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           MEDIOEVO TEMPLARE

    a cura di Vito Ricci

di Vito Ricci

Relazione tenuta al convegno La spina e la rosa. Il mistero dei Templari, Spinazzola, 17 giugno 2006

   

La presenza dei Templari in Italia riguardava tanto le regioni settentrionali (ad esempio lungo la via Francigena, una delle arterie principali lungo le quali i pellegrini dalla Francia giungevano a Roma), quanto nelle regioni meridionali e, tra queste, un sicuro ruolo di preminenza fu svolto dalla Puglia per la posizione strategica occupata da questa regione da sempre crocevia tra Occidente ed Oriente. La causa dell’espansione dei Templari in Italia è da ricondurre a due motivazioni principali: la viabilità terrestre e la possibilità di adoperare i porti, in modo speciale quelli della costa pugliese (Manfredonia, Barletta, Trani, Molfetta, Bari, Brindisi), per l’imbarco verso la Terra Santa dei pellegrini e dei Crociati ed il loro rientro, nonché per la spedizione di vettovagliamento e derrate alimentari alle guarnigioni templari in Outremer.

Nelle zone interne della Puglia sorgevano grandi casali e masserie appartenenti al Tempio con notevoli estensioni terriere che prendevano il nome di grancie o grangie. Spesso le terre venivano affidate a dei concessionari (conductores) che provvedevano a lavorarla dietro il pagamento di un canone d’affitto, mentre nelle comunità più numerose erano gli stessi cavalieri a dedicarsi all’attività agricola. Le colture più diffuse erano il frumento (soprattutto in Capitanata) e l’olivo (nella terra di Bari particolarmente rinomati erano le olive e  l’olio della mansione di Molfetta come risulta da alcuni atti dell’epoca), non mancavano la vite, diffusa un po’ ovunque nella regione, e i legumi. Accanto alla coltivazione della terra era diffuso anche l’allevamento del bestiame: da carne, da latte e da lana. La Murgia offriva ricchi pascoli alle cospicue mandrie di buoi e bufali appartenenti al Tempio. La produzione agricola era destinata al consumo interno delle domus pugliesi; le eccedenze venivano vendute e una parte del  ricavato  era versato nelle casse della Sede Centrale sotto forma di responsiones. Nella seconda parte del XII sec. i cereali e i legumi pugliesi erano inviati agli insediamenti in Siria i quali, perdendo terreno a vantaggio dei Musulmani, divenivano sempre più dipendenti dall’Occidente per quanto riguardava i rifornimenti. 

L’espansione dell’Ordine (tra la seconda metà del XII secolo sino alla fine del XIII secolo)  avveniva secondo una logica ben precisa tendente a privilegiare in primo luogo le località costiere per poi procedere verso l’entroterra. Secondo una stima approssimata per difetto, in Italia erano presenti almeno 150 insediamenti appartenenti all’Ordine del Tempio, di questi meno di un terzo si trovavano nella parte meridionale della penisola. La maggiore concentrazione di domus templari, molto probabilmente, era nella terra di Puglia ove, tra l’altro, aveva sede a Barletta, il Maestro Provinciale da cui dipendevano prima tutte le case del Regno di Sicilia e poi della sola penisola. Gli insediamenti dei Templari erano chiamati in Italia “precettorie” o “mansioni” a seconda della loro importanza. Anche in Puglia l’espansione sul territorio delle case templari seguì la dinamica sopra esposta: dagli avamposti sul mar Adriatico i Templari cominciarono a penetrare all’interno del territorio pugliese e, in particolare, nelle fertili pianure della Capitanata nell’entroterra garganico e della Murgia in Terra di Bari.

I Templari iniziarono ad insediarsi a sud del Garigliano probabilmente senza l’appoggio del re  normanno di Sicilia. Infatti Ruggero II, alla stessa stregua di suo padre, non era entusiasta delle crociate che potevano danneggiare i proficui rapporti economici esistenti tra la Sicilia e il mondo arabo. Sicuramente dopo il 1139, anno in cui fu raggiunta la pace tra Ruggero II e papa Innocenzo II i Templari ebbero nel  Mezzogiorno un clima più favorevole al loro insediamento.

Sembrerebbe che la più antica testimonianza sulla presenza dei Templari in Puglia (e anche in tutto il Regno di Sicilia) risale al 1137 quando Accardo, signore di Lecce di origine normanna, donò, assieme alla moglie, un ospedale da lui costruito nelle terre di sua proprietà a Spinazzola. Tale documento che faceva parte dell’Archivio della Trinità di Venosa (abbazia benedettina passata nel 1297 ai Giovanniti), purtroppo, è andato distrutto e dobbiamo basarci su alcuni appunti inediti dello studioso del Seicento Giovan Battista Prignano, il quale così scrive: «Accardo che nel 1137 era conte di Lecce e marito di Fenicia, con la quale […] donò alla chiesa dei Cavalieri Templari un hospedale da lui edificato nella sua terra di Spinazzola in Basilicata, nel Borgo di detto Castello, per l’anima di suo padre, e sua [1]». Questo è quanto sostenuto da Houben.

Tuttavia dobbiamo esporre alcune considerazioni in merito che fanno sorgere seri dubbi su quanto riportato negli appunti inediti del Prignano. In primo luogo sorgono problemi da un punto di vista della filologia e della diplomatica, scienze che nel Seicento non esistevano ancora. Prignano non avrebbe potuto effettuare un esame filologico e diplomatico del documento che egli asserisce di aver visionato. Prignano riporta solo degli appunti e non la riproduzione integrale del documento, né tanto meno ne stende un regesto con indicazioni diplomatiche utili. Altra questione: in nessun altro documento sono attestate delle proprietà di Accardo nella città di Spinazzola. Ciò induce a far sorgere ulteriori dubbi, diversamente sarebbe stato se ci fossero state altre citazioni di proprietà del signore normanno di Lecce a Spinazzola. Ultima questione: nei medesimi appunti inediti, in passaggi diversi, la moglie di Accardo in un punto ha nome Fenitia, in un altro Gunnora. È una palese contraddizione. Sebbene queste considerazioni svolte non possano farci ritenere con certezza falso il documento, volendo usare un rigore storico scientifico è opportuno prendere con estrema cautela il contenuto degli appunti di Prignano. Anche il non prenderli affatto in considerazione, tuttavia, sarebbe un errore.

 

Spinazzola: In questo paese si ebbe la prima donazione a favore dei Templari del regno di Sicilia: nel 1137, Accardo, signore normanno di Lecce, donava al Tempio un ospedale da lui edificato nelle sue proprietà a Spinazzola. Quindi è da ritenersi errata l’ipotesi di Carrabba secondo il quale l’ospedale fu fondato dai Giovanniti e poi fu occupato dai Templari [2]. L’ospedale è ancora visibile all’angolo tra via La Torre e via Vignola.

Secondo Carrabba i Templari ebbero un’importante precettoria a Spinazzola, in virtù della prossimità di tale centro a vie di comunicazione e della disponibilità di terre molto fertili in zona. La precettoria era assai ricca di proprietà fondiarie (tra cui delle masserie) ed estendeva la sua giurisdizione anche sui beni posseduti nei territori di Gravina e Minervino Murge.

A Spinazzola i Templari ebbero anche la chiesa di  San Benedetto "de nuce", ubicata in località san Cesario, la chiesa di San Giovanni al castello ed altri beni vicini alle terre appartenenti alle monache di Gravina [3]. Secondo Carrabba la “curtem templi” di cui si parla in documenti del 1197 e del 1273 non sarebbe nel territorio di Gravina, bensì nelle vicinanze del centro abitato di Spinazzola in contrada “Farano[4].

Carrabba, in base ad un documento del 1668 [5], ritiene di identificare la chiesa di S. Giovanni al castello con quella della Madonna della Civita prossima all’ospedale o con quella di S. Giuseppe – tuttora esistente, sebbene sconsacrata e usata come deposito – che presenta nella struttura elementi architettonici del XIII-XIV secolo. Carrabba afferma pure che viene ricordata a memoria d’uomo anche una chiesa di S. Giovanni a non molta distanza da quella di S. Giuseppe. Tutte le chiese citate sono prossime sia al castello che all’ospedale.

Di più facile individuazione sarebbe la chiesa di S. Benedetto “de nuce” da identificarsi, stando a Carrabba [6], con la chiesetta annessa alla masseria “La Murgetta” in prossimità della contrada denominata “Lago del Noce”. In questa circostanza verrebbe in aiuto la toponomastica, essendo tale chiesetta ubicata nel luogo detto “S. Cesario”. Tutto collima nel ritenere questa la “ecclesia sancti Benedicti de nuce sita in loco qui dicitur sanctus Cesarius”. La chiesa di S. Benedetto era già esistente nel 1197, come attestato da un documento con il quale Enrico VI ordinava di rettificare i confini del feudo di Garagnone [7], ma non viene fatto alcun cenno al possesso della chiesa da parte dei Templari. Dobbiamo dedurre che la chiesa a quell’epoca non apparteneva ancora ai cavalieri rossocrociati.

La chiesa di San Benedetto, con annessa masseria, e gli altri beni, con la soppressione dell'Ordine del Tempio, passarono ai Giovanniti: infatti ne abbiamo notizia dall'inventario dei beni degli Ospitalieri redatto nel maggio 1373 da Giacomo, arcivescovo di Trani, ove è ricordata la “massaria S. Benedecti de Nuca existens in tenimento Spinaciole”. In tale inventario risulta appartenere ai Giovanniti  anche il castello di Guarascone (ovvero del Garagnone) che il Bramato [8] sostiene erroneamente che sia appartenuto in precedenza ai Templari.

  

Garagnone: nel 1195 Enrico VI cedette il feudo del Garagnone ai Gerosolimitani. Esso si trovava in una posizione strategica e i terreni erano usati per la coltura e la produzione cerealicola. Fu confermato dalla regina Costanza nel 1197 e dagli sovrani (tra cui Federico II) e da papa Innocenzo IV nel 1252. Carlo D’Angiò tentò di revocarlo ai Gerosolimitani, poi lo riconfermò definitivamente nel 1283 (ma probabilmente era una mossa per spillare quattrini all’ordine). È detto domus et castrum. Da un inventario del 1324 apprendiamo che i Gerosolimitani di Barletta hanno ceduto il castello e il feudo in un anno imprecisato poiché da tale inventario non risulta più in possesso dei Giovanniti [9]. Tuttavia ad un più attento esame dei documenti storici sappiamo che nel 1373  la casa e il castello di Garagnone appartenevano ancora all’ordine giovannita, come risulta da un inventario pubblicato da Vendola [10]. Alla luce di questo documento capiamo anche il perché dell’abbaglio di Bramato nel ritenere il castello di Guaragnone in precedenza templare.

Nel preambolo che fa da introduzione al documento Vendola elenca alcune domus giovannite dipendenti da  Barletta:  il castello e la casa di Guarascone, la casa di S. Nicola di Molfetta, la casa di Bersentino, la casa di S. Maria di Sovereto. Nel successivo capoverso indica alcune masserie, di queste alcune furono “ereditate” dai Templari e per alcune di queste ciò è indicato in nota dal Vendola. Alla fine del capoverso questo autore afferma, rimandando al Guerrieri, che “tutti questi beni erano passati ai Gerosolimitani dopo la soppressione dei Templari” [11]. Bramato ha esteso, erroneamente e superficialmente, il concetto di appartenenza ai Templari anche alle domus citate in precedenza: in effetti Bersentino e S. Nicola di Molfetta erano domus templari, forti dubbi vi sono per Sovereto, ma il castello di Guaragnone non fu mai posseduto dai Templari.

Il castello di Garagnone fu distrutto dal terremoto nel 1731.

 

Gravina in Puglia: Sebbene non vi siano informazioni documentate alcuni autori tendono ad identificare la domus templare di Gravina con la chiesa di San Giorgio [12]. Essa era a pianta rettangolare e sorgeva, in epoca medioevale, nei pressi del torrente Casale, una piccola gravina punteggiata di grotte che costituivano un complesso rupestre. Attualmente versa in completo stato di abbandono e minaccia di rovinare al suolo da un momento all'altro. Il tetto è crollato, è scomparso il rosone e la parte alta della facciata. Si è salvata l'abside semicircolare decorata di sei lesene e al cui interno è possibile ancora vedere degli affreschi di epoca giovannita. Si può anche notare sull'architrave uno stemma dell'Ordine dei Cavalieri dell'Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme che, come spesso accadde dopo la soppressione dell'Ordine Templare, ebbero in gestione la chiesa di San Giorgio. Attualmente la chiesa è di proprietà privata.

L’esistenza di una vera e propria domus templare autonoma a Gravina viene messa in discussione da Carrabba [13] che cita un documento del 1302. In tale documento si fa riferimento ad una disposizione di Carlo II d’Angiò con la quale venivano esentati da gravami fiscali i territori posseduti dai Templari ed amministrati da frate Goffredo di Pietra Verde “magister sacre domus milizie Templi in regno Sicilie…quod dicta domus Templi habeat in Piczano …nec non in Gravina…”. Non viene fatto alcun riferimento ad una domus di Gravina e Carrabba sostiene che i beni templari in Gravina fossero una dipendenza della precettoria di Spinazzola. Ciò sarebbe avvallato ulteriormente da un altro documento del 25 aprile 1308 con il quale venivano sequestrati i beni ai Templari nei territori di Molfetta, Gravina e Ruvo e neanche in tale contesto si fa riferimento ad una domus, ma solo a beni. Secondo Carrabba non esisterebbero documenti che provino l’esistenza di una domus a Gravina, anche il documento del 1272 [14], con il quale Carlo I d'Angiò ingiungeva a Loisio de Belloico, signore di Gravina e probabilmente consanguineo di Guglielmo de Belloico (Guillaume de Beaujeu, maestro dell'Ordine in Apulia-Sicilia e, nel 1273, Gran Maestro dell'Ordine) di restituire alcune terre dei Templari che egli aveva occupato abusivamente, parla semplicemente di terre occupate. Proprio l’assenza di una domus in loco e la mancanza di una presenza costante di fratres, secondo Carrabba, avrebbe favorito l’appropriazione indebita da parte di Loisio de Belloico. Tali terreni rientrerebbero nelle dipendenze della precettoria di Spinazzola, stando ad un documento riportato da Carrabba [15], la cui estensione territoriale comprenderebbe anche il territorio Gravina. Il 4 aprile del 1307 i Templari protestavano contro Raimondo Berengario e Giovanni, conti di Gravina, fratelli di Roberto d'Angiò perché si erano impossessati illecitamente della terra "de Sancto Paulo" nelle vicinanze di Gravina. L'ultima citazione risale al 12 marzo 1308, quando vennero arrestati otto cavalieri templari dalle guardie del Giustiziere di Terra di Bari. Tra questi cavalieri vi era fra' Domenico de Turrosa, catturato "in domo de Gravina". Carrabba ritiene che tale documento sia stato oggetto di “interessata e campanilistica interpretazione nel tentativo di riconoscere una importante domus in Gravina in Puglia” [16]. Di questo documento esistono due trascrizioni, una riportata dal Guerrieri e l’altra da Pruntz. Nella prima versione non compare il nome di Domenico de Turrosa, frate templare dimorante nella domus gravinese, ma solo la parola Gravina che nel contesto appare come il nome proprio di una persona. Invece nella versione di Pruntz compare “fratrem Dominicum de Turrosa…captum…in domo templi de Gravina”, e a questa farebbero riferimento i sostenitori dell’esistenza di una domus templare gravinese. Purtroppo, essendo perduto il documento originale, non è possibile alcun riesame o accertamento. Carrabba propone di ritenere Domenico de Turrosa non già un templare, ma uno degli esecutori dell’arresto dei Templari.

Da un documento del 1197 si apprende dell'esistenza di un toponimo, nel circondario di Gravina, forse presso l'attuale Poggiorsini o secondo lo storico locale Nardone presso le Grotteline, detto "ad curtem templi". Secondo Capone ed altri si doveva trattare di una masseria di campagna di proprietà della domus di San Giorgio. Anche tale posizione viene contestata da Carrabba [17]. L’autore afferma che la “curtem templi” non poteva essere nel territorio di Gravina stando sia ad un documento del 1197 che ad un successivo del 26 novembre 1273 secondo il quale la “curtem templi” è posta al confine con il tenimento di Gravina e non all’interno di questo. Stando a ciò, secondo Carrabba, la “curtem templi” sarebbe da localizzare nei pressi di Spinazzola, non lungi dal centro abitato, in contrada “Farano” [18].

Come già detto, dopo la soppressione dell'Ordine del Tempio, la chiesa di San Giorgio e/o le terre possedute nel territorio di Gravina passarono agli Ospitalieri (che avevano una propria domus presso il castello di Garagnone), sebbene non esistano documenti in merito al passaggio, ma solo testimonianze nell'architettura dell'edificio sacro.

  

Minervino Murge: La presenza dei Templari in questo paese è documentata in un atto di vendita del marzo 1169, rogato dal notaio Leone, con il quale i Templari Aimo e Giovanni, "consensu et voluntate Henrici mag(istri) nostri cunctorum con(fratum) intus in civitate Minerbino", vendevano per un'oncia d'oro a Giovannaccio, priore della chiesa di S. Angelo, una vigna posta in località Monte Monacezzi. Tra i testi, oltre al suddetto Henricus probabilmente il primo dei magister Apuliae venuto appositamente a Minervino per presenziare alla stipula dell’atto, figura anche Oddo, fr(rater) sacri te(m)pli. Secondo Bramato e Houben i Templari ebbero a Minervino una propria domus, e non solo possedimenti, deducendo ciò dal tenore generale del documento citato. Di altro avviso è Carrabba: secondo questo autore i Templari a Minervino possedevano solo delle proprietà fondiarie che venivano gestite ed amministrate dalla precettoria di Spinazzola. La vendita del terreno (probabilmente ricevuto in donazione) di cui sopra rientrerebbe nella strategia dell’Ordine di sbarazzarsi (con vendite o permute) di beni lontani dalle domus ed acquisire proprietà più prossime alle loro case in modo da poterli meglio gestire e controllare. In tale ottica Carrabba nega l’esistenza di una domus templare a Minervino [19].

    

Cenni alla presenza templare in Basilicata

Riportiamo di seguito alcune brevi notizie storiche sulla presenza dei Templari nella vicina Lucania.

All’inizio del XIII secolo esisteva una fondazione templare a Melfi ed è attestato un “frater Lucas reverendus comanderius ipsius Templi[20]. Mentre nel 1226 un templare di nome Riccardo fu eletto vescovo di Lavello [21]. A Matera i Templari ebbero con certezza, secondo Bramato, una domus tra la fine del XII sec. e gli inizi del XIII.

A Palazzo S. Gervasio i Templari ebbero del bestiame grosso che agli inizi del XIV sec. venne sequestrato dal castellano inducendo l’ordine a lamentarsi presso Roberto d’Angiò.

A Forenza ebbero la chiesa di S. Martino dei Poveri, sita extra moenia, con case, un forno, un mulino, vigneti e terreni. L’8 gennaio 1306 Carlo d’Angiò scriveva al Giustiziere di Basilicata di esimere il casale di S. Martino dei Poveri “quod perntinebat ad sacram domus Militie Templi” dal pagamento di alcune tasse poiché gli abitanti vivevano in miseria. Altri vigneti, fondi e appezzamenti erano posseduti in contrada Anzone dove era attiva un grancia.

Da un documento del marzo 1308 (quando erano già in corso le persecuzioni contro i Templari) apprendiamo la cospicua consistenza e l'elencazione delle proprietà in Lucania dipendenti dalla casa madre di Barletta. Infatti in esecuzione delle disposizioni ricevute da Roberto d'Angiò, duca di Calabria, venne redatto l'inventario dei beni che la domus templare di Barletta possedeva in Basilicata. Da tale inventario risulta che l'Ordine possedeva a Melfi la chiesa di san Nicola "cum domibus et ortis sitis in territorio eiusdem terre ante terram eamdem que site sunt iuxta aemdem ecclesiam et ex alia parte site sunt iuxta viam puplicam". Sempre a Melfi ebbero tre staciones in località Albana; una domus nella parrocchia di S. Adoeni; un'altra domus ed una vigna nella terra che fu di Alibrando di Melfi. Altre vigne ebbero in loco qui dicitur Matera,.. in loco qui dicitur columnellis, ed in località S. Pietro de Serris. Un'ultima vigna con un castagneto ebbero in fontana veterano. A Melfi ebbero, infine, due cripte "cum orto uno sito ante civitatem Melfie suptus balneum civitatis eiusdem" ed un tenimento di terre in località Cisterna. A Lavello possedevano un grande tenimento di terre situato in località Girono, dove dicta domus Templi aveva massariam suam. A Venosa i Templari possedevano un vignale, un grande palazzo in piazza che fu di Bisanzio, una domus situata in parrocchia di S. Barbara; un casalino sempre in parrocchia di S. Barbara; diverse vigne "in parte Vallonis sancti Blasii que fuerunt dopni Bisancii"; una pecia di terra nella valle de frussa, vicino al fiume; la terza parte di una domus nella parrocchia di S. Nicola; la terza parte di un vigneto in parte Riali; una domus in parrocchia S. Marco; una terra in loco vie vallonis, due petie di terra situate in loco faraucosi; una terra situata in parte ciglani; un appezzamento di  terra situata in parte flumis ed un altro situato in parte vallonis de flurco.

Da un documento datato 1332 sappiamo che la domus Hospitalis S. Johannis Jerosolimitani di Giovinazzo ha una grangia in loco Piczani (Picciano di Matera) “que fuit Templi”; proprietà templari a Picciano sono citate anche in documento del 1302.

   

Regesti diplomatici

1137

Accardo, signore di Lecce, assieme a sua moglie dona ai Templari un ospedale da lui edificato nelle sue terre di Spinazzola in Basilicata, nel Borgo di detto Castello, per l’anima di suo padre e sua [22] (citato da Houben).

marzo 1169 (Minervino Murge)

I Templari Aimo e Giovanni, "consensu et voluntate Henrici mag(istri) nostri cunctorum con(fratum) intus in civitate Minerbino", vendono a Giovannaccio, priore della chiesa di S. Angelo, una vigna posta in località Monte Monacezzi. Tra i testi, oltre al suddetto Henricus, figura anche Oddo, fr(rater) sacri te(m)pli (Coniglio, Le pergamene del duomo di Conversano, in CDP, vol. XX, doc. 121, pp. 254-255, citato da Bramato).

1272 (?)

Su istanza di Guglielmo de Belloico suo consanguineo, Carlo I d'Angiò interviene per fare cessare l'illecita occupazione delle terre templari da parte di Loisio de Belloico, signore di Gravina, Giovanni de Confluencia, signore di Sannicandro e di Rinaldo de Culant, signore di Ruvo (I Registri della Cancelleria Angioina ricostruiti da R. Filangieri, Napoli 1957, vol. IX, pp. 264-265, n. 288, citato da Bramato) .

4 aprile 1307 (Napoli)

I Templari protestano contro Raimondo Berengario e Giovanni, conte di Gravina, fratelli di Roberto d'Angiò, poiché si sono illegittimamente impossessati della loro terra di S. Paolo, nelle vicinanze di Gravina (Napoli. Regio Archivio. Reg. Ang. n. 166, c. 151; doc. cit. da R. Caggese, Roberto d’Angiò e i suoi tempi, Firenze, 1922-1930, vol. I, pp. 63-64, citato da Bramato)

1332 (?)

La domus Hospitalis S. Johannis Jerosolimitani di Giovinazzo ha una grangia in loco Piczani (Picciano di Matera) "que fuit Templi" (Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Apulia-Lucania-Calabria a cura di D. Vendola, Città del Vaticano 1939, n. 999, citato da Bramato)

24-28 maggio 1373, Trani

Giacomo, arcivescovo di Trani, dà pratica attuazione alle disposizioni di Gregorio IX e procede all'inventario dei beni degli Ospitalieri della sua diocesi. Da tale inventario risulta, tra l'altro, che il castello di Guarascone (Spinazzola), la casa di Bersentino, la casa di S. Maria di Sovereto, la casa di S. Nicola di Molfetta e diverse masserie (S. Maria de Mari, S. Maria de Saliniis, Trinità, S. Giovanni de Fratribus e S. Benedetto de Nuce), già templari, dipendevano dal priorato di Barletta dell'Ordine dell'Ospedale di S. Giovanni di Gerusalemme (Città del Vaticano, Archivio segreto. Instr. misc. 7203 rip. in D.Vendola, L’Ordine sovrano di S. Giovanni di Gerusalemme nella diocesi di Trani nel sec. XIV, in «Archivio Storico di Malta», aprile 1937, pp. 159-177, citato da Bramato) .

   
    


[1]  H. Houben, Templari e Teutonici nel Mezzogiorno normanno-svevo, in Atti delle XIV Giornate normanno-sveve, Bari 17-20 ottobre 2000, a cura di G. Musca, Bari 2002, pp. 257-258.

[2]  A. Carrabba, I Templari a Spinazzola, Venosa 2002, pp. 123-124

[3] G. Guerrieri, I Cavalieri templari nel Regno di Sicilia, Trani, 1909, p. 98, doc. 6, e riportato anche da A. Carrabba, op. cit., p. 86.

[4]  Ivi, pp. 99-100.

[5]  Ivi, pp. 105-109.

[6]  Ivi, pp. 109-112.

[7]  Ivi, p. 119.

[8]  F. Bramato, Storia dell’Ordine dei Templari in Italia. Le inquisizioni. Le fonti, Roma 1994, p. 235.

[9]  A. Brusa, Il Garagnone o della città perduta, in «S&R - Sistemi e Reti. Rivista di civiltà urbana», anno 3, numero 7, giugno/agosto 1992, pp. 86-90 (www.mondimedievali.net/Castelli/Puglia/bat/garagnone.htm).

[10]  D. Vendola, L’Ordine sovrano di S. Giovanni di Gerusalemme nella diocesi di Trani nel sec. XIV, in «Archivio Storico di Malta», aprile 1937, pp. 159-177.

[11]  Ivi, pp. 155-156.

[12]  B. Capone, L. Imperio, E. Valentini, Guida all’Italia dei Templari. Gli insediamenti templari in Italia, Roma 1989, pp. 241-245.

[13]  A. Carrabba, I Templari a Spinazzola, Venosa 2002, pp. 94-97.

[14]  I Registri della Cancelleria Angioina ricostruiti da R. Filangieri, Napoli 1957, vol. IX, pp. 264-265, n. 288

[15]  Carrabba, op. cit.,  p. 86.

[16]  Ivi, p. 97.

[17]  Ivi, p. 98.

[18]  Ivi, p. 99.

[19]  Ivi, p. 125.

[20]  E. Valentini, Un nuovo documento inedito sui Templari di Melfi, in Atti del XV Convegno Ricerche Templari, L.A.E.T.I., Latina 1998, pp. 109-114 (citato da Houben).

[21]  Regesta Honorii III, n. 5969, pubblicato da Vendola e citato da Houben.

[22]  Tale regesto era contenuto in pergamena dell’Archivio della Trinità di Venosa andato perduto. La notizia ci è stata tramandata in alcuni appunti inediti dello studioso del XVII secolo Giovan Battista Prignano.

   

     

©2006 Vito Ricci

    


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