserto».

Oggi la chiesa è ancora una meraviglia nel deserto. E non è l’unica. Nei dintorni ci sono tante chiese rupestri. Bisogna cercarle, magari nascoste in terreni privati e quasi abbandonate. Una delle più famose è quella di San Nicola. Famosa in teoria, perché trovarla è un’impresa: una freccia, scritta anche in russo, indica una stradina. Si percorrono piccoli canyon, si oltrepassano gallerie, si costeggiano discariche emuretti. Trattori in lontananza. La strada diventa sterrata e polverosa. Un’altra freccia conduce a un sassoso viottolo fiancheggiato da fichi d’india. Poi finisce pure il viottolo. Occorre inerpicarsi a piedi, fino a costeggiare la ferrovia; s’intuisce da vecchi segni di ruote dei carri sul tufo che deve essere passata tanta gente, nei secoli. Poi una scala scende in una gravina. Ecco San Nicola, scavata nella roccia, con un cancello chiuso che consente di scattare fotografie. Pare d’essere fuori dalla realtà: tre navate con pitture a più strati sovrapposti, realizzate tra l’XI e il XV secolo. E non abbiamo incontrato assolutamente nessuno.

Mottola, l’affresco della Madonna del Carmine nell’omonimo santuario.

La Murgia intorno a Mottola nasconde centinaia di affreschi analoghi. Le chiese rupestri sono più di trenta, «orientate - leggiamo nel sito Salentopoint - secondo un preciso schema liturgico, le absidi verso Oriente». Ci sono Sant’Angelo, Santa Margherita, San Gregorio, San Cesario, Sant’Apollinare...: «Potrebbe essere uno dei parchi naturali ed archeologici più importanti della regione. Nel buio della terra le facce dei santi risplendono, quasi ad invocare pietà contro l’insulto degli uomini. Molti hanno la testa tranciata, altri gli occhi cavati dal piccone. Vandalismo, superstizione, speculazione: questa l’amara sorte di un mondo silenzioso e imponente che mille anni dopo non riesce più a sopravvivere neanche nascondendosi ». Difficile non essere d’accordo. Questo mondo sotterraneo fu usato pure per costruire città nascoste, rifugi delle gente in fuga dalle invasioni di Bizantini, Goti, Longobardi, Slavi, Franchi, Saraceni, tra VI e XIII secolo. Meriterebbe d’essere conosciuto; e d’essere tutelato.

Da Mottola si raggiunge Palagianello, con altri esempi di civiltà rupestre. La strada s’inerpica verso Castellaneta. Ha un bel centro storico ma deve la sua fama all’attore Rodolfo Valentino, nato qui centodieci anni fa. Il suo mito resiste inossidabile, anche se morì negli Stati Uniti a soli 31 anni, nel 1926; a diciotto s’era imbarcato per New York. Era nato da un veterinario e da una bella donna d’origine francese, dama di compagnia della marchesa Giovinazzi, che contribuì a innescare i suoi sogni. Nel film I quattro dell’Apocalisse, tratto dal romanzo di Blasco Ibanez, era il protagonista: un gaucho che balla il tango. Successo internazionale, senza precedenti. Rodolfo è sepolto all’Hollywood Memorial Park. È stato chiesto che sia trasferito a Castellaneta. Si vedrà. Intanto in città l’unico cinema è intitolato a lui, ovviamente. C’è poi una sua statua in ceramica azzurra, realizzata dallo scultore Gheno nel 1961, che lo rappresenta vestito come nel film Lo sceicco: è soprannominata «capasone» («otre», in dialetto), comunque pare porti fortuna. E poi c’è un museo a lui intitolato (099/8492398).

Da Castellaneta la strada va verso Laterza (da «Latentia», luogo di caverne e di nascondigli; o da «Tertiam», la terza legione romana, qui accampata) e Ginosa (da «Genusia», forse con riferimento ai fondatori giunti da Genusim, l’odierna Cnosso, nell’isola di Creta). A Santeramo in Colle, già in provincia di Bari, batte il cuore della Natuzzi. Il paesaggio cambia, gli ulivi scompaiono quasi del tutto, ci sono vigne e soprattutto campi di grano appena mietuti. La strada scende verso Cassano delle Murge, nel cui territorio sorge la Foresta Mercadante: 1.300 ettari voluti oltre settant’anni fa per difendere Bari dalle alluvioni. La selva è la maggiore attrattiva turistica della piccola Cassano: ospita pini, lecci, cipressi, querce, cedri, olmi, robinie, frassini, eucalipti. È attrezzata per i pic-nic, con grandi recinti che ospitano daini e struzzi. Superata la foresta, la strada si dirige verso Altamura. Mentre in cielo volteggiano decine di rapaci.

    

    

©2006 Marco Brando; articolo pubblicato su «Corriere della sera - Corriere del Mezzogiorno» del 3/8/2005.

      


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