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A Orsara, Faeto e Valfortore la cultura è tollerante e poliglotta. Un’antica comunità di valdesi popola i paesini dell’Appennino.
La comunità valdese di Orsara di Puglia nel 1929.
Incontriamo la famiglia a Orsara di Puglia, 635 metri d’altitudine, 3.229 abitanti, tra boschi dell’Appennino dauno, sul confine campano. Mentre stiamo facendo colazione sotto il porticato del ristorante (con alloggio) di Peppe Zullo, chef e sommelier, uno dei pilastri, non solo sul fronte gastronomico, della comunità. Lui, il padre, di cognome fa Miriello. E da queste parti non stona. Di nome però si chiama Ron; e già qualcosa non torna.
Lei, la madre, di cognome si chiama Agriesti. Però, ci risiamo: di nome, Marlena. Sono con il figlio Beniamino, un adolescente alto alto. Il look ha qualcosa di esotico, molto… americano. Infatti sono statunitensi, per la precisione californiani. Da queste parti per riscoprire le loro radici. Perché Ron - che ha un’azienda di
graphic communication a San Diego - vanta bisnonni di Pisticci (Matera), in Basilicata. Mentre il nonno di Marlena è originario di Celle di San Vito, poco più di 297 abitanti, nella valle a fianco.
Può capitare anche questo, vagando «dentro» la Puglia. Orsara, tra i paesi arroccati quassù, è uno dei più trendy. Nel suo piccolo, ha l’aspetto e le aspettative del centro turistico: in queste sere d’estate il piccolo e fresco centro storico viene chiuso, i negozi e le trattorie restano aperte, assieme ai bar, fino a tardi. Nelle due vie del centro si pratica lo struscio. I turisti ci sono. Per giunta d’estate viene organizzata la «Rassegna di jazz d’autore di Orsara», giunta alla XVI edizione. Vanta poi la chiesa medievale dell’Angelo e il Palazzo baronale, sede nel XIII secolo dei cavalieri spagnoli di Calatrava. E c’è pure un forno a paglia che risale al 1526, tuttora funzionante: si chiama «Pane e salute» e, su prenotazione, vi si può cenare (0881/709253).
Ron s’aggira per «Pane salute» raggiante. Ha l’aspetto molto americano, ma è pure assai orgoglioso delle sue radici: parla un buon italo-americano che vorrebbe trasformare in vero italiano; ed è entusiasta di tutto ciò di pittoresco, genuino, italico che gli si para davanti, tanto che sta realizzando un libro sugli ultimi artigiani (veri) della Penisola. La moglie conosce solo qualche parola della lingua dei suoi avi e sorride. Beniamino osserva entrambi i genitori con soddisfazione e pazienza. Il giorno prima del nostro incontro erano andati a visitare Celle di San Vito, dove vivono ancora cinque famiglie Agriesti. E dove hanno incontrato il sindaco Achille Cocuzzi.
«La forza dell’Italia è la capacità di rinascere sempre», dice soddisfatto Ron. A Orsara sono giunti perché, ovvio, lui è appassionato di buona tavola. Così ha trovato il nome di Peppe Zullo sulla guida di Slow Food. E a Orsara non si può avere miglior cicerone che Peppe. Sorprese orsaresi finite? Ma no. Nel cuore di Orsara, ad esempio, c’è una chiesa protestante valdese, edificata nel 1932. «Il delegato di pubblica sicurezza Mariani, inviato… per il mantenimento dell’ordine pubblico, fu colpito con un pugno al volto da una donna, perché scambiato per dimostrante valdese». Era il 13 marzo 1914. Così racconta Maria Adelaide Rinaldi Lupi nella sua tesi di laurea in Teologia, dedicata alla storia della cittadina in cui è stata anche Pastore protestante. Quel giorno a Orsara ci furono scontri, feriti leggeri, alcuni arresti. Nulla di irreparabile: lì è stata sperimentata per molto tempo (oggi se ne valutano i buoni risultati) la possibilità di far convivere, in Italia, cattolici e protestanti. Tuttora Orsara è il cuore della comunità valdese di Puglia, dalla quale sono nate comunità minori a Foggia e Cerignola.
Oggi i valdesi di Orsara sono una quarantina, cui vanno aggiunti una ventina di simpatizzanti; a Foggia sono circa trenta, più altri trenta simpatizzanti. Tutti sotto la guida di un Pastore che si chiama Jean-Félix Kamba Nzolo: è nato in Congo trentotto anni fa, da 18 anni è in Italia, è sposato con una connazionale, ha due figli. E pensare che le prime comunità valdesi in Capitanata risalgono al Quattrocento. Vi giunsero al seguito degli Angioini. Ma nel Cinquecento furono cancellate, spesso con le cattive maniere, dal Sant’Uffizio. Finché il 13 febbraio 1900 alcuni ex emigranti orsaresi, che avevano conosciuto la chiesa protestante negli Usa, fondarono la Chiesa Valdese di Orsara. Così la comunità continua a conservare la propria confessione, la propria tradizione e la propria vivacità.
Anche il paese di Marlena, Celle di San Vito, e la vicina Faeto (799 abitanti), hanno caratteristiche curiose: hanno molto in comune con la Valle d’Aosta, perché vige il bilinguismo e si parla franco-provenzale. Per scoprirlo, dato che le montagne non collaborano, bisogna scendere fino al Troia (sorge sul luogo dell’antica Aecae, distrutta da Annibale nel 216 a.C., subito dopo la battaglia di Canne, e poi ridistrutta nel 1229 da Federico II; resta comunque affascinante) per risalire le montagne, tra campi di girasoli. Finché ci s’imbatte in un vecchio cartello giallo arrugginito e rovinato da una fucilata a pallini nonché dagli adesivi di un candidato alle scorse elezioni. Vi si legge «Minoranza franco provenzale dell’alta valle del Celone», con tanto di stemma angioino e cartelli bilingui: Faeto diventa «Fait», Celle di San Vito diventa «Cell di Sant Wit». A Celle, come a Faeto, le vie, per capirci, sono chiamate «Rûe». All’ingresso di Faeto si legge: «Bunvnì a Faìt, lu paìj me aut d la Puglj», «Benvenuti a Faet, il paese più alto della Puglia ». Perché? Verso la fine del secolo XIII vi giunse una colonia di provenzali, soldati mercenari di Carlo d’Angiò, reduci da Lucera dopo essersi scontrati con i Saraceni, là assediati
Da Faeto - nota anche per i suoi prosciutti - raggiungiamo, lungo una strada provinciale tortuosa e in gran parte sterrata, l’isolato ma grazioso paese di Roseto Valfortore, «città del miele e del tartufo». Anche da qui partirono molti emigranti: dopo l’Unità d’Italia tanti rosetani andarono a cercare lavoro in Nord America, a tal punto che nel 1912 negli Stati Uniti fu fondato Roseto Pennsylvania. Si risale quindi l’Appennino per ridiscendere verso il tavoliere, attraverso Alberona. Diretti proprio a Lucera, la Luceria saracenorum assediata, oltre ottocento anni fa, dagli antenati dei cellesi e dei faetani.
©2006 Marco Brando; articolo pubblicato su «Corriere della sera - Corriere del Mezzogiorno» dell'agosto 2005.