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       LA MEMORIA DIMENTICATA

a cura di Teresa Maria Rauzino


 


L’assassino di Matteotti e la distruzione di Foggia dell’estate del 1943 nel racconto di un funzionario centenario del Ministero degli Interni, Felice De Simone.

    
     

Amerigo Dumini

«Amerigo Dumini era una persona affabile, chiacchierava con me e con il sottufficiale dei carabinieri addetto alla sua sorveglianza, giocavamo qualche volta anche a carte, guai però ad accennare alla vicenda del delitto Matteotti, appena si tirava in ballo quell’argomento cambiava umore e smetteva di parlare».

A ricordare la figura di Amerigo Dumini, lo squadrista che il 10 giugno 1924 guidò la squadra che rapì Giacomo Matteotti uccidendolo con una coltellata, è Felice De Simone, un funzionario del Ministero degli Interni che lo conobbe nel 1933 quando lo squadrista era al confino alle isole Tremiti. De Simone fra il 1933 ed il 1936 ricoprì l’incarico di segretario alla colonia penale delle isole Tremiti dove erano rinchiusi all’epoca delinquenti comuni che si erano macchiati di reati particolarmente gravi ma anche confinati politici e prigionieri provenienti dalla colonia della Libia, “pacificata” pochi anni prima con distruzioni di villaggi, deportazioni di massa ed esecuzioni esemplari nelle pubbliche piazze dal generale Rodolfo Graziani. I ricordi di De Simone sono lontani, risalgono ormai ad oltre settant’anni. Nonostante il trascorrere del tempo sono però ancora nitidi.

«Avevo 28 anni e lavoravo già da anni con il ministero degli interni, ero reduce come funzionario da due missioni di assistenza ad Ariano Irpino ed a Senigallia, città che erano stata colpite da due terremoti violenti, quando fui inviato alle Tremiti, certo – ricorda l’anziano funzionario in pensione – quando appresi la destinazione non feci salti di gioia, anzi, lì in fin dei conti anche chi lavorava si sentiva recluso, trascorrevamo mesi e mesi di continuo in quell’isola l’unico collegamento era il piroscafo». Fra i tanti detenuti incontrati in quel biennio anche Dumini, l’uccisore di Matteotti. «Ricordo che in totale durante il mio soggiorno lavorativo alle Tremiti i confinati politici erano 37. Vi erano avvocati, medici, politici, fra gli altri alla colonia penale delle Tremiti fu ospitato anche Sandro Pertini io però – ricorda De Simone – non ebbi la possibilità di incontrarlo e parlargli».

A pochi giorni dall’anniversario, l’ottantaduesimo, dal rapimento e dall’assassinio Matteotti, il funzionario così ricorda l’uccisore del deputato socialista. «Era di bell’aspetto, atletico, in realtà più che un detenuto se la passava meglio di noi, che avevamo a disposizione degli alloggi mediocri. Dumini invece – spiega De Simone - era ospitato in un villino separato dalla colonia penale con una squadra di carabinieri e guardia. Certo si lamentava della noia che inevitabilmente si soffriva alle Tremiti, però aveva a disposizione un assegno mensile di 4.000 lire, io ero segretario e quindi ero a conoscenza di quella somma assai cospicua per l’epoca. Dumini girava in barca a fare escursioni accompagnato dai carabinieri e sfoggiava la sera nelle vie del paese bei vestiti, era una sorta di ospite costretto a non poter uscire da una prigione dorata».

I ricordi di segretario della colonia penale delle Tremiti non si limitano però al solo Dumini. «Di episodi accaduti ne ricordo tanti, come pure persone strane che vi erano detenuti, su tutti ricordo il figlio di un pascià della Cirenaica, una delle regioni delle colonie libiche, il libico aveva a disposizione ogni mese un ricco assegno che gli mandava il padre. Gli piaceva giocare d’azzardo a carte, dopo pochi giorni dell’inizio del mese finiva – ricorda De Simone - subito i soldi perdendo nel gioco delle carte con gli isolani che lo vedevano come una sorta di involontario benefattore una sorta di gonzo da spennare». Finita l’esperienza di lavoro alle Tremiti per De Simone l’approdo nella sede della questura di Foggia. «Il trasferimento dalle Tremiti fu per me una sorta di liberazione, lì oltre al lavoro ed alla pesca non c’era molto da fare io poi che avevo vissuto a Lucera, avevo svolto anche il servizio militare Perugia ero abituato alla vita di città con momenti di svago». Il trasferimento a Foggia consentì a De Simone di potersi sposare nel 1939 nella cattedrale di Lucera. «Nel 1940 ebbi il mio primo figlio Berardino, le cose sembravano andare per il meglio poi di nuovo la guerra con tribolazioni e paure».

Ricorda l’anziano funzionario in pensione che lo scorso 1 maggio ha raggiunto il traguardo dei cento anni: «Io non avevo partecipato alla prima guerra mondiale, ero un ragazzo di 12 anni quando finì, rischiai però di morire lo stesso, contrassi nell’ottobre 1918 la febbre spagnola, io fui fortunato sopravvissi, a Carlantino, dove ero nato e vivevo però morirono tanti bambini che conoscevo».

Pur essendo stato richiamato nel 1943 nell’esercito De Simone trascorse la seconda guerra mondiale lavorando alla questura di Foggia, vivendo così la terribile stagione dei bombardamenti. «Che tragedia, noi come funzionari della questura eravamo tenuti ad intervenire, a cercare di fare qualcosa per tutta quella povera gente che si aggirava fra le macerie. Io vivevo a Lucera, era pericoloso prendere il treno Lucera Foggia ed ogni mattina venivo a Foggia in bicicletta per lavorare». Ricorda De Simone. «Io avevo vissuto l’esperienza di portare soccorso come funzionario del Ministero degli Interni a cittadine terremotate come Ariano Irpino e Senigallia, mi ero già confrontato con realtà fatte di morti e macerie purtroppo, quello che vidi in quell’estate del 1943 a Foggia fu molto più terribile. Ho ancora immagini infisse nella mia mente, il ricordo più drammatico fu quello di una donna colpita da una scheggia che le recise di netto il capo, pur decapitata la donna non cadde immediatamente, rimase in piedi qualche secondo sembrò quasi riuscisse a fare un altro passo prima di cadere in terra morta, fu un immagine allucinante». Durante i bombardamenti di Foggia De Simone fu anche ferito da una scheggia ad una gamba. «Dovevamo compiere il nostro dovere, non potevamo certo starcene in ufficio». 

Fra i ricordi del funzionario in pensione anche la fine del regime il 25 luglio e l’armistizio dell’8 settembre. «La guerra aveva fatto crollare in noi la fiducia nel duce, vedere a Foggia poi tanta gente morire nei bombardamenti ci aveva fatto vivere in prima persona la tragedia del conflitto, quando avemmo la notizia della destituzione di Mussolini lanciammo in questura gli stemmi del fascio in faccia al segretario politico. Certo poi – prosegue  - vennero altri bombardamenti, altre distruzioni, ricordo l’arrivo dei canadesi, il saccheggio dei nostri uffici ad opera di delinquenti comuni erroneamente scarcerati dagli americani». Nella mente di De Simone quelle immagini di 63 anni fa sono ancora vivissime. «Foggia era una città spettrale, purtroppo noi della questura fummo trasferiti a Troia, i colleghi della prefettura andarono a Lucera, cercammo con la guida del prefetto, il generale di Cotroneo, di mantenere un barlume di continuità di poteri civili con il regno del Sud, dare – ricorda l’anziano funzionario - qualche risposta alle richieste della povera gente ed evitare che saccheggi e sciacallaggi potessero apportare nuovi danni e minare la coesione civile. Noi come funzionari della questura cercammo di assolvere pur fra mille difficoltà a quell’incarico».

Per quell’impegno e per i suoi quarant’anni di lavoro Felice De Simone quando andò in pensione nel 1971 ebbe la medaglia d’oro dal ministero degli interni. «Quando vedo quella medaglia mi vengono ancora in mente il suono delle sirene d’allarme, le immagini di Foggia bombardata, noi che uscivamo dalla questura appena finiti i bombardamenti per cercare di prestare soccorso. La distruzione piombata dal cielo – chiude con amarezza De Simone – fu davvero tanta, troppa per una città abitata da civili».

    

Amerigo Dumini, breve biografia di uno squadrista  

La Lancia usata nel rapimento di Matteotti

Amerigo Dumini, l’assassino di Giacomo Matteotti, nacque nel 1896 negli Stati Uniti d’America, figlio di emigrati. Per partecipare come soldato volontario nell’esercito italiano Dumini abbandonò gli Usa. L’esperienza al fronte valse a Dumini una medaglia d’argento al valore militare. Dopo la fine del conflitto non fece ritorno negli Usa aderendo nel 1919 ai fasci di combattimento di Firenze. Durante il 1920 Dumini si segnalò come uno degli elementi più determinati dello squadrismo toscano partecipando a diverse azioni. Nel giugno del 1921 a Carrara partecipò ad una spedizione squadrista che sfociò in tragedia con l’assassinio del socialista Renato Lazzeri e della madre. Pochi mesi dopo nel mese di ottobre fu tra i componenti del gruppo che sequestrò il parlamentare repubblicano Ulderico Mazzolani.

Dopo la marcia su Roma Dumini entrò in contatto con Cesare Rossi, capo dell’ufficio stampa di Mussolini, e nella primavera del 1924 fu incaricato di costituire un gruppo speciale, denominato “ceka del Viminale”, alla cui guida compì il 12 marzo l’aggressione di un fascista dissidente a Milano nei pressi della stazione. Il 10 giugno Dumini il rapimento, sul lungotevere Arnaldo Da Brescia, del deputato Giacomo Matteotti. L’azione però è portata innanzi in modo improvvisato. Costretto a forza ad entrare in un’auto Matteotti cerca di resistere, di svincolarsi dalle braccia dei rapitori, nella colluttazione in auto è proprio Dumini – condannato per questo delitto all’ergastolo nel 1947 dalla corte d’assise speciale di Roma, pena detentiva che non scontò per una sopravvenuto condono politico del dicembre 1953 - che uccise con una coltellata Matteotti.

L’esito clamoroso di quell’azione delittuoso pose Dumini sotto i riflettori dell’opinione pubblica. Dumini ed i suoi due complici furono arrestati e condannati nel 1926 dalla corte d’assise di Chieti a 5 anni di carcere, di cui 4 condonati grazie ad un’amnistia. Dumini anche dopo questa sentenza rimase un personaggio scomodo per Mussolini ed il fascismo. Trasferitosi in Somalia nel 1928 fu arrestato e mandato al confino. Nel novembre del 1932 fu liberato ma di nuovo arrestato nel 1933 e mandato al confino alle Tremiti. Dopo questo soggiorno si trasferisce in Libia dove avvia attività imprenditoriali ricattando anche Mussolini sulla scorta di un memoriale sul delitto Matteotti depositato in un ufficio legale del Texas. Arrestato nel 1941 dagli inglesi in Libia, liberato dai tedeschi, ritornato in Italia aderisce alla Repubblica Sociale di Salò nel 1943; riesce a non farsi catturare dai partigiani il 25 aprile 1945. Con l’avvento della Repubblica dopo alcuni processi e condanne, viene liberato nel 1953 e ritorna libero cittadino, graziato definitivamente nel 1956. Muore a Roma nel 1967 dopo aver scritto due autobiografie sulla sua vita avventurosa e la sua attività di squadrista.

      

          

   

©2006 Francesco Barbaro

     


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