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       REPORTER - «DENTRO» LA PUGLIA

a cura di Marco Brando


 


Sulla via di san Pio spuntano testimonianze della religione pugliese. Torremaggiore, Federico II e il rudere della reggia. Partirà il restauro?

La torre circolare del castello angioino di Lucera.

   
  
Lucera domina la piana occidentale del Tavoliere. È una bella città, con 35mila abitati. Lo è sempre stata, ricca com’è di monumenti, dall’anfiteatro romano al duomo, al castello angioino. È stata pure importante. Ne sono convinti, i lucerini: sullo stemma municipale c’è un leone con la scritta «SPGL», tanto per far capire ai romani che non hanno il monopolio del più noto «SPQR» (Senatus Populusque Romanorum). D’altra parte è qui che i sanniti rinchiusero i seicento cavalieri romani avuto in ostaggio alle famigerate Forche caudine, nel 321 a.C.

Eppure la circostanza storica che sollecita di più la fantasia è quella legata ad un passato di cui non resta più traccia, ma che fece attribuire alla città, in età sveva, il nome di Luceria Saracenorum. Dal 1224 al 1300 è stata il più grande centro musulmano d’Italia, per volere di Federico II. Finché Carlo I e soprattutto Carlo II d’Angiò - finita l’era degli Svevi - li massacrarono, distruggendo le moschee e tutto il resto (un po’ per volere del papa, un po’ perché erano sgraditi agli importanti signori cristiani del luogo). Ancora oggi, nel sito internet della comunità islamica ligure, si legge che la moschea di Segrate (Milano), inaugurata nel 1988, «è la prima costruzione definibile dal punto di vista architettonico come moschea (con cupola e minareto) realizzata in Italia, dopo la demolizione della moschea Giami di Lucera dei Saraceni e il massacro di tutta la sua popolazione musulmana».
Quei musulmani erano stati deportati a Lucera dalla Sicilia, tra 1224 e 1246, per ordine di Federico II, che pose termine alla loro ribellione nell’isola, dove vivevano da centinaia di anni. Certo, Federico aveva trascorso l’infanzia a Palermo. I suoi insegnanti erano stati arabi, ne aveva assorbito la cultura. Però nel 1219 Girgenti era divenuta una loro roccaforte. Per l’imperatore la rivolta saracena era un atto di tradimento contro la corona non meno che una minaccia al cristianesimo.

I sopravvissuti furono deportati in Puglia: a Stornara, Girofalco o Castelluccio dei Sauri. E soprattutto a Lucera. Ben presto i musulmani lucerini diventarono fedelissimi degli Svevi, tanto da costituire la guardie del corpo reale. Versarono sangue per loro in Siria, Lombardia, Umbria, Marche, Abruzzi, Lazio. Morto Federico II, suo figlio Manfredi continuò a utilizzare i saraceni. Con gli Angioini non ebbero lo stesso feeling. Ed ebbero la peggio.

Il destino però volle che Federico II, nel 1250, morisse a una decina di chilometri dalla sua Luceria Saracenorum: nella città di Fiorentino, ora nel Comune di Torremaggiore, dove oggi ci sono tra l’altro i ruderi di un edificio religioso e, forse, di una reggia. Arrivarci è arduo: giungendo da Lucera, le rare indicazioni si vedono solo quando, di fatto, si è già fortunosamente arrivati. E, di fronte all’attaccamento dei pugliesi verso Federico II, si rimane un po’ sconcertati per lo stato di abbandono dell’antico centro: a fatica si capisce che è sull’estremo versante occidentale di una collina, detta dello Sterparone. S’intravedono qualche rovina e la colonna donata nel 2000 da Stoccarda, nell’attuale Svevia, per il 750esimo anniversario della scomparsa del sovrano. Per raggiungerla occorre risalire per almeno un chilometro una strada scoscesa, percorribile solo con un fuoristrada o a pedi. Nessun turista che non voglia emulare Indiana Jones si sogna di andarci, tanto meno sotto il sole estivo (quando piove il fango rende la scalata ancor più precaria).

Un destino segnato? Il degrado di Fiorentino iniziò già nel XIII secolo: fu distrutta nel 1255 dalle truppe del Papa Alessandro IV. Dopo il 1300, la totale rovina. Fu asportata una lastra di marmo, usata nell’altare maggiore della Cattedrale di Lucera: si dice fosse stata la mensa di Federico. Per fortuna è notizia di fine luglio [2005] il fatto che il mitico «Parco archeologico di Fiorentino» sarebbe in dirittura d’arrivo: a dieci anni dalla presentazione del progetto il Comune sarebbe in grado di appaltarne i lavori, entro agosto (420mila euro, finanziati dalla Regione Puglia). Lo scopo? «Conservazione e restauro dei manufatti esistenti riportati alla luce dagli scavi archeologici; realizzazione di impianti per la fruizione e valorizzazione del sito; costruzione di una strada di accesso, di un parcheggio, di stradine interne e dei servizi igienici». Speriamo. Da Fiorentino la strada porta a San Severo, poi corre verso il Gargano. Risaliamo i tornanti verso Rignano Garganico, a 590 metri d’altitudine: è detto. Da qui si raggiunge San Marco in Lamis, quindi San Giovanni Rotondo, sacro a Padre Pio, santo e beato, e ai credenti. Una benedizione che non ha aiutato la cittadina dal punto di vista urbanistico: la selva di alberghi costruiti ovunque, tra campi spogli e trascurati, rende il paesaggio sgradevole (la penserebbe così anche il frate di Pietrelcina, probabilmente…). 

Il centro storico di San Giovanni, qualche chilometro dopo, è invece gradevole e ben tenuto: meriterebbe d’essere conosciuto di più. Da qui la strada sale verso i 796 metri di Monte Sant’Angelo, forse il più affascinante paese del Gargano. Il Santuario di San Michele Arcangelo, uno dei più antichi della cristianità, emoziona quasi da due millenni. Secondo la tradizione, nel 493 il vescovo di Siponto, Moriano, consacrò la prima chiesa, convinto che i barbari fossero stati fermati dall’apparizione dell’Arcangelo in una grotta del monte. È più probabile che il santuario sia sorto nella seconda metà del VI secolo, su una badia brasiliana più antica, per volere del ducato longobardo di Benevento. Di fatto, diventò il santuario nazionale dei Longobardi. L’unica nota stonata? Ai turisti («Quest’anno ancora meno dello scorso anno», dice Gegè Mangano, chef e patron della «Taverna de li Jalantuúmene») è imposto, nel caso indossino abiti troppo sbracciati o sgambati, di coprirsi con orribili teli dai colori improbabili. Abbiamo visto una coppia di enormi villeggianti bardati e infagottati come due mongolfiere. Siamo quasi certi che, senza teli, sarebbero stati meno «scandalosi». Da Monte Sant’Angelo la strada torna a valle, per poi rivolgersi verso la Foresta Umbra. 

  

     

©2006 Marco Brando; articolo pubblicato su «Corriere della sera - Corriere del Mezzogiorno» nell'agosto 2005.

      


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