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   MEDIOEVO RUSSO

a cura di Aldo C. Marturano, pag. 46


 

Il vescovo Alberto di Riga

   

è il momento di mettere a fuoco alcuni aspetti-chiave della storia di Monsignor Grande Novgorod, la famosa repubblica medievale all’acme del successo nel XIV secolo (e allo stesso tempo, evidentemente senza saperlo né prevederlo, sull’orlo della sua rovina), giacché alcuni importanti eventi europei dell’epoca ci hanno lasciato il dubbio che in essi il ruolo di questa realtà politica russa rimanga ancora, e ingiustamente, ignorato.

Partiremo da un documento ben noto agli archivi del papa di Roma e alle élites di tutta Europa: L’Appello di Magdeburgo. Il documento è controverso per l’anno della sua pubblicazione che, secondo R. Fletcher, dovrebbe essere collocata non oltre il 1125. L’autore è pure sconosciuto, ma racconta come gli Slavi Vendi rivalsisi sulle conquiste sassoni e ripresisi le loro terre si erano vendicati sui cristiani rimasti fra loro sacrificandoli e torturandoli agli dèi pagani. L’autore aggiunge che, come i Crociati in Terra Santa hanno liberato Gerusalemme dagli infedeli, così si deve fare nella zona prebaltica dove si estende la terra dei ribelli Vendi. L’Appello chiude più o meno così: «E quindi per quelli di voi più in vista fra i Sassoni, Franchi, Lorenesi e Fiamminghi, questa è l’occasione per salvarvi l’anima e, se lo volete, di appropriarvi della migliore terra dove vivere».

In Europa Occidentale nella valle del Reno in particolare c’era stata in quel secolo una crescita demografica imponente che aveva spinto tanta gente alla ricerca di terre da coltivare verso il Nordest. Erano sorti così non solo nuovi centri cittadini nelle marche tedesche di frontiera dal Mar Baltico all’Oder e fino all’Elba, ma molti contadini qui nel Nord si erano trasformati in cacciatori di animali da pelliccia quando non si erano accordati coi nomadi locali per fornire loro terra da pascolo in cambio dei prodotti della foresta. La Chiesa aveva continuato a favorire anche qui la politica di deforestazione iniziata secoli prima con la scusa della distruzione dei templi pagani e tuttavia, quando s’era presentata l’occasione, era riuscita persino ad incanalare i migranti verso il Vicino Oriente ponendoli al seguito dei Crociati in Terra Santa. Naturalmente gli Imperatori germanici attraverso la cosiddetta Chiesa Imperiale (Reichskirche) erano interessati ad investire nelle regioni più vicine piuttosto che non nelle Crociate in terre lontane e nel 1147 il papa Eugenio III, su pressione di quella stessa chiesa, addirittura proclamò la Crociata contro gli Slavi di cui nell’Appello. Essendosi verificati precedenti in cui i capi-spedizione si erano accontentati di ricche ricompense in prodotti della foresta (sempre le pellicce pregiate!) invece di portare avanti l’evangelizzazione dei pagani (e la fondazione di nuove parrocchie con la relativa decima), il papa espressamente vietò che ciò si ripetesse e ordinò che l’operazione “crociata” fosse condotta fino all’eliminazione… o dei pagani o dei loro riti!

Lo sguardo della Chiesa non s’era fermato però sui soli Vendi, ma si era volto anche oltre tanto che il papa Alessandro III aveva allargato il diritto alla santa conquista delle terre baltiche persino ai reucci scandinavi e dopo di lui Innocenzo III al re danese Valdemaro II nel 1209 contro Slavi e altri pagani.

Tutto ciò era giunto sicuramente alle orecchie russe, ma lo scompiglio vero nella società nobile russa si era avuto alla notizia della conquista di Costantinopoli nel 1204 da parte dei latini e alla vista degli apparati crociati nel Baltico, sorti prima e subito dopo l’infausto evento. Novgorod ne era allarmata di certo, vista la propria vicinanza con popoli baltici, Slavi Vendi e Scandinavi.

Aveva lasciato il segno però il proclama di Innocenzo III all’inizio del XII secolo in cui si affermava che il potere su tutta l’umanità era racchiuso nella sua persona, con tanto di sigillo divino. Diventava chiaro che di qui partivano i piani di recupero dei cristiani sbandati o eretici, per la Chiesa di Roma, sparsi per l’Europa e le azioni militari nel Baltico ne erano il coronamento, allo stesso tempo denunciando come meta finale proprio i Russi.

Nel 1240 c’è un’altra crisi: i Tatari (Mongoli), dopo aver devastato l’Alto Volga, mettono in ginocchio Kiev, la capitale (peraltro già senza più prestigio dal 1169) del primo stato russo! L’evento è spaventoso per l’Occidente poiché l’avanzata di questi formidabili guerrieri ora non ha più impedimenti e si teme che una catastrofe analoga o peggiore si scateni da un momento all’altro sugli stati cattolici subcarpatici.

Anche qui il papa corre subito ai ripari con le armi che pensa siano efficaci presso i Tatari allo stesso modo come accade in Europa ossia mandando i suoi legati alla corte gengiscanide di Kara Korum, nella lontana Mongolia, con la richiesta perentoria di sottomissione del Gran Khan mongolo a Roma nel 1246. Non siamo certi che a Novgorod si sapesse del messaggio papale che Giovanni del Piano Carpini portò con sé in quel lontano paese, ma a noi esso fa impressione per la carica di arroganza ed è facile, alla stessa stregua, immaginarsi che si stesse architettando pure la conquista e l’annientamento dei governanti “scismatici”, sia laici sia religiosi (1). D’altronde le grandi manovre “romano-cattoliche” erano già in atto persino con le lusinghe per attirare le élites russe nell’ambito “romano”, se pensiamo al tenore della strana lettera di Innocenzo IV mandata a Alessandro Nevskii, sedicente Principe di Novgorod, nel 1248. Qui Piano Carpini è ben nominato e gl’inviti rivolti al principe russo sono analoghi a quelli fatti ai Tatari, sebbene in modo molto più blando: Sottomettersi al papa di Roma e ai suoi inviati sul Baltico (i Cavalieri) giacché lo scopo è che le Chiese, ortodossa e cattolica romana, stiano insieme... Ut unum sint! La lettera naturalmente aveva ricevuto un’aspra risposta negativa poiché, se tale era il desiderio papale, a partire dagli strascichi dell’antico scisma del 1054 tale riunione appariva molto difficile da realizzare con i tanti pregiudizi ideologici reciproci accumulatisi nei secoli.

Ciononostante un cugino di Alessandro, Danilo di Galic’ (in Volynia), era caduto nella trappola papale ed aveva partecipato addirittura al Concilio di Lione attratto da una corona “latina” di re nel 1246. Così pure il fratello di Alessandro, Andrea, intrigando con lo stesso Danilo (nel 1251 addirittura ne sposò la figlia) e con gli Svedesi “cattolici”, si era messo contro i Tatari di Sarai…

Ma che cosa rappresentavano Alessandro, Danilo, Andrea e in quale ambito e con quale politica si muovevano? E che cosa c’entravano i Tatari?

Nominalmente Alessandro era il Principe Anziano della Rus’ di Kiev mentre a Novgorod era soltanto un ospite ben pagato, Danilo era il Principe Anziano di un altro pezzo della Rus’ di Kiev situato sui Carpazi e Andrea, fratello d’Alessandro, era alla ricerca di una degna collocazione politica ove riuscisse a trovarla. Quanto concerne la Rus’ peraltro, diciamo che era il primo stato russo fondato sull’unione di Kiev con Novgorod. Le due città erano politicamente e culturalmente molto differenti e, una volta caduta Kiev Novgorod, intatta per essersi comprata l’indennità dai Tatari invasori, restava ora isolata. Ciò ha risvegliato le nostre curiosità: Come mai invece di perseguire la possibilità di diventare del tutto autonoma l’élite novgorodese al potere non colse l’occasione? E, ad esempio, perché non si pose sotto l’egida del papa di Roma, liberandosi di Alessandro e delle sue politiche pro-tatare che suo fratello palesemente denunciava? I motivi sono molti, ma il fatto di non conoscerli bene a causa della scarsezza e della frammentarietà delle fonti non ci esime dal tentare di ricostruirli. La ragione? Le attività di questa parte nord-orientale dell’Europa erano fondamentali per gli interessi economici della Chiesa di Roma all’epoca in grande auge. E, siccome ora Roma era presente, come abbiamo visto, già sia sui confini meridionali delle Terre Russe a Costantinopoli (almeno per il periodo 1204-1261) sia su quelli settentrionali a capo degli Ordini Cavallereschi baltici, la minaccia era evidente.

Ad una prima analisi l’incertezza dei novgorodesi sul tema indipendenza ci è sembrata soggetta a certe questioni più che ad altre ossia: 1. l’impossibilità ambientale (da cui il rifiuto intimo, psicologico e pagano-religioso) dell’élite ad investire in un nuovo ordine statale di cui a quei tempi se ne ignorava risultati e sviluppo, 2. l’impegno economico continuato, non avendo un esercito proprio, a difendersi dalle crociate dirette contro la città con il conseguente logoramento dei rapporti sociali interni a causa della lotta infinita e 3. il soffocare sul nascere la voce di qualsiasi leader (come sarà Marta Borezkaja!) che si mostrasse capace di coagulare “tutte” le istanze presenti intorno ad un disegno di futuro più libero e più avanzato.

Naturalmente sono questioni interdipendenti perché, pur nel caso che l’élite si fosse sottomessa anzitempo ad un qualche signore persino non russo (questo era pure un problema grosso dal punto di vista ideologico), avrebbe subito perso molte delle sue prerogative e molti dei suoi “sacri” poteri tradizionali, ottenendo in cambio… che cosa? L’orgoglio di raccogliere l’eredità della decaduta Kiev per ricostituire uno stato russo! E l’eventuale sovrano avrebbe sentito l’interesse di radunare intorno sé le Terre Russe, senza degradare Novgorod?

D’altronde proprio dissipare risorse per conquistare ci è sembrato un progetto fallito in partenza. Su quest’ultimo punto nella mentalità mercantile dominante il sopravvento l’avrebbe avuto certamente il costo delle guerre da intraprendere. Per secoli Kiev ne aveva condotte attingendo a piene mani dalla ricchezza del Nord ed ora che i contatti con l’Occidente erano buoni e proficui e che i Tatari si erano calmati perché, fuori Kiev, non continuare sulla strada dell’autonomia piena? I traffici adesso conservavano in più il vantaggio di non dividere i ricavi con nessuno, com’era invece avvenuto finora.

I tempi però stavano cambiando e non si può negare che nel volgere dal secolo XIII al XIV l’élite, cioè il gruppo di coloro che ci sono noti col nome di bojari novgorodesi, non era più quello delle origini (del X sec., per intenderci) ed era ben consapevole che uno stato senza un capo residente “nobile e consacrato” non era giustificabile. L’idea d’una città importante governata da un’assemblea popolare come a Novgorod non comportava il riconoscimento internazionale. Anzi! Non faceva che alimentare i sospetti che qui regnasse un paganesimo non ancora sconfitto mettendo in forse i buoni affari con i “latini”.

L’Europa occidentale si avviava ad essere una comunità, per eccellenza verticistica, e una “repubblica” (prossima a quel che s’intende d’oggi) non era ammissibile perché considerata un disordine anarchico: Dio dava il potere per governare e mantenere l’ordine soltanto ad alcuni uomini scelti da lui e non a tutti! Figuriamoci poi se quello stesso dio avesse potuto tollerare le assemblee popolari che si ponevano senza la sua autorità in angoli remoti d’Europa, come le Terre Russe o la Scandinavia, che, pur proclamandosi cristiane, a conti fatti non lo erano!

Eppure, marchiati di Paganesimo, il Thing scandinavo o la Vece (quest’ultimo era il nome generico dell’assemblea popolare slava) continuavano a funzionare nel mondo baltico o in quello russo benché stessero subendo un lento svuotamento dei loro vecchi poteri. Non erano mai state onnipotenti in verità, ma certamente avevano consacrato esse stesse i nobili e i capi che ora, sotto la spinta religiosa romana, le volevano eliminate…

Esempi di comunità cristiane senza un principe al vertice erano forse i Cavalieri Teutonici - presenti ormai da decenni nel Baltico - e in ciò lo Stato dell’Ordine (Ordenstaat) avrebbe potuto stare eccezionalmente a confronto o a modello, sebbene il capo indiscusso restasse comunque il papa di Roma. I Cavalieri però si costituirono a vero stato soltanto molto più tardi e senza rinnegare l’organizzazione conventuale mostrando tutt’altra natura rispetto alla democrazia che noi immaginiamo si stesse sviluppando qui a Novgorod. Nei conventi e nei monasteri l’assemblea che eleggeva il Superiore o il Capitolo era un momento democratico sporadico e non una prassi solita...

Un confronto si poteva fare con la capitale dell’Hansa, Lubecca, a parte la sua insofferenza alla pretesa protezione concessa di volta in volta dall’Imperatore o dai reucci scandinavi. La città però (rifondata nel 1143) era troppo giovane e non tanto migliore dal punto di vista della gestione del potere da parte dei magnati tedeschi in una regione una volta slava.

Insomma, se si voleva mantenere l’autonomia dei propri destini, i tempi richiedevano che occorresse trovare un principe o un re o un imperatore che accettasse con giuramento solenne le basi politico-sociali già esistenti. E soprattutto l’eventuale capo-città doveva sottoscrivere un contratto. Per una città di mercanti questi presupposti erano primari rispetto a quelli politici che lo erano forse un po’ meno. Inoltre richiamarsi a “diritti inalienabili” di libertà, democrazia o a principi giuridici simili era anacronistico e ancora inconcepibile, se il punto debole restava la difesa armata.

Probabilmente il nodo gordiano, nel nostro caso, era pure la crescente cristianizzazione del potere, di per sé avanzata già da tempo, ma che adesso stava portando a rafforzare sempre di più la persona dell’Arcivescovo nel ruolo di capo-città e ad escludere dal futuro un’allargata laicizzazione del potere o la scelta di un capo non russo. All’Arcivescovo furono attribuite dalla cittadinanza non-bojara troppe aspettative e forse Monsignore tentò pure di riformare la Vece, ma… per sminuirne le capacità tradizionali e popolari. Il potere di rovesciare i capi-città in caso di non gradimento politico, come si faceva per i bojari posadniki (sindaci) ad alcuni dei quali la Vece concedeva o ritirava il potere esecutivo o con i principi russi ingaggiati per il servizio militare e rimandati a casa, se non idonei, faceva molta paura visto che persino qualche Monsignore (carica scelta e sancita ormai da secoli dalla Vece) fu revocato e cacciato via in malo modo. Eppure genericamente i prelati si dichiaravano super partes nei casi più controversi e politicamente più scabrosi e avere un religioso come capo perciò non era negativo. I bojari con un Monsignore a fianco davano la dimostrazione che la loro repubblica (pur con la Vece in funzione) era una comunità politica cristiana, salvo la questione di dove collocarla nel più ampio scenario europeo. E in quei secoli la Chiesa Ortodossa Russa non era forse indicata come eretica e scismatica? Per di più risultava, almeno fino al 1250 quando venne scelto Cirillo di Galic’ come Metropolita di Kiev e di tutta la Rus’, senza un capo consacrato.

D’altronde i timori per l’imperialismo dei regni “latini” (o “cattolici romani”) erano abbastanza vecchi e ben fondati per Novgorod.

Già nel 1201 l’arcivescovo Hartwig del Vescovado di Amburgo-Brema, la cui giurisdizione tradizionale è il Mar Baltico, sceglie suo nipote Alberto e lo manda sulla Dvinà (il fiume di Polozk, in tedesco Düna, in lettone Daugava e in livone Vina) allo scopo di ripristinare l’ormai distrutta comunità cristiano-tedesca di Ikskile poco a monte dall’estuario del fiume. Alberto s’accorge che la posizione del vecchio stazionamento è troppo esposta agli assalti dei pagani locali (Livoni) e persino troppo vicina a Gersike e a Polozk dei russi e decide quindi di fondarne un’altra, questa volta verso il mare, sull’odierno Golfo di Riga. Il posto scelto è alla confluenza nella Dvinà con l’ultimo suo affluente, appunto il fiume Riga dal quale la città prenderà il nome, prima dello sbocco nel mare. è un porto sicuro assolutamente idoneo al naviglio mercantile e può essere difeso facilmente dagli ostili pagani.

Il cronista da cui apprendiamo tutti i particolari di queste vicende è il discepolo di Alberto, Enrico il Lettone, che compose la Cronaca (si chiude con la morte del maestro nel 1229) dove si dice come di anno in anno il Vescovo tornasse in Germania per raccogliere personale che servisse a far funzionare sempre meglio la nuova città. Naturalmente i primi ad esser reclutati e da portare via al seguito sono i parenti più stretti ai quali sono affidate le posizioni-chiave di comando. Ciò non toglie che anche contadini, soldati e avventurieri e insomma chiunque fosse interessato ad iniziare una nuova vita in nome di Dio, si aggreghino ai gruppi di immigrati di lingua tedesca o fiamminga!

Alberto, addirittura, per necessità pubblicitarie ad attirare gente nel 1215, aveva fatto un’accorata descrizione della colonia a Innocenzo III, in occasione del Concilio IV Laterano. In quella sede si era espresso, fra l’altro, nei termini seguenti: «Santo Padre, se non hai cessato di amare la Terra Santa di Gerusalemme, il paese del Divin Figlio… (non dimenticare allora)… la Livonia, la terra della Divina Madre (la Vergine Maria) che si trova ancora (in mano ai) pagani e lontana dalla tua tutela ed ora è di nuovo desolata… (Liberala) adesso dal pericolo!». Quel che è notevole in queste parole è che le lodi si legano benissimo all’Appello di Magdeburgo dove si diceva: «Questi pagani (gentiles) sono i più malvagi, ma la loro terra è la migliore, ricca di carne, miele, grano (?) e uccelli. Se fosse ben coltivata, nessun’altra potrebbe fare ad essa concorrenza per ricchezza di prodotti agricoli. Così ce ne parla chi la conosce!». Insomma: Dammi una mano, o Santo Padre, a reclutare gente volenterosa per far fiorire la nuova colonia di Riga perché ne vale davvero la pena. Ed infatti il papa impressionato dall’ardore di Alberto immediatamente prescrisse che nel futuro tutti i mercanti cristiani che frequentavano il Baltico (ecco i veri interessi!) dovevano assolutamente usare Riga quale solo ed unico porto d’approdo e di smercio!

Così a metà del XIII secolo Riga si trasforma ormai nella città più importante della costa baltica, anzi, in una vera Cittadella della Cristianità in un mondo ancora pagano. Dotata di solide mura in mattoni e pietra onde evitare gli attacchi che di solito i Livoni (a quel tempo più o meno confondibili con gli Estoni e con i Lettoni) portavano col fuoco come offensiva contro i cattolici intrusi, ebbe come suoi armigeri difensori i Cavalieri Livonici o Portaspada. Fondati come Ordine Monastico nel 1202 e con uno statuto simile ai Cavalieri Teutonici e ai Templari, per essi Alberto aveva costruito all’interno delle mura una bella caserma e lì vicino la Chiesa Cattedrale dedicata alla Vergine Maria e la sua sede arcivescovile. Tutta la Livonia e le terre ad essa adiacenti infatti d’ora in poi passavano nel Patrimonio della Vergine stessa!

E la missione evangelizzatrice? Anche a questo Alberto aveva pensato. Per la conversione dei pagani i mezzi erano vari, a parte quelli squisitamente coercitivi della forzata catechizzazione, e Enrico evidenzia come Alberto avesse organizzato una volta uno spettacolo teatrale con soggetto biblico per i capi Livoni da convertire. Costoro erano stati ammessi in città per l’occasione e un interprete messo a disposizione perché spiegasse in lingua locale ciò che avveniva sul palcoscenico. Quando nel dramma si vide il profeta Gedeone impugnare e agitare la spada a capo della sua armata pronto a scagliarsi contro i Filistei, i capi Livoni a quella vista si alzarono per fuggirsene pensando ad un tranello a loro danno. Il panico fu comunque sedato e lo spettacolo alla fine si concluse. Da ciò però si può dedurre quali tensioni continuassero a persistere fra cattolici e pagani, fra tedeschi e baltici: I primi visti come invasori e i secondi come vittime ribelli dei primi che invece con la loro santa veste si sforzavano di portarli sulla retta via cristiana.

A parte ciò, molte furono le innovazioni che i tedeschi introdussero e che i Livoni prontamente assimilarono, soprattutto nell’arte militare dato che era l’attività maggiore. Anzi! Enrico racconta che persino i russi (di Pskov e di Polozk) cercarono di imitare le macchine da guerra tedesche, una volta catturatane una, ma non ci riuscirono. Pskov, in particolare, era la città del circondario novgorodese più vicina a Dorpat (Tartu), prima sede vescovile suffraganea di Riga ed è proprio sul lago di Pskov che Alessandro Nevskii riuscì a vincere i Cavalieri Livonici che la minacciavano…

Il veder Riga in pieno rigoglio solleticava le invidie dei reucci scandinavi e nel 1219, come risultato di una Crociata, il re danese Valdemaro II appoggiato dal vescovo di Lund, Andrea, si spinse sulle coste estoni a fondare l’odierna Tallinn. La città ricevette dai cattolici il nome di Reval, ma dai Ciudi e dai Vodi (ambedue popoli finnici locali, come erano meglio conosciuti dai russi) sarà chiamata Kalyvan o Kalyban. Avrà tanto di sede vescovile, logicamente, e, come si può vedere sulla carta geografica, si trova a due passi dalla foce del fiume Narva e del Luga e quindi non lontana dalla foce della Nevà cioè la Porta di Novgorod!

Né si deve dimenticare che anche da parte norvegese e svedese erano in atto tentativi di colonizzazione dell’estremo nord, specie in terra lappone che, si diceva, era ricca di pellicce pregiate e del tanto richiesto piumino d’oca!

Insomma si capisce che l’apprensione cresce a Novgorod sempre più nel timore che, con le nuove presenze cattoliche, i bojari non potranno disporre della “collaborazione” dei Livoni-Estoni e dei Vodi per approvvigionarsi di schiavi, pellicce pregiate e miele così ampiamente come nel passato! Ed è proprio a metà del XIII sec. che viene probabilmente fatta la scelta di organizzare meglio e con maggiore intensità le proprie attività colonizzatrici all’interno di quelle aree del nord estremo dove nessuno è ancora arrivato. Nuovi stazionamenti permanenti e posti di osservazione con apparecchiatura ottiche sorgeranno per la segnalazione degli arrivi indesiderati. Si intravede persino il piano per rafforzare la presenza novgorodese in Finlandia e quanto più vicino agli Urali settentrionali, moltiplicando posti di scambio o pogosty, sia nella regione dei laghi sia nella taigà. La scelta però non sarà sempre “con armi alla mano” quanto invece con l’assicurarsi prima di ogni altra cosa una collaborazione costante dei capi locali affinché l’approvvigionamento dei prodotti richiesti sui mercati serviti da Novgorod non soffra interruzioni. In cambio sarà offerta la solita protezione contro gli intrusi latini (!?) e gli articoli necessari all’economia locale.

Anzi! Di fronte al crescere di Reval e di Riga, la reazione dei novgorodesi può essere giudicata abbastanza blanda perché, oltre al logico rafforzamento delle posizioni lungo la costa baltica prima della foce della Nevà, rinunceranno al dominio marittimo del Mar Baltico per il resto della loro storia. Sarebbe stato possibile, allora!, mettere insieme una bella flotta e fare del tirocinio alle armi alle ciurme affinché fossero assegnate ai traffici e alla difesa dei convogli. Probabilmente, per mancanza di tecnologia nella conoscenza del capriccioso e ventoso Mar Baltico, si deciderà di affidare i traffici marittimi in toto all’Hansa tedesca con la quale organizzazione saranno legati fino alla fine. E vista questa situazione ci meraviglia che non ci fu mai una proposta o una richiesta affinché Novgorod diventasse membro dell’Hansa come lo erano Reval e Riga… al posto di accontentarsi di essere un semplice Kontoor! Certo, in tal caso occorreva essere sotto l’ala del papa di Roma, ma faceva differenza per lo spirito mercantile novgorodese? Sappiamo di accenni in questo senso persino da parte di Monsignore… E tuttavia una cosa va detta: Riga fu il modello di sviluppo per i prelati novgorodesi che sicuramente sognarono di trasformarsi in novelli Alberti!

Se questa è la posizione sul mare, sulla terra in quegli stessi anni sta crescendo un’altra potenza, proprio a sudovest di Novgorod, la Lituania.

In quest’area l’orgoglio nazionale mai sopito delle élites al potere una volta sotto la pressione di Kiev e di Polozk ora si è risvegliato sollecitato dalle azioni militari dei Cavalieri Teutonici. Nel 1226 infatti costoro hanno ricevuto dall’imperatore Federico II la famosa Bolla di Rimini che li autorizza a colonizzare le Terre Prussiane in nome di Cristo, pur collaborando con l’ambizioso, ma ingenuo, principe polacco Corrado di Mazovia che ha richiesto il loro aiuto. A questo punto, quando i Prussiani sono stati ormai decimati e la loro stirpe è destinata all’estinzione, ribellarsi con tutti i mezzi possibili è l’unica reazione del popolo lituano contro i minacciosi stranieri e il leggendario eroe dinastico Mindaugas, incarnando l’ideale capo-clan capace di radunare intorno a sé tutte le forze di quel popolo, scenderà in campagna senza sosta per anni onde difendersi e battere il nemico, da qualsiasi parte esso attacchi (compresi quindi anche i Russi).

La Lituania, non era ancora una nazione con un sovrano, unico eppure già era sfruttata, incapace di gestire le proprie risorse autonomamente. Esportava verso l’Occidente (per le preferite vie interne) pelli conciate, lino, miele e prodotti caseari. Non solo! A causa delle continue lotte interne e ai metodi di vera e propria caccia all’uomo “non lituano” usata a spese dei villaggi (anche russi), vendeva giovani schiavi in buone quantità. Di certo i Lituani e le loro élites vedevano in quei successi che arridevano al loro Mindaugas il favore dei loro dèi e quindi la giustezza della lotta contro il Cristianesimo per rifiutarlo come credo.

La strenua resistenza lituana alla forzata evangelizzazione, peraltro durata fino al XIV sec., si spegnerà soltanto quando Ghedimino, fondatore di Vilnius e probabile discendente di Mindaugas, capirà quali siano le enormi convenienze materiali ad entrare nel consorzio delle nazioni cristiano-cattoliche. Infatti sarà proprio da quel momento (non appena fu possibile a causa delle guerre continue) che Domenicani e Francescani penetrarono in Lituania, ex terre della Rus’ di Kiev.

E forse furono proprio questi monaci (che non erano armati) a far circolare l’adagio cattolico che affermava che chi adorava il Cristo cattolico, viveva in benessere e in ricchezza!


Per curiosità del lettore, ecco la risposta che Güyük, Gran Khan Mongolo, mandò al papa (il testo scritto in caratteri arabi è conservato nell’Archivio Segreto Vaticano e la traduzione è di G. Mandel):

Nella forza del Cielo Eterno, l’onnipotente khan di tutti i popoli, il nostro ordine. Questo è il decreto inviato al Grande Papa perché sappia e ritenga ordinato: Avendo tenuto consiglio con i re del tuo dominio, ci hai inviato l’offerta della sottomissione, che noi riceviamo dai tuoi ambasciatori. Se volete agire secondo le vostre parole venite di persona voi tutti e tu,. Che sei il Grande Papa, assieme alla regina per renderci omaggio e noi vi faremo conoscere gli ordini della legge. Tu in persona, alla testa di tutti i re nessuno escluso venite a fare atto di sottomissione e a offrire i vostri servigi. Solo allora riconosceremo la vostra sottomissione. Nel loro insieme le tue lettere dicono che noi ci dobbiamo battezzare e diventare cristiani e noi ti rispondiamo brevemente che non capiamo in qual modo dobbiamo farlo. Per quanto poi contenuto nelle tue lettere e cioè che ti stupisci del massacro di uomini, soprattutto di cristiani ungheresi, polacchi e moravi, ti rispondiamo brevemente che neppur questo capiamo. Tuttavia per non aver l’aria di passare queste cose sotto silenzio, ti inviamo la risposta seguente: Ciò è stato perché non hanno obbedito agli ordini di Dio e di Genghis Khan e perché, mal consigliati, hanno ucciso i nostri ambasciatori. Per questo Dio ha ordinato che venissero distrutti e li ha posti nelle nostre mani. D’altronde, se non lo faceva Dio, come avrebbero potuto farlo gli uomini? Voi, abitanti dell’Occidente, credete che voi cristiani siete i soli ad adorare Dio, rifiutando ciò agli altri? Come potete sapere chi è degno di questa grazia? Noi adoriamo Dio e grazie alla sua potenza distruggeremo tutta la Terra da Oriente a Occidente. Se l’uomo non fosse la forza di Dio che cosa potrebbero fare gli uomini?


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©2009 Aldo C. Marturano.

  


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