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       REPORTER - «DENTRO» LA PUGLIA

a cura di Marco Brando



Valle d’Itria a due facce: dopo la genuina Cisternino ecco una Alberobello pronto uso per i turisti stranieri.

I trulli protagonisti: sia che diventino salvadanai con i simboli delle squadre di calcio, o che siano presi d’assalto dai turisti giapponesi (foto sotto)

   
«Buono è buono. Lo dicono tutti, ci va un sacco di gente. Forestieri, chiaro. Io mica ci vado. Sono di Cisternino e quindi se proprio devo mangiare fuori vado in altro paese. Altrimenti che gusto c’è...». Se la canta e se la suona, come si suole dire, la signora cistranese (o cisterninense, a seconda delle scuole di pensiero) cui abbiamo chiesto solo informazioni sulla strada da percorrere per raggiungere un ristorante nel centro storico. Combattuta, alla fine ci ha detto dove dirigerci. Un incontro strano, comunque in armonia con luogo, altrettanto strano e surreale: Cisternino, già circondato dai trulli della Valle d’Itria, è forse il borgo più «orientale» di Puglia. Nel senso che mantiene e conserva la sua antica genuinità mediterranea: piccolo al punto giusto; bianco brillante sullo sfondo del cielo azzurro, tanto da far socchiudere gli occhi, quando il sole è alto; splendente nella notte. Con quel fascino da piccola casbah sopravvissuta lassù dai tempi delle invasioni saracene. Insomma, un rappresentazione quasi teatrale del Mezzogiorno, inteso come categoria dello spirito: roba da indurre in pensieri meridiani pure chi non conosce il sociologo barese Franco Cassano, che ne è il teorico.

Certo, Alberobello è la capitale della valle. Ma è preferibile passare prima da Cisternino e da Locorotondo. Per cogliere come si deve la gradualità del cambio del paesaggio; e per immaginare come doveva essere la suddetta capitale prima che diventasse una meta turistica da tour organizzato (inclusi i giapponesi), con tutti i pregi e i difetti del caso. Se ad Alberobello è pressoché impossibile, per quanto sia splendida, cogliere un po’ di genuinità dietro boutique e negozi di souvenir, a Cisternino - malgrado tutto - la gente ha conservato di più le proprie radici, carattere estroverso compreso. E una passeggiata scarpinando sulle chianche delle viuzze restituisce serenità: per quanto si giri, pare di percorrere un spirale che trascina sempre verso le piazzette del centro, in un luogo sia chiuso che aperto, sia pubblico che privato: costruito con la logica spontanea di chi nei secoli ha pensato a tessere rapporti umani, ancor prima che a costruire architetture.

D’altra parte in tutta la Valle d’Itria, unica al mondo, quei coni bianchi - i trulli - sembrano fuori posto e nel posto giusto, allo stesso tempo, contribuendo a creare un’atmosfera magica. Atmosfera cui, come in tutte le favole, non sono estranei neppure i nomi dei luoghi. Cisternino, ad esempio, potrebbe trarre origine da Sturnoi, il compagno di Diomede, che - terminata la guerra di Troia - avrebbe fondato questo centro che i Romani hanno poi chiamato Sturninum. Nell’ottavo secolo i monaci basiliani costruirono una badia di rito greco che chiamarono San Nicolò cis-Sturninum, (cis in latino significa «dallo stesso alto »), dove oggi sorge la Chiesa Matrice. Alberobello deve il suo nome alla Sylva Arboris Belli («selva dell’albero della guerra»), un querceto che anticamente ricopriva la zona. E Locorotondo potrebbe chiamarsi così non solo per il suo originale perimetro circolare ma, secondo lo storico locale Francesco Fumarola, pure grazie a coloni greci originari di Locri: da «Locros-Tonos», ovvero «forti locresi», a Locorotondo.

Per giunta sopravvivono tradizioni millenarie: ad esempio, sempre a Cisternino le gestanti vanno ancora in processione, a piedi, fino alla chiesetta dedicata alla Vergine d’Ibernia, detta anche «delle uova» - cioè, la Madonna dell’abbondanza, della vita e della fertilità - in inconsapevole memoria delle prerogative di antiche divinità pagane: non lontano c’era un tempio dedicato alla dea della fertilità Cibale; tanto è vero che al santuario mariano è portato in dono, nelle feste primaverili, lo stesso dolce, il chïrrùchele (dal latino auguraculum, dono propiziatorio), che i bambini pagani offrivano a Cibele per propiziarsi la fecondità. Con un balzo di duemila anni in avanti, a Locorotondo si può osservare anche la targa che ricorda un altro mito, Giuseppe Di Vagno, il «Matteotti di Puglia»: deputato socialista di Conversano (non lontano) assassinato dai fascisti nel lontano 1921. «La codardia nemica due volte distrusse. Il popolo due volte pose. Locorotondo, 2 maggio 1947», vi si legge.

Infatuati da queste reminiscenze, si torna alla realtà nel bel mezzo di Alberobello, protetta dall’Unesco. Qui la Puglia celebra la proclamata vocazione al turismo internazionale. Vi si osservano frotte di turisti giapponesi, segnalati nel resto del Tacco d’Italia solo a Lecce, Otranto e Castel del Monte. E ci s’imbatte nella preveggenza - questa sì, solo alberobellese - dei commercianti: esibiscono anche cartelli, avvisi, listini, menù scritti nella lingua del Sol Levante, circostanza che tranquillizza i diffidenti nipponici; e non pochi commercianti sfoggiano un inglese che, per quanto elementare, è efficace (quanto raro nel resto delle località turistiche pugliesi). Nell’impeto del marketing, si offrono, ai religiosi, trulli presidiati da Padre Pio; agli sportivi, trulli con i colori di Inter, Milan, Juventus, Bari, Lazio, Napoli e via elencando. Gli amanti degli animali possono accettare i fischi di richiamo emessi da «Ba Ciccio», vivace canarino che ovviamente «vi invita alla visita del trullo».

Il conseguente stordimento da overdose di trulli e rosoli (forniti «innocentemente» dai proprietari) è curabile finendo nel mezzo di un quadro di Van Gogh; o meglio, del quadro che il pittore olandese avrebbe senza dubbio dipinto se avesse visto, poco lontano dal caos di Alberobello, l'Abbazia di Barsento. I colori sono degni della Provenza, sullo sfondo di campi gialli costellati da covoni di fieno. è nel territorio di Noci, fu realizzata per i monaci di Sant’Equizio da papa Gregorio Magno nel 591, in cima a una collina affacciata sul canale di Pirro. Merita, da sola, l'onere di un viaggio. La strada da qui s’abbarbica su per i colli della Valla d’Itria, raggiunge Noci, svolta verso Putignano, quindi scende in direzione di Castellana e delle sue grotte e, attraverso distese di vigne e di ulivi, raggiunge Conversano, laddove regnarono, con piglio di amazzoni, le badesse mitrate.

    

    

©2006 Marco Brando; articolo pubblicato su «Corriere della sera - Corriere del Mezzogiorno» del 27/7/2005.

      


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