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       LA MEMORIA DIMENTICATA

a cura di Teresa Maria Rauzino


 


Il 18 ottobre la flotta della Serenissima spezzò un assedio durato sei mesi.

Una parte del sipario di Raffaele Armenise che ritraeva l’arrivo dei veneziani a Bari nel 1002.

   

Esattamente un anno fa, in queste ore, per i baresi lo cose si stavano mettendo proprio male. Malissimo. Da sei mesi la città, all’epoca bizantina e guidata dal catepano Gregorio Trachaniota, era assediata dai saraceni. Non era certo il primo attacco: la Puglia di allora aveva da poco dovuto fronteggiare analoghe incursioni, sia lungo le coste adriatiche che lungo quelle ioniche, soprattutto nel 988, nel 991 e nel 997. Ma questa volta - siamo nell’ottobre del 1002 - pareva proprio che la fine fosse vicina, anche perché l’imperatore di Costantinopoli Basilio II era in tutt’altra guerra affacendato, nei Balcani, contro lo zar Samuele. Bari era accerchiata, via terra e via mare. I saraceni erano al comando di un condottiero che le fonti chiamano in vario modo (Safì, Sapi o Fasi); quasi tutte però lo identificano come l’apostata (Kafir), quindi come un rinnegato cristiano: forse il famoso Luca che con un esercito di mercenari avrebbe avuto la sua base a Pietrapertosa, nell’attuale Basilicata.

Però ecco che, provvidenzialmente, «arrivano i nostri»: si materializzarono cento navi, reduci da una sosta a Vieste (tuttora lì ricordata nell’isolotto del Faro da un’antica epigrafe). «Quando ogni speranza - scrive il professore barese Luigi Bressan su «Studi bitontini» (n. 74, 2002) e su www.storiamedievale.net - stava ormai per cedere il passo alla disperazione e la salvezza era solo una chimera, il 18 ottobre apparve all’orizzonte una potente flotta veneziana al comando del doge della Serenissima Pietro Orseolo II». Il cronista Giovanni Diacono contribuì all’epoca a consolidare la leggenda secondo cui, il 15 agosto, festa dell’Assunzione, a un saraceno, che era sulla torre del monastero di San Benedetto, apparve in cielo una «emicantem stellam», una stella proveniente da ovest che cadde in mare a est. «L’uomo - ricorda Bressan - corse a narrare quanto visto a Girolamo, abate del monastero, il quale vaticinò che la città, protetta dalla Madonna, sarebbe stata salvata da qualcuno venuto da Occidente». I Veneziani giunsero davvero; a quanto pare i Baresi si rincuorarono e, approfittando dello sbando delle truppe avversarie, «uscirono dalle mura». Assieme nel giro di tre giorni fecero piazza pulita degli assedianti.

C’è da dire che la generosità dei Veneziani non era dovuta ad uno spirito umanitario fine a se stesso (attitudine
che neppure ai giorni nostri va per la maggiore). La Serenissima era, sì, alleata dei Bizantini dal 992; ma c’erano in ballo interessi strategici notevoli e la necessità di un avamposto commerciale e militare veneziano nel Basso Adriatico. Oltre tutto i baresi non era poi così ben disposti verso il potere di Costantinopoli, tanto è vero che dopo pochi anni ci fu la rivolta di Melo contro i bizantini (il loro dominio terminò nel 1071, quando il normanno Roberto il Guiscardo conquistò la città). «Quindi - sottolinea Bressan - tali avvisaglie incoraggiavano la Serenissima ad osare passi sempre più audaci in vista di un completo dominio del Mediterraneo orientale, anche se apparentemente si era combattuto in nome di Costantinopoli e in difesa dei suoi interessi».

Fatto sta che i baresi furono assai grati ai veneziani. Tanto è vero che la costruzione della Chiesa di San Marco - tuttora a Bari vecchia - è stata considerata a lungo simbolo di riconoscenza per quell’intervento (più probabilmente l’edificio, di cui recentemente è stata riscoperta una sottostruttura bizantina databile al X secolo, è stato adoperato dalla colonia dei Veneziani residenti a Bari per ragioni prevalentemente commerciali). In piazza Mercantile si può poi vedere una colonna sormontata da un leone simile a quello della Repubblica di San Marco. Anche in questo caso la tradizione lo lega alla liberazione del 1002, ma secondo gli studiosi sarebbe d’epoca tardoromana, riutilizzato nel XII secolo per mettere alla gogna coloro che non pagavano i debiti.

UUn altro particolare del sipario: i saraceni s’arrendono ai veneziani davanti alle mura di Bari.

Semmai la memoria di quell’antico episodio è tornata alla ribalta «appena» cento anni fa, nel 1906. Quando lo storico barese Armando Perotti, riprendendo un progetto già avanzato nel 1897 dal colonnello Augusto Bucchia, convinse il Comune a far sì «che - ricorda Bressan - la parte superiore della muraglia, quella prospiciente il mare tra il fortino ed il monastero di Santa Scolastica, l’unico che ricordi la primitiva topografia e da dove, vox populi, si dice fosse stata avvistata la flotta della Serenissima, venisse intitolata a Venezia». Così, si legge proprio in un sito internet veneziano, il sindaco Filippo Grimani decise: «La città di Bari in memoria dell’aiuto dei Veneziani capitanati dal Doge Pietro Orseolo II contro l’invasione saracena, a dimostrare come volgere di tempo e trapassar di generazioni non diminuisca la memore simpatia per la Città delle lagune venete, il 27 maggio corrente
anno ha intitolato a Venezia la storica via delle Mura». La città lagunare mostrò riconoscenza: «Venezia in ricambio... dà il nome della consorella Bari alla banchina dei magazzini generali di fronte al Cotonificio Veneziano, alle fondamenta lungo il rivo dell’Angelo Raffaele fino alle Fondamenta delle Terese e alla Colle Lanza che divide i magazzini del cotonificio...». E sempre a Venezia, nel Bacino Orseolo, una lapide ricorda il Doge e il fatto che «rotti i saraceni ridiede Bari a Bisanzio».

Non solo. Nelle tradizioni popolari baresi un’ulteriore traccia dell’impresa è stata, fino agli anni Sessanta, la festa della «Vidua vidue»: si svolgeva l’8 maggio, nel giorno dell’Ascensione, in via Venezia, l’ex via delle Mura; e coincideva con la cerimonia dello «Sposalizio del mare» o «Festa della Sensa», che tuttora si svolge a Venezia, in memoria delle antiche glorie marinaresche. E forse il ricordo più recente e evidente dell’antico soccorso era, fino al 27 ottobre 1991, nel Teatro Petruzzelli. L’incendio scoppiato quel giorno bruciò la «Liberazione di Bari nel 1002 da parte dei Veneziani», sipario opera di Raffaele Armenise (Bari 1852-Milano 1925), che tanti ex spettatori ricorderanno. Ci si può consolare con la tavola litografica «Il doge Pietro Orseolo II soccorre Bari assediata dai Saraceni», realizzata da Francesco Zanotto nel 1856 e conservata tuttora nel Palazzo Ducale di Venezia.   

    

    

©2006 Marco Brando; articolo pubblicato su «Corriere della sera - Corriere del Mezzogiorno» del 14/10/2006.

      


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