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       LA MEMORIA DIMENTICATA

a cura di Teresa Maria Rauzino


 


La singolare lanterna sull'altopiano di Minervino Murge, in Terra di Bari, testimonia del tempo degli scontri violenti con cui il movimento abbattè la democrazia.

   

«Anche se non serve a niente, gira ancora. Eccome», afferma un signore seduto ai tavoli del Bar Faro, a Minervino Murge. Cos'è che gira? La lampada del faro, appunto. Tuttavia, prima di spiegare cosa ci faccia quel “pinnacolo” di 32 metri a 420 metri di altitudine, su un altopiano dove una nave non s'è mai vista né mai si vedrà, occorre una premessa: l'idea, per quanto surreale, parve così originale che nel 1923 persino Benito Mussolini mise la sua firma. Sotto un assegno da diecimila lire, circa ottomila euro dei nostri giorni. E infatti il faro nel mezzo dei giardini pubblici «è un monumento eretto nel 1932 ad esaltazione del fascismo e dei suoi caduti» ( come si legge nell'informatissimo sito Internet della Pro Loco, da cui sono ricavate parte delle informazioni e le foto dell'epoca).

Il Duce, allora, era reduce dalla Marcia su Roma del 28 ottobre 1922, che segnò l'avvento del fascismo al potere, visto che il giorno successivo Vittorio Emanuele III gli chiese di formare il nuovo Governo. Così, non a caso, esattamente un anno dopo, il 28 ottobre 1923, a Minervino fu posta la prima pietra del faro, voluto per esaltare il fascismo e i suoi caduti. Il progetto era stato affidato all'architetto barese di sicura fede mussoliniana Aldo Forcignanò. Fu inaugurato in pompa magna il 29 giugno 1932, presente il segretario del Partito fascista, il pugliese Achille Starace (Gallipoli, 1889 - Milano 1945). Il risultato? Un monumento così ricoperto da simboli littori e imperiali che neppure dopo la fine del regime si trovò il tempo per eliminarli tutti. Fra i trenta caduti fascisti pugliesi all'epoca citati, cinque minervinesi. Su una delle facciate venne scolpita l'epigrafe dettata dal professor Augusto Cerri: «Più che faro nelle tenebre, più che sole a meriggio, splenderà nei secoli, conforto ai fedeli, rampogna ai traditori, la luce del martirio fascista». Nel Dopoguerra fu cancellata solo la scritta «fascista».

Ora ufficialmente è un monumento a tutti i caduti di Puglia. E, spiega la Pro Loco, «irraggia un fascio di luce di modesta intensità che sostituisce quello originario donato dal ministero della Marina Mercantile della potenza di 2 milioni di candele, a suo tempo visibile per un raggio di 80 km». È interamente costruito in pietra dura di Minervino. All'interno, una scala a chiocciola s'arrampica fino alla loggetta panoramica.

Il faro non è comunque solo una testimonianza della retorica del fascismo. Testimonia anche la storia di una comunità orgogliosa e tenace, quella di Minervino Murge. «L'idea del faro - si legge nel sito della Pro Loco - nacque durante una commemorazione per il caduto Riccardo Barbera, a Molfetta, ad opera dell'avvocato Altomare» . Oltre al nome di Barbera, agricoltore, vi furono così riportati quelli di altri caduti negli scontri tra fascisti e socialisti. Insomma, furono vittime, assieme a tanti oppositori del regime nascente, di una guerra civile più o meno palese che sarebbe ripresa, vent'anni dopo, con la guerra di liberazione.

All'inizio del Novecento Minervino, secondo i resoconti dell'epoca, aveva ventimila abitanti ( oggi la metà): vivevano in «abituri insufficienti al numero dei componenti la famiglia, a scapito dell'igiene, contenenti ancora il pollaio, il fienile e la stalla » .

Dal 1898 in poi ci furono varie sanguinose rivolte contadine determinate dalle precarie condizioni di vita. La nascita dei movimenti sindacale e socialista consentirono di indirizzare la protesta spontanea verso obiettivi precisi. Tra l'altro, nel 1911 il diciannovenne cerignolano Giuseppe Di Vittorio, fondatore della Cgil dopo il fascismo, diresse proprio la Camera del Lavoro di Minervino. A livello politico-amministrativo cominciarono ad avere successo i socialisti: il 28 giugno 1914 vinsero le elezioni comunali, sindaco Savino Castrovilli. Il nuovo governo durò appena una decina di mesi, fino all'1 aprile 1915, poi fu sciolto d'autorità. Dopo la I Guerra Mondiale, in un clima di grande miseria, la Camera del Lavoro - diretta da Domenico Gugliotti (che aveva conosciuto Mussolini prima della guerra, nel periodo del socialismo rivoluzionario) e Michele Veglia - promosse un grande sciopero generale, il 20 e 21 luglio 1919. I proprietari terrieri reagirono creando organizzazioni paramilitari, sostenute da magistratura e forze dell'ordine, che temevano una deriva bolscevica. Nel novembre 1919 le elezioni confermarono il successo del Psi contro il Fascio liberal-democratico.

Il crescente attrito tra fascisti e socialisti portò a scontri di piazza con morti e feriti (11 aprile 1920). Nel settembre del 1920 a Minnervino si costituì il Fascio dell'ordine, cui aderirono proprietari terrieri ed ex combattenti. In ottobre ancora una volta la lista socialista prevalse. Dopo la sconfitta elettorale, il Fascio prese il nome «di combattimento». Ci furono assalti alla Camera del lavoro, controassalti alle case dei proprietari terrieri. Altri morti e feriti. Nel marzo 1921 i fascisti occuparono Camera del Lavoro e Municipio; il consiglio comunale si dimise il 20 aprile. «Le successive elezioni in un clima di violenze ed intimidazioni nel maggio 1922 videro il sorpasso dei fascisti sui socialisti con 1908 voti contro 1630, su 5045 iscritti votarono 3575». Nel febbraio 1923 si ebbero le nuove elezioni comunali. Finte: l'unica lista fascista riportò 4527 voti su 4527 votanti. Il sindaco fu Giuseppe Corsi.

E, con la conquista mussoliniana del potere, fu deciso di creare il mausoleo del faro. Caduto il fascismo, i comunisti avrebbero voluto abbatterlo, ma il socialista Tommaso Barbera convinse tutti a «convertire» la costruzione in monumento ai caduti di Puglia, cancellando le parole che richiamavano, nelle varie epigrafi, il vecchio regime. Eppure ancora oggi basta un'occhiata per capire, osservando quel tripudio di fregi e fasci intonsi, quali sono state le sue radici.

    

       

©2005 Marco Brando; articolo pubblicato su «Corriere della sera - Corriere del Mezzogiorno» del 28/9/2005.

      


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