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       LA MEMORIA DIMENTICATA

a cura di Teresa Maria Rauzino


 


La strage dei contadini delusi dalla libertà giacobina
Il 25 febbraio 1799 ottomila Francesi al comando del generale Duhesme repressero nel sangue una rivolta contro la Repubblica Partenopea.

   

Era la mattina del 25 febbraio 1799, esattamente duecentosei anni fa. La prima cannonata contro San Severo squarciò Palazzo di Recca. Poi le truppe francesi entrarono in città, sbaragliando la resistenza. A sera, quando la carneficina si placò, i morti tra gli abitanti della cittadina dell’Alto tavoliere erano duecentoquarantuno. Un altro centinaio di vittime appartenevano a paesi vicini: erano accorse a dar man forte ai sanseveresi.

Morirono anche più di cento francesi. Alla fine furono mezzo migliaio le persone uccise durante uno degli episodi più drammatici, ma meno conosciuti, della storia moderna pugliese. Ed è pure uno degli episodi meno noti della breve storia della Repubblica partenopea: il regime giacobino instaurato a Napoli il 23 gennaio 1799 col sostegno del generale Championnet (era disceso lungo la penisola in seguito alle vittorie di Napoleone Bonaparte nel Settentrione) e conclusosi - con la restaurazione borbonica e il ritorno di Ferdinando IV dal rifugio di Palermo - il successivo 13 giugno, poco più d’un mese dopo il ritiro dei francesi, avvenuto l’8 maggio.

Di quell’epoca la storiografia ricorda soprattutto un’altra strage pugliese, ancora più terribile, quella legata, nella maggio 1799, alla resistenza di Altamura, pervasa degli ideali della rivoluzione francese, all’assedio dei Sanfedisti capeggiati dal Cardinale Ruffo. Ma mentre ad Altamura le promesse repubblicane di maggiore equità sociale confortarono di più le aspettative della popolazione, a San Severo, come in altri centri della Capitanata, la politica francese finì per rassicurare i vecchi ceti dirigenti, certi di poter mantenere i propri privilegi. Circostanza che provocò grande malcontento tra la popolazione più disagiata. A quest’ultimo episodio è dedicato un recente volumetto di Giuseppe Clemente, Febbraio 1799. Giacobini, sanfedisti e francesi a San Severo. Cronaca di una strage (Esseditrice, 2004, collana del CRD Storia Capitanata). Un volume ricco di documentazione raccolta negli archivi locali e per nulla revisionistico come spirito.

Dunque, il 25 febbraio del 1799 San Severo fu espugnata dalle truppe francesi del generale Guillaume-Philibert
Duhesme, fedelissimo di Napoleone e destinato a morire, nel 1815, a Waterloo. Morte, stupri e distruzione seguirono l’ingresso dei suoi soldati nella città, sia le chiese che i palazzi privati furono saccheggiati e in parte incendiati. E pensare che solo diciassette giorni prima della battaglia, l’8 febbraio, era stato innalzato nella piazza della Trinità l’albero della libertà, emblema del nuovo governo «appartenenti alle più cospicue famiglie». Infatti, ricorda Clemente, in Capitanata «contadini e ceti popolari urbani in principio si erano illusi, credendo che, con la caduta della monarchia, fosse giunto il momento da sempre invano atteso, quelle della divisione delle terre e degli sgravi fiscali». S’aspettavano pure che «finalmente i poveri e i diseredati, stando ai principi di eguaglianza sociale sbandierati ai quattro venti dai francesi, potessero avere una vita più dignitosa, e perché no, un maggior peso politico».

Così all’inizio il popolo si riversò in festa nelle strade. Finché da Napoli i nobili e i cosiddetti galantuomini borghesi furono rassicurati: il generale Championnet contava molto sull’appoggio delle borghesia terriera e sull’ordine pubblico. Chi aveva sempre avuto potere e terre si rilassò, affrettandosi a riconoscere il governo giacobino, con lo stesso entusiasmo con cui s’era mostrato fedele alla monarchia. L’alto clero seguì l’andazzo. Risultato: il popolo, illuso e arrabbiato, si schierò contro i nuovi governanti.

Esponenti di famiglie di spicco escluse dal nuovo sistema di potere cittadino soffiarono sul fuoco. Quando il 10 febbraio i repubblicani prelevarono il simulacro della Madonna del Soccorso, patrona di San Severo, per portarlo accanto all’albero della libertà, ci fu chi gridò al sacrilegio. Dopodiché furono massacrati e decapitati i giacobini a portata d’ascia. Pure il vescovo, sospettato di essere giacobino, dovette fuggire e rifugiarsi a Foggia.

Proteste e rivolte antigiacobine si verificarono anche ad Andria e Trani. Allorché il Cardinale Ruffo, a capo di 17.000 uomini, cominciò a risalire la Calabria per restaurare Ferdidando IV di Borbone, i francesi si decisero a domare le rivolte nella parte settentrionale della Puglia, in particolare quella di San Severo, che era un nodo stradale d’importanza strategica. Il 19 febbraio il generale Duhesme partì da Napoli, conquistò Bovino, Troia e Lucera, il 22 entrò a Foggia. Mandò ambasciatori a San Severo, offrendo il perdono in cambio della resa. Risultato: davanti agli stessi ambasciotori fu ucciso chi avrebbe voluto arrendersi. Allora il generale ordinò l’attacco.

Il 25 febbraio 1799 seimila uomini, con otto cannoni e due obici, attaccarono la città dalla strada di Foggia; altri duemila, con due cannoni, lo fecero da quella di Lucera. Ai francesi s’unirono anche i giacobini foggiani, «particolarmente rapaci nel saccheggio», e un migliaio di napoletani. Scrisse Duhesme al generale Mac Donald, il 7 marzo successivo: «Non è stato altro che un massacro, il quale ebbe termine perché le donne e i fanciulli fuggiti il giorno avanti si misero tra i ribelli e i soldati».

Com’è noto, la storia poi segue percorsi contorti, tra la memoria dei vincitori e quella vinti. E al generale che conquistò San Severo, sacrificatosi a Waterloo e considerato un eroe dai francesi, è dedicata la sontuosa Rue Duhesme, nel XVIII Arrondissement di Parigi.

Il cardinale Fabrizio Ruffo

DUE MESI DOPO L'INFERNO AD ALTAMURA

Nel maggio del 1799, pochi mesi dopo la strage di San Severo, furono i Sanfedisti del cardinale calabrese Fabrizio Ruffo - nominato da Ferdinando IV, rifugiatosi a Palermo, Generale del Regno - ad assediare, conquistare e saccheggiare Altamura, che aveva aderito entusiasticamente alla Repubblica Napoletana. Il 7 febbraio era stato piantato l'albero della libertà nella piazza della Cattedrale. Ma l’8 gennaio Ruffo sbarcò in Calabria dalla Sicilia con pochi compagni. Grazie all'appoggio britannico preparò la reazione, mobilitando le masse rurali in nome del più acceso fideismo. L'avanzata dei Sanfedisti consenti una rapida riconquista della Calabria. Crotone e Catanzaro, che resistettero, furono saccheggiate, gli uomini trucidati e le donne violentate.

L'Armata della Santa Fede, fatta d'irregolari, truppe baronali, ex carcerati, cavalieri, artiglieri, giunse ad Altamura forte di oltre sedicimila uomini. Visti vanificati i tentativi di ottenere la resa della città, Ruffo si preparò all'attacco. La mattina del 10 maggio i Sanfedisti, bruciata porta Matera, penetrarono nella città. Le sorti di quelli che erano rimasti nelle mura di Altamura furono terribili: furoni uccise centinaia di donne, vecchi, bambini.

Quell'inferno durò tre giorni. Poi il Cardinale procedette verso Gravina, che mise a sacco. Le forze realiste presidiarono per quattordici giorni la città e quindi proseguirono al loro marcia che si sarebbe conclusa il mese successivo con la conquista di Napoli, il 13 giugno. Per il coraggio dimostrato, Altamura venne soprannominata la Leonessa di Puglia.

       

    

©2005 Marco Brando; articolo pubblicato su «Corriere della sera - Corriere del Mezzogiorno» del 25/02/2005.

      


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